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lunedì 24 luglio 2023

Barbie

Life of plastic ain't fantastic

Barbie Stereotipo vive a Barbieland, un Eden rosa confetto dove tutto è perfetto e le varie Barbie conducono la vita che desiderano. Improvvisamente, però, Barbie Stereotipo viene assalita da pensieri di morte, e comincia a perdere la sua perfezione: per ritrovarla, dovrà avventurarsi nel nostro mondo, dove troverà una realtà molto diversa da quella che immaginava.

Cosa significa essere donne, e in particolare essere donne oggi? Domanda da un miliardo di dollari, che domina da tempo discorsi in circoli intellettuali e sui social media (con fazioni faziose l'un contro l'altra armate che troppo spesso soffocano le voci di chi ha davvero qualcosa da dire) e, in misura minore (fin troppo minore), quelli della politica. Molte, ma soprattutto molti, dei partecipanti a questo dibattito avrebbero sorriso condiscendenti se un mese fa qualcuno avesse detto loro che una delle risposte più convincenti, per quanto giocoforza non approfondite, a questa domanda sarebbe arrivata da un film mainstream hollywoodiano, uno di quelli progettati per guadagnare soldi. Il sorriso si sarebbe trasformato in risata sguaiata se questo qualcuno avesse detto loro che il film in questione avrebbe avuto per protagonista Barbie, colei che per le fazioni faziose rappresenta o il simbolo di quando le donne "facevano veramente le donne", prima che saltassero loro strani grilli per la testa come, che so, la parità di trattamento; oppure, dall'altra parte, il simbolo del patriarcato turbocapitalista con scappellamento a destra come fosse Soros.

Ambedue le fazioni avrebbero torto. Greta Gerwig realizza un film che qualcuno ha già definito, a ragione, un potenziale cult generazionale: un film divertentissimo, visivamente abbacinante e ipercreativo, e al tempo stesso in grado di parlare di condizione femminile in modo efficace, senza risultare né eccessivamente didascalico, né troppo superficiale. Chiariamoci, il livello di approfondimento avrebbe indubbiamente potuto essere maggiore, ma non in un film del genere, che mira a parlare a un pubblico grande, grandissimo: l'analisi più approfondita spetta a film come Una donna promettente, che hanno un target di pubblico (ed economico) molto più ristretto. Il miracolo di Gerwig sta nel riuscire a parlare comunque di condizione femminile, patriarcato e mascolinità in un film dai colori pastello che ha come protagonista Barbie, sfruttando proprio l'ambiguità culturale della bambola per portare avanti il proprio messaggio.


Barbie è uno di quei film che non si può fare a meno di descrivere con l'abusata parola stratificato: c'è il puro intrattenimento, con alcuni dei momenti più divertenti dell'anno cinematografico, ma c'è anche una metafora biblico-religiosa, un Eden a sessi invertiti in cui il patriarcato si insinua come il biblico serpente, e in cui la presa di coscienza porta all'emancipazione (sarebbe felice Milton); c'è una fantasia con momenti di follia degni dei Looney Tunes, ma c'è anche una riflessione sul riappropriarsi della propria narrativa, con il gioco "sbagliato" che si rivela più giusto di quello "corretto" e predefinito; c'è, come detto, una riflessione sulla femminilità, ma anche una sulla mascolinità fragile, perfettamente incarnata dal Ken di Ryan Gosling, co-protagonista flamboyant che cerca (e spesso riesce, in modo goffo ed esilarante) a rubare lo schermo all'eroina del film; c'è, infine, un film per ragazze che hanno appena dismesso le loro Barbie, e per donne che le hanno dismesse tempo fa, e che ora, forse, le riscoprono con le proprie figlie.

Ci sarebbe ancora tanto da dire sui temi del film, ma mi limiterò a dire che Gerwig ha il grande merito di non fermare la "critica a Barbie" a quella, delle sue impossibili proporzioni fisiche e al conseguente irraggiungibile ideale di perfezione, ma di sviscerare quello che è, forse, un problema ancora più grave creato dalle varie incarnazioni della bambola: quello di aver fatto credere a tantissime bambine di poter essere tutto ciò che volevano (artiste, astronaute, medici), come se tutto fosse a portata di mano: non è un caso che l'atto dirompente di Barbie, quello che mette in moto l'azione e squarcia il velo di Maya è il tentativo di creare Barbie che raccontino la realtà del nostro mondo, una realtà in cui le donne devono combattere contro barriere di ogni genere (esplicite e implicite, esterne e introiettate) per poter trovare un proprio posto nel mondo.

Gerwig, con abilità da equilibrista, riesce a mantenere in equilibrio tutte queste anime, realizzando uno dei prodotti più metatestuali mai visti al cinema (nemmeno Lego Movie aveva toccato queste vette). A volte il gioco le sfugge di mano, è vero, e ci sono alcuni punti in cui la trama è meno scorrevole: le scene con i dirigenti di Mattel, ad esempio, sono abbastanza superflue, e sembrano quasi un excusatio non petita con cui Gerwig cerca di far vedere che attacca anche l'azienda che sta producendo il film - un esercizio non necessario visto ciò che fa nel resto del film. 
La regista, tuttavia, riesce nella difficile impresa di non farsi intrappolare né in un eccessivo world building, né in una furia moralizzatrice che avrebbero azzoppato il film. Barbieland esiste, e basta: la spiegazione di "come funziona" è di quelle che ci aspetteremmo nei film di fiabe o, appunto, in un corto con Road Runner e Will. E. Coyote. Allo stesso modo, l'unico vero "spiegone" del film, un monologo affidato ad America Ferrera, viene declinato in modo geniale, e riesce a essere sia un momento di risveglio (il momento in cui ogni donna scopre di star giocando a un gioco truccato), sia una parodia dei discorsi motivazionali da film sportivo che tanto piacciono al pubblico maschile: se lo avete trovato ridondante o poco realistico, provate a riguardare un monologo come quello di Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica e chiedervi chi farebbe un discorso del genere nella vita reale (risposta: nessuno, nella vita reale va più o meno come nel Maledetto United).


Visivamente, Barbie è un trionfo: dalla scenografia alla fotografia, passando per i costumi, raramente si è vista una perfezione di colori, forme e proporzioni (al di fuori di un film di Wes Anderson), che tocca il suo apice in un momento che coinvolge tutti i Ken verso la fine del film. Il comparto musicale non è da meno, tra canzoni in stile musical e musiche di successo che si integrano perfettamente nell'anima pop del film, che con piglio warholiano prende un'icona e la reimmagina con l'occhio dell'artista.
Il cast è semplicemente perfetto: Ryan Gosling domina la scena con un giusto mix di bovina idiozia, plasticosa avvenenza, e pericolosa stolidezza, ma Margot Robbie offre una performance fenomenale, meno appariscente ma tremendamente efficace, fatta di microreazioni e gesti che donano un'anima alla bambola di plastica più stereotipata che ci sia. Accanto a loro da segnalare anche le prove di America Ferrera, vero cuore morale ed emotivo del film, Kate McKinnon, fenomenale Barbie Strana, e Michael Cera, uomo anonimo e, al tempo stesso, molto più profondo dei suoi "amici" Ken.

Barbie è un animale mitologico che credevamo estinto, un blockbuster d'autore che adotta un taglio postmoderno che non tutti riusciranno a digerire. Per molti risulterà ipertrofico, un film che prova a dire troppo senza dire nulla: è una critica legittima, anche se chi scrive non concorda vista la complessità e la stratificazione che Gerwig è stata in grado di creare. A risultare artificiose o, peggio ancora, preconcette sono le critiche di alcuni commentatori (tutti di sesso maschile) che, come ben evidenziato da altre persone più qualificate di me, sembrano sorpresi e addirittura stizziti nel trovarsi davanti un prodotto di cui, udite udite, non sono il target principale. Ricordano, in tal senso, le critiche piombate addosso a Black Panther, accusato di non pensare abbastanza al pubblico bianco, classico target dei film di supereroi.

Barbie è un film scritto pensando alle donne, è vero; ma non è, nonostante quanto possano dire alcuni, un film che odia gli uomini, a meno che lo spettatore non veda come un insulto il fatto che una bambola anonima, accessoria e dal sorriso stolido come Ken venga rappresentato come un personaggio anonimo, stolido, e accessorio. Barbie è, invece, un film che ha tanto, tantissimo da dire anche agli uomini: basta voler ascoltare o, se proprio si vuol fare orecchie da mercante, farsi trascinare da un ottovolante forse un po' troppo lungo, ma coloratissimo e divertentissimo.

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Pier

giovedì 10 dicembre 2020

Tesori Nascosti - #7: Edizione Natale

Torna "Tesori nascosti", la rubrica che segnala film meritevoli di recupero passati inosservati o quasi in Italia. Vista la vicinanza con il Natale, la puntata di oggi è dedicata ai film ambientati nel periodo delle feste di Natale.

Ogni film è corredato di voto, informazioni su dove reperire il film, e di un breve commento o un link alla nostra recensione.


1. Le 5 leggende, voto 7.5
Generefantasy
Anno: 2012
Regista
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: Netflix, Infinity
Commento: Babbo Natale, la Fatina dei Denti, il Coniglio di Pasqua e Sandman non sono solo leggende: sono i Guardiani che proteggono li sogni dei bambini di tutto il mondo. Quando Pitch Black, l'Uomo Nero, decide di scacciarli e farli precipitare nell'oblio, i Guardiani hanno bisogno d'aiuto. Uno splendido film di Natale, una delle vette dell'animazione Dreamworks, in grado di far sognare bambini e adulti. Qui la recensione completa.

2. Klaus - I segreti del Natale, voto 9.
Genere: fantasy
Anno: 2018
RegistaDavid Lowery
DVD: no
Streaming: Netflix
Commento: Un postino assegnato a una località sperduta nel Nord Europa ravviva l'attività epistolare della zona grazie all'aiuto di Klaus, burbero creatore di bellissimi giocattoli artigianali. Una splendida favola, una storia di amicizia, ma soprattutto un film che sperimenta nuove, magnifiche tecniche di animazione, aprendo nuove possibilità per il futuro di un mezzo in continua evoluzione.

3. Kiss Kiss Bang Bang, voto 8.
Genere: azione, commedia
Anno: 2005
Regista: Shane Black
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: Infinity
Commento: Un ladruncolo e un investigatore privato senza lavoro sono costretti a collaborare e a indagare sulle misteriose morti di due ragazzi. Buddy cop movie abbastanza sui generis, ambientato a Natale (come spesso accade con Shane Black): geniale, stralunato, vivace, un film d'azione che ammicca al noir e che diverte e tiene con il fiato sospeso. Robert Downey Jr. e Val Kilmer semplicemente perfetti.

4. SOS Fantasmi, voto 7.
Genere: commedia drammatica
Anno: 1988
Regista: Richard Donner
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: NowTV, Sky
Commento: Rivisitazione in chiave moderna de Il canto di Natale, con un Bill Murray in gran forma nella parte del direttore di network televisivo che deve produrre un musical proprio ispirato all'opera di Dickens. Racconto e meta-racconto si intersecano, dando vita a una storia surreale che permette a Bill Murray di esibire tutte le sue doti di mattatore.

5. Ogni Maledetto Natale, voto 7.
Genere: commedia, satira
Anno: 2016
Regista: Giacomo Ciarrapico , Luca Vendruscolo , Mattia Torre
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Netflix
CommentoDagli autori di Boris, una satira sociale in salsa natalizia, in cui due ragazzi di diversa estrazione sociale si trovano a trascorrere il Natale con le famiglie dell'altro. Il film, pur peccando a tratti di retorica, diverte e intrattiene senza aver paura del politicamente scorretto (il personaggio di Corrado Guzzanti), con la satira resa più efficace dallo stratagemma di avere gli stessi attori che interpretano ambedue le famiglie, a sottolineare come l'una non sia altro che lo specchio deformato dell'altra.

6. Elf - Un elfo di nome buddy, voto 7.
Genere: commedia fantastica
Anno: 2003
Regista: Jon Favreau
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Sky, Infinity
Commento: Per un caso del destino, un bambino viene cresciuto da Babbo Natale e dagli elfi. Quando diventa troppo grande per restare con loro, sarà costretto ad andare in cerca dei suoi veri genitori. Un Will Ferrell in formissima è protagonista di un film che unisce alla perfezione i toni da commedia per famiglie con quelli più demenziali e satirici del suo cinema.

Pier


lunedì 13 luglio 2020

Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga

Canzoni e risate



Lars e Sigrit si conoscono fin da piccoli, e formano un duo musicale molto affiatato, ma di scarso successo in patria: i Fire Saga. Il sogno di Lars è di partecipare all'Eurovision Song Contest, la più grande competizione del mondo, come rappresentanti del loro paese, l'Islanda. Il destino riserverà loro molte sorprese.

La storia dei Fire Saga fa parte di un genere, quello comico con tocchi di demenziale, tra i più difficili da affrontare: il confine tra "comico" e "grottesco" è molto labile, e la critica (soprattutto italiana) tende a stroncare film di questo genere. Lo sa bene Will Ferrell, che in questo genere si è costruito una carriera; e lo sa bene anche il regista David Dobkin, regista di uno degli esempi più riusciti del genere, Due single a nozze.

Non sorprende, quindi, che La storia dei Fire Saga abbia riscosso poco successo con i critici più paludati, ma gli amanti del genere lo apprezzeranno per la sua capacità di offrire ciò che promette, senza fronzoli e senza eccessive innovazioni nell'intreccio, ma con una buona dose di coraggio e "follia" nella messa in scena. Il film è riuscito proprio per la sua "onestà", per la sua capacità di non prendersi sul serio e concentrarsi solo sugli ingredienti più riusciti: attori, musiche, e costumi e coreografie. Se Will Ferrell non è una sorpresa ed è  come sempre irresistibile con la sua mimica, Rachel McAdams è una rivelazione per la sua capacità di unire un genuino entusiasmo, che si trasmette allo spettatore, e tempi comici perfetti: se in Due single a nozze il suo ruolo si riduceva a quello di interesse amoroso del protagonista, qui è una coprotagonista e spalla comica a tutti gli effetti. Al loro fianco, brilla il poliedrico Dan Stevens, capace di passare da Downton Abbey a Legion a un personaggio puramente comico con una disinvoltura assolutamente stupefacente.



Il punto più riuscito del film sono però le canzoni e il comparto visivo. Tutte le canzoni sono orecchiabili e rimangono in testa a lungo, con un mix tra pop e dance pienamente adeguato al contesto e che non ha nulla da invidiare a musical ben più ambiziosi. Costumi e coreografie sono semplicemente esilaranti, e offrono alcuni dei momenti comici più riusciti del film. In generale, Dobkin e soci catturano alla perfezione lo spirito "sopra le righe" e un po' kitsch dell'Eurovision, anche se appiattiscono un po' la diversità regionale per rendere le canzoni più accessibili al grande pubblico.

La storia dei Fire Saga è un film senza pretese, concepito e realizzato con lo scopo di intrattenere e far sorridere lo spettatore, e centra ambedue gli obiettivi alla perfezione, arricchendoli con una colonna sonora strepitosa e che rimane in testa a lungo. Non è - ma non vuole nemmeno essere - un capolavoro, ma fa il suo dovere fino in fondo, divertendo ed emozionando con una storia di passione e musica che lascerà lo spettatore con un sorriso stampato sul volto: di questi tempi, non è poco.

*** 1/2

Pier