Fantasmi dal passato
Collie, madre di due figli, Trevor e Phoebe, scopre che il padre, che non vede da anni, è passato a miglior vita, lasciandole in eredità una casa pericolante in Oklahoma. Inizialmente riluttante ad accettare l'eredità, è costretta a farlo quando viene sfrattata. Il viaggio in Oklahoma diventa ben presto un viaggio sulle tracce del padre, ritiratosi in quell'angolo sperduto per continuare le sue indagini sul paranormale e prevenire un evento catastrofico. Figlia e nipoti scopriranno ben presto che la casa e la cittadina nascondono non poche stranezze.
Non era facile tornare, dopo tanto tempo, nell’universo degli acchiappafantasmi. Il primo film è uscito nel 1984: parliamo di quasi 40 anni, durante i quali il cinema è cambiato e il pubblico con lui. Riportare in vita la saga richiedeva un lavoro paziente, amorevole, capace di reinterpretare il "mito" senza tradirne lo spirito.
L'intuizione vincente di Jason Reitman è quella di sfruttare questa distanza temporale e renderla parte integrante della trama. Per i suoi protagonisti, gli eventi ectoplasmatici di New York sono un passato lontano, eventi che hanno segnato chi li ha vissuti - direttamente o indirettamente - ma sono sbiaditi nella memoria collettiva. Questa distanza diventa quindi l'occasione per intrecciare un dialogo tra generazioni, un dialogo che passa dall'aspetto umano ma anche da quello tecnologico.
La continua commistione tra digitale e analogico, l’uso di VHS ma anche di video YouTube e podcast (con questi ultimi che costituiscono il cuore comico del film) per raccontare la “mitologia” dei Ghostbusters alle nuove generazioni – sia i personaggi, sia il pubblico in sala: tutto concorre a creare un’atmosfera di scoperta, anziché di nostalgia, senza rinunciare a quella familiarità utile a riportare a bordo i fan della prima ora, “tranquillizzandoli” dopo il poco riuscito remake del 2016. Un'operazione, questa, simile a quella operata da J.J. Abrams con Episodio VII.
A differenza di Episodio VII, tuttavia, Ghostbusters – Legacy non è la copia carbone di uno degli episodi precedenti. Reitman non usa il linguaggio della nostalgia, ma quello del ricordo, puntando sul racconto intergenerazionale: il film è impostato come fosse un racconto da genitore (anzi, da nonno) ai figli/nipoti, come quando ci raccontavano dei tempi della guerra. Le ovvie connessioni tra personaggi e spettatori, e persino tra regista e regista (Jason è il figlio di Ivan, regista dei due Ghostbusters originali), creano un’atmosfera meta-narrativa che trasporta lo spettatore in un viaggio attraverso la storia, nel senso più ampio del termine.
Pur ricalcandone i topoi narrativi (i fantasmi, la profezia sulla fine del mondo, il villain), Reitman si stacca decisamente dal modello dell’originale sia a livello di trama che di ambientazione. Da un gruppo di scienziati si passa a una famiglia disfunzionale; dai grattacieli e dalla vita brulicante di New York si passa ai campi dell’Oklahoma, immersi in un senso di cupa decadenza, tra case abbandonate, miniere semideserte, e cittadine che non offrono alcuna prospettiva. Il cambiamento è vincente. Ghosbusters – Legacy ha una sua estetica distintiva, ben precisa e riconoscibile, diversa da quella dei predecessori: un'atmosfera da southern gothic con spruzzate lovecraftiane (il tempio nella miniera), con una casa infestata che diventa il cuore della trama (non è un caso che l’altro sceneggiatore sia Gil Kenan, già autore di quel gioiellino sottovalutato di Monster House).
La trama è incentrata sul percorso di crescita e maturazione dei personaggi: (ri)scoprendo il proprio passato trovano se stessi, ottenendo una risoluzione di conflitti interiori a lungo sopiti. Nulla di straordinariamente originale, ma abbastanza perché ci si affezioni ai nuovi protagonisti, che risultano essere persone vere - con problemi, nevrosi, frustrazioni reali - anziché archetipi. La mancanza di personaggi reali era invece il principale difetto del remake del 2016, che non aveva colto l'eccezionalità del film originale, dove dei personaggi ben poco caratterizzati riuscivano a funzionare solo grazie all'eccezionale talento degli attori protagonisti.
Se la vera protagonista è indubbiamente Phoebe (la splendida sorpresa McKenna Grace), il cuore emotivo del film è Callie Spengler, la figlia di Egon. Il suo è anche il personaggio più originale, una madre assente ma al tempo stesso affettuosa, incapace di dimenticare un passato che l'ha ferita e che, come un fantasma, torna di continuo a tormentarla. Callie è il nodo centrale del sistema di relazioni che costituisce la famiglia allargata dei nuovi acchiappafantasmi, ed è proprio lei ad affrontare il percorso di crescita più tortuoso e più soddisfacente.
L'arco narrativo di maturazione e autoconoscenza dei personaggi fa sì che la botta nostalgica, quando arriva (e arriva, oh, se arriva) lo faccia in modo organico, naturale: non è imposta o forzata, ma guadagnata, una diretta conseguenza della crescita emotiva ed esperienziale dei protagonisti. Proprio per questo, colpisce dritto al cuore, e non lascia quell’impressione di fan service che spesso caratterizza operazioni di questo tipo. Certo, il combattimento finale non brilla per originalità: ma, in fondo, tutte le grandi storie si somigliano, e questa non poteva fare eccezione.
Ghostbusters – Legacy è un tentativo riuscito di portare una delle saghe più amate degli anni Ottanta nel nuovo millennio. Reitman dimostra un chiaro amore per il materiale originale, e riesce abilmente a bilanciare gli elementi horror (una delle chiavi del successo del primo film, anche se spesso si tende a dimenticarlo) e di commedia - anche se ovviamente non raggiunge le vette del primo film (e come potrebbe?). Reitman indulge nella nostalgia solo lo stretto necessario, e realizza un film che, pur non osando nulla di eccessivamente originale, riesce comunque a trovare soluzioni intelligenti per rinnovare la saga senza bisogno di stravolgerla. Non è poco.
*** 1/2
Pier
Nessun commento:
Posta un commento