Qui, lì, in nessun luogo
Alla morte di Arthur Howitzer Jr., fondatore di The French Dispatch, il supplemento domenicale del quotidiano "The Evening Sun" di Liberty (Kansas), la redazione si riunisce per ricordarlo. Scopre che Howitzer ha deciso che, alla sua morte, il periodico, con sede nell'immaginaria cittadina francese di Ennui-sur-Blasé, dovrà chiudere. La redazione si prepara dunque a stampare l'ultimo numero, fatto di tre storie molto diverse, eppure rappresentative della fervida vita sociale e culturale del paese che lo ospita.
Con The French Dispatch, Anderson si cimenta con nuovi linguaggi (il bianco e nero), soluzione espressive (i cambi scena visibili), generi (il poliziesco/cinema d'azione): pur mantenendo il suo inconfondibile sguardo, è un film diverso, sperimentale, che prova a cercare nuovi modi di raccontare le sue storie fatte.
Il risultato non è convincente come quello di altri registi "usciti dal seminato" - anche a causa della struttura a episodi, che detrae un po' dal coinvolgimento emotivo che solitamente è la forza dei film di Anderson - ma è comunque estremamente affascinante: è sempre una gioia vedere un regista affermato che prova nuove strade, cercando di reinventarsi senza rinunciare a essere se stesso.
La sperimentazione è visibile già nella struttura a episodi e nel tema: The French Dispatch è un'ode al giornalismo narrativo e, più in generale, all'arte del racconto, al coraggio necessario per avere uno sguardo forte, distintivo e per raccontare il mondo per come lo vediamo, senza compromessi. È anche il film più "politico" di Anderson: il conflitto generazionale, da sempre presente nei suoi film, si fa protesta di piazza, il razzismo e l'omofobia fanno capolino in modo delicato ma di impatto, e la polizia compie a favore di camera azioni che richiamano all'omertà che circonda i pestaggi fuori e dentro le carceri, spesso impuniti.
La prima volta di Anderson con il bianco e nero convince, ed è splendida nella sua semplicità e pulizia: in alcune scene i bianchi e neri che sfumano con eleganza l'uno nell'altro, la luce soffusa di un ricordo nostalgico; in altre sono più netti, definiti, quasi espressionisti nel loro delineare luci e ombre. Le periodiche e impreviste incursioni di colore (splendida quella che vede protagonista Saoirse Ronan) hanno una qualità onirica, e contribuiscono a trasportare la vicenda in un altrove che è un "qui" diverso per ciascuno spettatore.
La prova del cast è, come sempre, sontuosa: spiccano Chalamet e Del Toro, divertiti e sornioni, e soprattutto un dolente Jeffrey Wright, cuore pulsante del terzo atto che torreggia su tutti gli altri per peculiarità del personaggio (un giornalista culinario che vuole intervistare il più famoso chef di "cucina poliziesca") e portata emotiva del suo passato.
The French Dispatch può apparire superficiale a causa di un estetismo a limiti del perfezionismo e di un sapore per la messa in scena teatrale, a volte in maniera esplicita. Tuttavia, sotto l'abito buono ed elegante si intuisce un cuore pulsante fatto di personaggi bizzarri ma vivi, reali: un gruppo di adorabili asimmetrici costretti a esibirsi su un palco simmetrico, tondi in un mondo quadrato, perennemente alla ricerca di un qualcosa che, come nella vita, finisce spesso per non arrivare. Ma, sembra dirci Anderson, è nell'attesa, nella continua aspirazione che si realizza l'essere umano: un messaggio vecchio di secoli, ma che sembra sempre più vero nella società odierna.
È un film con una grande amarezza di fondo, un senso di non-finito, di interruzione improvvisa e indesiderata, un profumo di sogni non realizzati che accompagna tutte le storie e la vicenda dell'editore e del suo giornale. The French Dispatch è, in questo senso, un perfetto ritratto della nostra epoca, soprattutto per i giovani e le minoranze: un tempo di eterna attesa, di riconoscimenti cercati, inseguiti, ma mai raggiunti, un eterno presente in cui il passato è un macigno lasciatoci da altri e il futuro ha, forse, smesso di esistere.
*** 1/2
Pier
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