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sabato 21 giugno 2025

La Trama Fenicia

Uscire dal capitalismo



A livello superficiale, il cinema di Wes Anderson è conosciuto e riconoscibile per l'aspetto visivo: palette di colori curate al dettaglio, inquadrature simmetriche, scenografie teatrali da casa di bambole (qui il nostro approfondimento sul tema). Tuttavia, Wes Anderson è anche molto altro: è, nella prima fase della carriera, un magnifico creatore di personaggi nevrotici ma vivi, veri, e di cui è quasi impossibile non innamorarsi a prima vista (una dote riconosciutagli, fin dagli esordi, nientemeno che da Martin Scorsese). 

Con il tempo, tuttavia, il suo cinema è diventato sempre più politico, con un forte sostrato di anticapitalismo. Si potrebbe dire che questa tematica è sempre stata presente, vista la sua tendenza a raccontare sognatori che si ribellano a un sistema che pensa solo a numeri, regole e risultati (si pensi a Rushmore o a Le avventure acquatiche di Steve Zissou), però era un tema sotterraneo, strisciante, che passava in secondo piano rispetto alle critiche delle convenzioni borghesi e al suo raccontare solitudini che si incontrano e, almeno per un attimo, trovano un po' di conforto nella compagnia l'uno dell'altro. 

Da Fantastic Mr. Fox il tema emerge con maggiore evidenza, ma è con Grand Budapest Hotel che Anderson passa da una fase del suo cinema all'altra: il film finora più premiato di Anderson rappresenta il punto di passaggio dal primo al secondo Anderson, e ne unisce e sublima ambedue le istanze. Nel secondo Anderson, i personaggi diventano sempre meno persone e sempre più maschere della commedia dell'arte, la cui funzione è far emergere e risaltare una satira sociale ed economica che, nascondendosi dietro un'apparenza patinata, colpisce con la violenza del morso di un cobra. Se il primo Anderson usava la perfezione formale degli ambienti come contrasto all'imperfezione interiore dei suoi protagonisti, il secondo Anderson la sfrutta per sottolineare l'assurdità della realtà, in un impeto beckettiano che mette in luce le storture del sistema economico dominante. Dalla marginalizzazione (L'isola dei cani) alla sete di denaro sfrenata (Grand Budapest), passando per il rapporto tra capitalismo e distruzione dell'ambiente (Mr. Fox), per la morte del giornalismo e la disgregazione del tessuto sociale. (The French Dispatch): il secondo Anderson non risparmia alcun aspetto del sistema socioeconomico in cui viviamo. Dietro la perfezione formale e l'opulenza visiva, si nascondono mostri.

La trama fenicia sublima tutti questi tutti temi nella figura del suo protagonista, Zsa-zsa Korda, un magnate senza scrupoli dotato di una magnifica ironia e capacità di ignorare le atrocità commesse. Korda è il capitalismo (anzi: l'anarcocapitalismo) incarnato: affascinante, seducente senza morale, disinteressato alla propria reputazione e interessato solo alla perpetuazione della propria ricchezza, al punto da mettere a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. La violenza, inflitta e subita, è parte intrinseca della sua vita, esattamente come lo è del capitalismo contemporaneo. 


Fin qui sembrerebbe un classico film da "secondo Anderson", ma il regista/sceneggiatore sceglie di ribaltare il tavolo, e tornare a raccontare una storia famigliare: il primo Anderson incontra il secondo, e Zsa-zsa intuisce che qualcosa nel suo stile di vita non funziona, e cerca confusamente di recuperare il rapporto con la figlia Liesl. Inizialmente lei non vuole saperne, ma accetta di seguirlo. E Zsa-zsa, fino a quel momento del tutto impervio al cambiamento (qui Wes Anderson parla proprio di questo tema), inizia a vedere che un'altra vita è possibile.

Così, lentamente ma inesorabilmente, le maschere tornano a essere persone, e nel film fa irruzione il sentimento, con Zsa-zsa che, pur portando avanti le sue macchinazioni finanziarie, mette sempre di più al centro il rapporto con Liesl. Nel finale, fuggiti dalla prigione d'oro del capitalismo, troviamo dei personaggi pienamente da "primo Anderson": strani, buffi, disadattati, ma con il coraggio di seguire le proprie passioni, dall'entomologia alla cucina. Il castello di carte del capitalismo cade, e con esso la perfezione formale: l'ultima scena è asimettrica, caotica, senza una palette di colori pastello: è il mondo reale, in cui Zsa-zsa si trova finalmente a vivere, molto meno ricco ma anche molto più felice.

Il cast è, come sempre, sublime, guidato da un Benicio del Toro stropicciato ma immarcescibile, che offre bombe a mano come fossero caramelle e attraversa la vita con stoico cinismo, fino a quando Liesl (un'ottima Mia Threapleton dal fierissimo cipiglio) non fa breccia nel suo cuore. Attorno a loro, un Michael Cera entomologo con segreti, Tom Hanks e Bryan Cranston improbabili appassionati di pallacanestro, un Cumberbatch che incarna tutti gli stereotipi del villain shakespeariano con stralunata e divertita crudeltà, e Bill Murray che è, semplicemente, Dio.

La trama fenicia è un film divertente e avventuroso, che dietro la patina dell'intrattenimento nasconde però una satira feroce di un sistema economico che è talmente radicato nelle nostre vite che, come Zsa-zsa, pensiamo che sia l'unico sistema possibile. Al tempo stesso è un film profondamente emotivo, in cui la soluzione alla crisi di un sistema che tutto divora è il recupero dei rapporti umani e la capacità di rinunciare al guadagno a tutti i costi per rimettere al centro le passioni e la comunità. Non tutto riesce secondo intenzione (alcune scene sono meno emozionanti di quanto potrebbero essere), ma nel complesso funziona e riesce a toccare mente e (soprattutto sul finale) cuore.

****

Pier

giovedì 25 novembre 2021

Ghostbusters - Legacy

Fantasmi dal passato


Collie, madre di due figli, Trevor e Phoebe, scopre che il padre, che non vede da anni, è passato a miglior vita, lasciandole in eredità una casa pericolante in Oklahoma. Inizialmente riluttante ad accettare l'eredità, è costretta a farlo quando viene sfrattata. Il viaggio in Oklahoma diventa ben presto un viaggio sulle tracce del padre, ritiratosi in quell'angolo sperduto per continuare le sue indagini sul paranormale e prevenire un evento catastrofico. Figlia e nipoti scopriranno ben presto che la casa e la cittadina nascondono non poche stranezze.

Non era facile tornare, dopo tanto tempo, nell’universo degli acchiappafantasmi. Il primo film è uscito nel 1984: parliamo di quasi 40 anni, durante i quali il cinema è cambiato e il pubblico con lui. Riportare in vita la saga richiedeva un lavoro paziente, amorevole, capace di reinterpretare il "mito" senza tradirne lo spirito.

L'intuizione vincente di Jason Reitman è quella di sfruttare questa distanza temporale e renderla parte integrante della trama. Per i suoi protagonisti, gli eventi ectoplasmatici di New York sono un passato lontano, eventi che hanno segnato chi li ha vissuti - direttamente o indirettamente - ma sono sbiaditi nella memoria collettiva. Questa distanza diventa quindi l'occasione per intrecciare un dialogo tra generazioni, un dialogo che passa dall'aspetto umano ma anche da quello tecnologico. 
La continua commistione tra digitale e analogico, l’uso di VHS ma anche di video YouTube e podcast (con questi ultimi che costituiscono il cuore comico del film) per raccontare la “mitologia” dei Ghostbusters alle nuove generazioni – sia i personaggi, sia il pubblico in sala: tutto concorre a creare un’atmosfera di scoperta, anziché di nostalgia, senza rinunciare a quella familiarità utile a riportare a bordo i fan della prima ora, “tranquillizzandoli” dopo il poco riuscito remake del 2016. Un'operazione, questa, simile a quella operata da J.J. Abrams con Episodio VII

A differenza di Episodio VII, tuttavia, Ghostbusters – Legacy non è la copia carbone di uno degli episodi precedenti. Reitman non usa il linguaggio della nostalgia, ma quello del ricordo, puntando sul racconto intergenerazionale: il film è impostato come fosse un racconto da genitore (anzi, da nonno) ai figli/nipoti, come quando ci raccontavano dei tempi della guerra. Le ovvie connessioni tra personaggi e spettatori, e persino tra regista e regista (Jason è il figlio di Ivan, regista dei due Ghostbusters originali), creano un’atmosfera meta-narrativa che trasporta lo spettatore in un viaggio attraverso la storia, nel senso più ampio del termine. 

Pur ricalcandone i topoi narrativi (i fantasmi, la profezia sulla fine del mondo, il villain), Reitman si stacca decisamente dal modello dell’originale sia a livello di trama che di ambientazione. Da un gruppo di scienziati si passa a una famiglia disfunzionale; dai grattacieli e dalla vita brulicante di New York si passa ai campi dell’Oklahoma, immersi in un senso di cupa decadenza, tra case abbandonate, miniere semideserte, e cittadine che non offrono alcuna prospettiva. Il cambiamento è vincente. Ghosbusters – Legacy ha una sua estetica distintiva, ben precisa e riconoscibile, diversa da quella dei predecessori: un'atmosfera da southern gothic con spruzzate lovecraftiane (il tempio nella miniera), con una casa infestata che diventa il cuore della trama (non è un caso che l’altro sceneggiatore sia Gil Kenan, già autore di quel gioiellino sottovalutato di Monster House). 



La trama è incentrata sul percorso di crescita e maturazione dei personaggi: (ri)scoprendo il proprio passato trovano se stessi, ottenendo una risoluzione di conflitti interiori a lungo sopiti. Nulla di straordinariamente originale, ma abbastanza perché ci si affezioni ai nuovi protagonisti, che risultano essere persone vere - con problemi, nevrosi, frustrazioni reali - anziché archetipi. La mancanza di personaggi reali era invece il principale difetto del remake del 2016, che non aveva colto l'eccezionalità del film originale, dove dei personaggi ben poco caratterizzati riuscivano a funzionare solo grazie all'eccezionale talento degli attori protagonisti. 

Se la vera protagonista è indubbiamente Phoebe (la splendida sorpresa McKenna Grace), il cuore emotivo del film è Callie Spengler, la figlia di Egon. Il suo è anche il personaggio più originale, una madre assente ma al tempo stesso affettuosa, incapace di dimenticare un passato che l'ha ferita e che, come un fantasma, torna di continuo a tormentarla. Callie è il nodo centrale del sistema di relazioni che costituisce la famiglia allargata dei nuovi acchiappafantasmi, ed è proprio lei ad affrontare il percorso di crescita più tortuoso e più soddisfacente.

L'arco narrativo di maturazione e autoconoscenza dei personaggi fa sì che la botta nostalgica, quando arriva (e arriva, oh, se arriva) lo faccia in modo organico, naturale: non è imposta o forzata, ma guadagnata, una diretta conseguenza della crescita emotiva ed esperienziale dei protagonisti. Proprio per questo, colpisce dritto al cuore, e non lascia quell’impressione di fan service che spesso caratterizza operazioni di questo tipo. Certo, il combattimento finale non brilla per originalità: ma, in fondo, tutte le grandi storie si somigliano, e questa non poteva fare eccezione.

Ghostbusters – Legacy è un tentativo riuscito di portare una delle saghe più amate degli anni Ottanta nel nuovo millennio. Reitman dimostra un chiaro amore per il materiale originale, e riesce abilmente a bilanciare gli elementi horror (una delle chiavi del successo del primo film, anche se spesso si tende a dimenticarlo) e di commedia - anche se ovviamente non raggiunge le vette del primo film (e come potrebbe?). Reitman indulge nella nostalgia solo lo stretto necessario, e realizza un film che, pur non osando nulla di eccessivamente originale, riesce comunque a trovare soluzioni intelligenti per rinnovare la saga senza bisogno di stravolgerla. Non è poco.

*** 1/2

Pier

martedì 9 novembre 2021

The French Dispatch

Qui, lì, in nessun luogo


Alla morte di Arthur Howitzer Jr., fondatore di The French Dispatch, il supplemento domenicale del quotidiano "The Evening Sun" di Liberty (Kansas), la redazione si riunisce per ricordarlo. Scopre che Howitzer ha deciso che, alla sua morte, il periodico, con sede nell'immaginaria cittadina francese di Ennui-sur-Blasé, dovrà chiudere. La redazione si prepara dunque a stampare l'ultimo numero, fatto di tre storie molto diverse, eppure rappresentative della fervida vita sociale e culturale del paese che lo ospita.

Con The French Dispatch, Anderson si cimenta con nuovi linguaggi (il bianco e nero), soluzione espressive (i cambi scena visibili), generi (il poliziesco/cinema d'azione): pur mantenendo il suo inconfondibile sguardo, è un film diverso, sperimentale, che prova a cercare nuovi modi di raccontare le sue storie fatte. 
Il risultato non è convincente come quello di altri registi "usciti dal seminato" - anche a causa della struttura a episodi, che detrae un po' dal coinvolgimento emotivo che solitamente è la forza dei film di Anderson - ma è comunque estremamente affascinante: è sempre una gioia vedere un regista affermato che prova nuove strade, cercando di reinventarsi senza rinunciare a essere se stesso.

La sperimentazione è visibile già nella struttura a episodi e nel tema: The French Dispatch è un'ode al giornalismo narrativo e, più in generale, all'arte del racconto, al coraggio necessario per avere uno sguardo forte, distintivo e per raccontare il mondo per come lo vediamo, senza compromessi. È anche il film più "politico" di Anderson: il conflitto generazionale, da sempre presente nei suoi film, si fa protesta di piazza, il razzismo e l'omofobia fanno capolino in modo delicato ma di impatto, e la polizia compie a favore di camera azioni che richiamano all'omertà che circonda i pestaggi fuori e dentro le carceri, spesso impuniti. 

La prima volta di Anderson con il bianco e nero convince, ed è splendida nella sua semplicità e pulizia: in alcune scene i bianchi e neri che sfumano con eleganza l'uno nell'altro, la luce soffusa di un ricordo nostalgico; in altre sono più netti, definiti, quasi espressionisti nel loro delineare luci e ombre. Le periodiche e impreviste incursioni di colore (splendida quella che vede protagonista Saoirse Ronan) hanno una qualità onirica, e contribuiscono a trasportare la vicenda in un altrove che è un "qui" diverso per ciascuno spettatore.

La prova del cast è, come sempre, sontuosa: spiccano Chalamet e Del Toro, divertiti e sornioni, e soprattutto un dolente Jeffrey Wright, cuore pulsante del terzo atto che torreggia su tutti gli altri per peculiarità del personaggio (un giornalista culinario che vuole intervistare il più famoso chef di "cucina poliziesca") e portata emotiva del suo passato.

The French Dispatch può apparire superficiale a causa di un estetismo a limiti del perfezionismo e di un sapore per la messa in scena teatrale, a volte in maniera esplicita. Tuttavia, sotto l'abito buono ed elegante si intuisce un cuore pulsante fatto di personaggi bizzarri ma vivi, reali: un gruppo di adorabili asimmetrici costretti a esibirsi su un palco simmetrico, tondi in un mondo quadrato, perennemente alla ricerca di un qualcosa che, come nella vita, finisce spesso per non arrivare. Ma, sembra dirci Anderson, è nell'attesa, nella continua aspirazione che si realizza l'essere umano: un messaggio vecchio di secoli, ma che sembra sempre più vero nella società odierna.

È un film con una grande amarezza di fondo, un senso di non-finito, di interruzione improvvisa e indesiderata, un profumo di sogni non realizzati che accompagna tutte le storie e la vicenda dell'editore e del suo giornale. The French Dispatch è, in questo senso, un perfetto ritratto della nostra epoca, soprattutto per i giovani e le minoranze: un tempo di eterna attesa, di riconoscimenti cercati, inseguiti, ma mai raggiunti, un eterno presente in cui il passato è un macigno lasciatoci da altri e il futuro ha, forse, smesso di esistere.

*** 1/2

Pier

giovedì 10 dicembre 2020

Tesori Nascosti - #7: Edizione Natale

Torna "Tesori nascosti", la rubrica che segnala film meritevoli di recupero passati inosservati o quasi in Italia. Vista la vicinanza con il Natale, la puntata di oggi è dedicata ai film ambientati nel periodo delle feste di Natale.

Ogni film è corredato di voto, informazioni su dove reperire il film, e di un breve commento o un link alla nostra recensione.


1. Le 5 leggende, voto 7.5
Generefantasy
Anno: 2012
Regista
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: Netflix, Infinity
Commento: Babbo Natale, la Fatina dei Denti, il Coniglio di Pasqua e Sandman non sono solo leggende: sono i Guardiani che proteggono li sogni dei bambini di tutto il mondo. Quando Pitch Black, l'Uomo Nero, decide di scacciarli e farli precipitare nell'oblio, i Guardiani hanno bisogno d'aiuto. Uno splendido film di Natale, una delle vette dell'animazione Dreamworks, in grado di far sognare bambini e adulti. Qui la recensione completa.

2. Klaus - I segreti del Natale, voto 9.
Genere: fantasy
Anno: 2018
RegistaDavid Lowery
DVD: no
Streaming: Netflix
Commento: Un postino assegnato a una località sperduta nel Nord Europa ravviva l'attività epistolare della zona grazie all'aiuto di Klaus, burbero creatore di bellissimi giocattoli artigianali. Una splendida favola, una storia di amicizia, ma soprattutto un film che sperimenta nuove, magnifiche tecniche di animazione, aprendo nuove possibilità per il futuro di un mezzo in continua evoluzione.

3. Kiss Kiss Bang Bang, voto 8.
Genere: azione, commedia
Anno: 2005
Regista: Shane Black
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: Infinity
Commento: Un ladruncolo e un investigatore privato senza lavoro sono costretti a collaborare e a indagare sulle misteriose morti di due ragazzi. Buddy cop movie abbastanza sui generis, ambientato a Natale (come spesso accade con Shane Black): geniale, stralunato, vivace, un film d'azione che ammicca al noir e che diverte e tiene con il fiato sospeso. Robert Downey Jr. e Val Kilmer semplicemente perfetti.

4. SOS Fantasmi, voto 7.
Genere: commedia drammatica
Anno: 1988
Regista: Richard Donner
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: NowTV, Sky
Commento: Rivisitazione in chiave moderna de Il canto di Natale, con un Bill Murray in gran forma nella parte del direttore di network televisivo che deve produrre un musical proprio ispirato all'opera di Dickens. Racconto e meta-racconto si intersecano, dando vita a una storia surreale che permette a Bill Murray di esibire tutte le sue doti di mattatore.

5. Ogni Maledetto Natale, voto 7.
Genere: commedia, satira
Anno: 2016
Regista: Giacomo Ciarrapico , Luca Vendruscolo , Mattia Torre
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Netflix
CommentoDagli autori di Boris, una satira sociale in salsa natalizia, in cui due ragazzi di diversa estrazione sociale si trovano a trascorrere il Natale con le famiglie dell'altro. Il film, pur peccando a tratti di retorica, diverte e intrattiene senza aver paura del politicamente scorretto (il personaggio di Corrado Guzzanti), con la satira resa più efficace dallo stratagemma di avere gli stessi attori che interpretano ambedue le famiglie, a sottolineare come l'una non sia altro che lo specchio deformato dell'altra.

6. Elf - Un elfo di nome buddy, voto 7.
Genere: commedia fantastica
Anno: 2003
Regista: Jon Favreau
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Sky, Infinity
Commento: Per un caso del destino, un bambino viene cresciuto da Babbo Natale e dagli elfi. Quando diventa troppo grande per restare con loro, sarà costretto ad andare in cerca dei suoi veri genitori. Un Will Ferrell in formissima è protagonista di un film che unisce alla perfezione i toni da commedia per famiglie con quelli più demenziali e satirici del suo cinema.

Pier


domenica 7 giugno 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Speciale "Giappone"

Puntata speciale di Nuovo Cinema Paravirus, che vi accompagna in un viaggio cinematografico in vari paesi del mondo.

Il paese di oggi è il Giappone.


I tre film segnalati sono:

1) Lost in translation. Inspiegabilmente non disponibile in streaming, il film di Sofia Coppola racconta il Giappone con occhi occidentali, cogliendone però appieno lo spirito, la tensione tra passato e presente e l'alienazione della modernità. La solitudine dei protagonisti diviene quella di un popolo, in un incontro tra Oriente e Occidente che ne evidenza le differenze ma, soprattutto, le similarità esistenziali.

2) Black rain - Pioggia sporca (disponibile a noleggio su vari servizi). Uno dei film più sottovalutati di Ridley Scott, un teso thriller poliziesco che sfrutta le atmosfere di Osaka per creare un neo-noir quasi futuristico, in cui il bene e il male sono quasi indistinguibili.

3) L'isola dei cani (disponibile  a noleggio su vari servizi). Una favola moderna, uno dei film più dolci eppur più profondi di Wes Anderson, che trasporta lo spettatore in un mondo fantastico, in cui i cani parlano e il mondo sembra un palco teatrale, eppure reale, con personaggi ed emozioni autentici, vivi, vibranti, che toccano il cuore dello spettatore e lo trascinano con sé. Qui la recensione completa.

Tenete gli occhi aperti per il prossimo speciale di Nuovo Cinema Paravirus. Coming soon!

Pier

sabato 9 maggio 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Puntata 57

Nuova puntata di Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi suggerisce film da vedere in quarantena.


Il genere di oggi è la commedia romantica.

I film segnalati sono:

1) Notting Hill (disponibile su Prime Video e Timvision). Un must per chiunque ami la commedia romantica, talmente di culto da aver letteralmente rilanciato un quartiere che oggi è uno dei più popolari di Londra. Persino il nome utente di chi scrive è ispirato a una delle scene più belle del film, quella di "Cavalli e segugi." Si ride, ci si commuove, si tifa per il protagonista: la commedia romantica al suo meglio.

2) Ricomincio da capo (disponibile su Timvision). Come vi sentireste a rivivere sempre lo stesso giorno della vostra vita? Questo è quel che succede a Bill Murray in questa commedia ormai di culto, in cui rimane intrappolato nel "giorno della marmotta."

3) Non per soldi ma per amore (disponibile su Chili). Un film solo in apparenza adolescenziale, che racconta come le differenze di classe siano ancora pervasive nel regolare i rapporti umani e sentimentali. Un piccolo cult, da scoprire e riscoprire.

A domani per la cinquantottesima puntata!

Pier


sabato 11 aprile 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Puntata 29

Nuova puntata di Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi suggerisce film da vedere in quarantena.



Il genere di oggi è il "coming of age".

I film segnalati sono:

1) I 400 colpi (disponibile su Chili). Un classico indimenticabile, che consacrò Truffaut come voce nuova del cinema europeo e che ancora oggi rimane modello spesso citato ma mai superato, con una regia e un'inquadratura finale che hanno fatto la storia.

2) Moonrise Kingdom (disponibile a noleggio su vari servizi). Wes Anderson (qui il nostro speciale su di lui) racconta con la solita perfezione visiva e con un affetto che traspare da ogni inquadratura l'avventura di due giovani Don Chisciotte che cercano di fuggire da un mondo che li esclude e li spaventa. Un film che arriva dritto al cuore. Qui la recensione completa.

3) Spider-Man: Un nuovo universo (disponibile su Netflix). Un film visivamente abbacinante, che porta l'animazione in territori mai esplorati, dimostrando una creatività che da tempo non si vedeva nel genere. La trama non è da meno, sfrutta un tropos della fantascienza (gli universi paralleli) per raccontare una storia di formazione solo all'apparenza classica ma in realtà dotata di una dimensione corale, in cui personaggi diversissimi devono fare i conti con la perdita dei propri punti di riferimento e con l'accettazione di una nuova identità. Qui la recensione completa.

A domani per la trentesima puntata!

Pier


sabato 21 marzo 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Puntata 8

Nuovo appuntamento con Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi consiglia film da vedere durante la quarantena.


Il genere prescelto per oggi è "film con protagonisti anziani."

Ecco i tre titoli consigliati:

1) Gran Torino (disponibile su Netflix). L'ultimo grande capolavoro di Clint, che doveva ritirarsi come attore dopo questa prova, salvo poi cambiare idea e tornare sullo schermo. Il film torna ad analizzare il rapporto tra bene e male, tanto caro all'Eastwood regista, e lo porta alle sue estreme conseguenze. Qui trovate la recensione completa.

2) Broken Flowers (disponibile su PrimeVideo). Forse il film più equilibrato e ben riuscito di Jarmush, che piacerà magari meno ai fan più duri e puri, ma è senza dubbio più adatto a un pubblico generalista nella sua offerta di un giusto mix tra commedia e dramma. Bill Murray è perfetto nei panni di un protagonista pigro e donnaiolo, incapace di formare un legame affettivo duraturo.

3) Up (disponibile tra qualche giorno su Disney+). Qui trovate la recensione completa. Uno dei miei film preferiti, un concentrato di divertimento e commozione che, raccontando la folle fuga di un anziano verso il cielo, mette in scena la vita, con le sue sofferenze, i suoi sogni, e le sue seconde occasioni.

mercoledì 16 maggio 2018

L’isola dei cani

Una favola per i nostri tempi



Giappone, 2037. A causa di un'influenza canina, i cani continuano a morire. Con il pretesto di voler salvaguardare la salute pubblica, il sindaco di Megasaki City, Kobayashi, esilia tutti i cani in una isola-discarica chiamata trash island. Il figilio adottivo del sindaco, Atari, decide però di partire per l'isola per ritrovare il suo amato cane da guardia, Spots. Ad aiutarlo troverà un improbabile gruppo di ex cani domestici, ormai rassegnatisi al randagismo ma non per questo disposti ad abbandonare il ragazzino.

A livello di trama, Wes Anderson ci ha abituato a un cinema che racconta i problemi normali di persone straordinarie (o l'opposto): un cinema fatto di personaggi, ma anche delle trappole che la vita tende loro, con una particolare attenzione per come le convenzioni sociali spesso si trasformino in una gabbia più o meno dorata. Anche in Fantastic Mr Fox, la sua prima avventura nella terra dell'animazione in stop motion, Anderson aveva mantenuto queste sue caratteristiche, scegliendo una storia di Dahl che gli permettesse di raccontare i problemi di una famiglia e una comunità disfunzionali. A livello musicale, Anderson ci aveva abituato a colonne sonore ricercate, fatte di musiche pre-esistenti scelte con certosina attenzione per sottolineare

Con L'Isola dei cani, Anderson cambia radicalmente registro, senza però perdere il tocco che lo rende uno dei registi più amati e originali del panorama cinematografico contemporaneo. Fin dalle prime battute, L'isola dei cani si presenta infatti come una favola moderna, raccontata con musiche originali evocative, quasi tribali (ottimamente composte da Alexandre Desplat) che proiettano fin da subito il film in una dimensione irreale e atemporale. Anderson ambienta la storia in un Giappone stereotipato e fuori dal tempo, sfondo ideale per una favola, ma lo infarcisce di dettagli autentici, vivi e vibranti, che fanno sì che la favola non resti una piatta allegoria ma si faccia storia. L'isola dove vengono esiliati i cani è infatti un capolavoro di design, un paesaggio post apocalittico degno di Mad Max, così come il quartier generale del malvagio Kobayashi, ispirato dichiaratamente all'estetica e alla retorica nazista ma al tempo stesso fedele a quelle nipponiche.

Nonostante questi elementi "fantastici", il film rimane sempre profondamente reale, commuovendo e appassionando lo spettatore. L'elemento l'elemento didascalico rimane sullo sfondo, visibile ma mai sbattuto in faccia, e si faccia quindi strada lentamente nella mente dello spettatore, in modo sottile ma non per questo meno efficace.
Il racconto del rapporto tra un ragazzo e il suo cane diventa un pretesto per parlare del rapporto tra uomo e cane in generale, che a sua volta diventa un pretesto per raccontare cosa succede quando si rompe il patto sociale e si comincia a classificare gli esseri viventi sulla base della razza anziché della loro capacità di sentimento e raziocinio. Una favola complessa, dunque, con molteplici livelli di lettura, che parla del passato ma guardando al presente sia canino (i campi di concentramento per cani giapponesi) che umano.

In questi scenari quasi teatrali (e spesso ripresi come tali da Anderson, che mai come questa volta fa uso di lunghe carrellate per raccontare l'odissea dei protagonisti) si muovono dei personaggi tipicamente andersoniani, per quanto in forma animale: gli splendidi cani protagonisti sono nevrotici, con un passato complesso fatto di rifiuto e abbandono, e al tempo stesso sono generosi, quasi folli nella loro bontà, ed estremamente divertenti nelle loro nevrosi e fissazioni. La loro costruzione certosina, sia a livello di personalità che di aspetto, ci rivela la vera cifra tematica del cinema di Wes Anderson: non la simmetria, suo cavallo di battaglia visivo, ma l'amore per i suoi personaggi, qui addirittura esplicitato nel titolo del film (Isle of dogs, il titolo originale, si legge in modo identico alla frase "I love dogs"). L'arte cinematografica di Wes Anderson risiede nella sua capacità unica di costruire personaggi indimenticabili e vicini al cuore dello spettatore, una capacità che gli viene riconosciuta fin dagli esordi (nientemeno che da Martin Scorsese) e che il regista texano ha via via affinato film dopo film, raccontando storie all'apparenza semplici, ma sempre in grado di parlare al cuore dello spettatore.

Chi giudica il film di Wes Anderson fermandosi alla bellezza delle immagini - anche qui stordenti nella loro perfezione - non coglie appieno la grandezza del suo cinema, che è prima di tutto un cinema fatto di emozioni, che nasce nel teatro (da cui deriva il suo gusto per la messa in scena) ma lo permea di quel realismo di cui solo la macchina da presa è capace. Persino in una favola con dei cani come protagonisti, Anderson riesce a emozionare, realizzando uno dei suoi film più dolci eppur più profondi, e trasportandoci in un mondo in cui i combattimenti si risolvono in una nuvola di zanne e pelo e facendocelo accettare come vivo e vero: un mondo che parla di noi, come spettatori e come uomini.
Lasciate che Wes Anderson vi prenda per mano (possibilmente in lingua originale, visto il cast vocale): non ve ne pentirete.

**** 1/2

Pier

domenica 13 aprile 2014

Grand Budapest Hotel

Quando la favola sconfigge la decadenza



Monsieur Gustave è il concierge del Grand Budapest Hotel, un hotel di lusso in mezzo all'Europa. E' il migliore nel suo lavoro, che esegue con grande perizia e attenzione, e gode per questo della stima e della fiducia dei suoi facoltosi ospiti, soprattutto di quelli anziani e di sesso femminile. Quando una di esse, Madame D., passa a miglior vita in circostanze misteriose, egli eredita un prezioso dipinto, scatenando le ire della famiglia della facoltosa nobildonna. Successivamente accusato di omicidio, Monsieur Gustave si imbarcherà in una rocambolesca fuga per dimostrare la sua innocenza accompagnato dal suo fedele lobby boy Zero, mentre l'ombra del conflitto mondiale si allunga sull'Europa.

Sono pochi i registi che riescono ad avere uno stile immediatamente riconoscibile senza risultare ripetitivi e sempre uguali a se stessi. L'esercizio richiede abilità, inventiva, ma soprattutto la capacità di cambiare sempre generi e stilemi narrativi, applicando la propria estetica di volta in volta a tematiche e ambientazioni differenti. Wes Anderson è uno di questi registi, un maestro di stile ed estetica, senza eguali nella sua capacità di narrare visivamente una storia, utilizzando le immagini come strumento narrativo ed espressivo. Le immagini dei suoi film non svolgono mai una funzione meramente estetica, ma raccontano storie, personaggi e situazioni, con una forza e una capacità evocativa impareggiate nel cinema contemporaneo. Grand Budapest Hotel porta l'impronta di Wes Anderson in ogni elemento della scenografia, dei costumi, in ogni inquadratura o scelta musicale, applicandola però a un genere nuovo per il regista statunitense, una favola dalle forti connotazioni comiche e, a volte, grottesche.

L'arte del narrare è al centro del racconto, con ogni storia che viene raccontata dal protagonista di un'altra, in un gioco di scatole cinesi che esalta il contenuto emotivo e affettivo della storia, in un omaggio esplicito ed implicito ai libri di Stefan Zweig e al cinema di Lubitsch e Billy Wilder. Wes Anderson mette in scena una favola che dipinge l'eleganza e la classe degli hotel di una volta, dove tutto è perfetto e nulla è fuori posto, metafora di un'Europa splendente ma destinata per via della guerra a diventare una fatiscente rovina, memoria di un tempo glorioso che non sembra destinato a tornare. La storia di Monsieur Gustave e del suo delizioso lobby boy è quella di un lento disfacimento, in cui il razzismo e confini arbitrari diventano legacci cui sembra impossibile sfuggire. La libertà, tuttavia, è a portata di mano per chi ha spirito d'iniziativa e fantasia: i nostri eroi sperimenteranno rocambolesche fughe di prigione, amori romantici e contrastati, e continui tentativi di omicidio, alleati nella loro missione da alleanze di concierge quasi onnipotenti, amanti intraprendenti e una notevole faccia tosta, il tutto spruzzato di quel tanto di profumo necessario a fare buona figura in società.

Il film ha un gran ritmo e regala momenti di esilarante comicità verbale e visiva, sorretta da scenografia e fotografie superbe. A queste si accompagna un cast stellare, in cui spiccano lo strepitoso Ralph Fiennes, personificazione dello stile e del nobile contegno, il villain vampiresco di Adrien Brody, e l'esordiente Tony Revolori, la cui comicità a metà tra Buster Keaton e Charlie Chaplin lo rende un personaggio comico e drammatico al tempo stesso, che finisce per rappresentare tutti i popoli perseguitati della storia d'Europa.

Grand Budapest Hotel è un film delizioso, in cui il talento visivo di Wes Anderson racconta una storia che, in apparenza banale, rivela via via la sua profondità e i suoi diversi significati, offrendo tanti spunti interpretativi quanti sono i suoi piani narrativi, in un rocambolesco gioco di incastri e di rimandi che estasia gli occhi e alleggerisce il cuore.

****1/2

Pier

mercoledì 5 dicembre 2012

Moonrise Kingdom

Amore e colore


New England, 1965. Suzy e Sam sono due adolescenti problematici che vivono su un'isola sperduta: lei, sensibile e amante della letteratura, è in perenne conflitto con i genitori; lui, intellettuale e intelligente, è orfano e sta per essere allontanato dalla famiglia cui era stato affidato. I due si conoscono a una recita, si innamorano e decidono di fuggire insieme. La loro fuga d'amore porterà conseguenze inaspettate nelle loro vite e in quelle di chi li circonda.

In Moonrise Kingdom Wes Anderson riprende i suoi classici temi, regalandoci un'altra galleria di meravigliosi nevrotici, adorabili sconclusionati, e splendidi disadattati. Questa volta però i protagonisti assoluti sono due ragazzini, disarmanti nella loro capacità di sovvertire quelle regole che ingabbiano gli altri personaggi e nell'innocenza con cui vivono appieno il loro amore, acerbo ma intenso. La loro risolutezza si contrappone all'eterna indecisione degli adulti, intrappolati in relazioni clandestine, matrimoni infelici, ruoli di capo scout troppo ingombranti, e nevrosi di ogni genere e tipo. Suzy e Sam diventano lo strumento usato da Anderson per portare scompiglio nell'ingessata isola del New England, grazie non solo alla loro fuga, ma anche al loro acume e alla propria determinazione nel cambiare il proprio destino. Il regista tratta i due protagonisti con un amore e affetto che traspaiono evidenti da ogni inquadratura, coinvolgendo lo spettatore nell'avventura di questi due giovani Don Chisciotte che cercano di fuggire da un mondo che li esclude e li spaventa.

Il film è fotografato con la consueta cura e perfezione, con tonalità luminose e colori pastello che esaltano il sapore di favola della trama e si sposano perfettamente con la visione del mondo dei due protagonisti e con la trama. Le inquadrature mostrano una varietà eccezionale, spaziando dal primissimo piano al campo lunghissimo anche nella stessa scena, in un uso della grammatica cinematografica che ha pochi eguali nel cinema contemporaneo.

Anderson dà il meglio di sè anche nella sceneggiatura, scritta a quattro mani con Roman Coppola, in cui sposa perfettamente ogni scena con la sua musica, il suo colore e le sue inquadrature, regalandoci un ritratto vivo e realistico della comunità che vive sull'isola. I personaggi sono perfettamente delineati, e interpretati da attori in stato di grazia, su cui spiccano la solita geniale indolenza di Bill Murray e lo straordinario "poliziotto qualunque" di Bruce Willis, seguiti a breve distanza dallo stralunato capo scout di Edward Norton e dalla fredda e indifferente assistente sociale interpretata da Tilda Swinton. Su tutti, tuttavia, brillano i due giovani protagonisti, la cui anarchica energia emerge anche nelle scene più statiche grazie alla forza della sceneggiatura e delle loro espressioni.

Tra scout impreparati, recite ornitologiche e panorami mozzafiato si arriva così al gran finale, in cui tutti, protagonisti inclusi, dovranno fare i conti con la realtà, che potrebbe però dimostrarsi diversa da come avevano immaginato.
Moonrise Kingdom è un piccolo capolavoro, che dimostra ancora una volta la maestria registica e di scrittura di Anderson, a parere di chi scrive uno dei più grandi registi contemporanei per la sua capacità di usare la macchina da presa e di saper raccontare le assurdità della vita con il sorriso e un inconfondibile tocco di poesia.

*****

Pier