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domenica 10 marzo 2024

Oscar 2024 - I pronostici

Questa notte, come ogni anno, gli occhi del mondo cinematografico si sposteranno sul Dolby Theatre di Los Angeles per la cerimonia di premiazione della novantaduesima edizione degli Academy Awards. 
Il 2023 è stato un anno di eccellenza dal punto di vista cinematografico: moltissimi film - statunitensi e non - hanno ottenuto un largo consenso di critica, e alcuni (Barbie e Oppenheimer su tutti) hanno conquistato anche il pubblico. Se il trionfo (al botteghino e nella stagione dei premi) di Everything, Everywhere, All at Once aveva suggerito che un altro cinema di intrattenimento - creativo, autoriale, di genere - era possibile, quest'anno lo ha sonoramente confermato (e anche la prossima stagione inizia, in tal senso, sotto i migliori auspici). 

Ma chi sono, dunque, i favoriti? Senza ulteriore indugio passiamo ai pronostici, infallibili come sempre: correte in SNAI, e puntate sull'opposto di quanto scrivo. I film recensiti sono linkati ogni volta che vengono nominati.


Miglior montaggio
La grande favorita sembra Jennifer Lame per Oppenheimer, con Yorgos Mavropsaridis per Povere Creature! possibile sorpresa. Su Lame ricade anche la mia scelta personale
Pronostico: 
Jennifer Lame, Oppenheimer
Scelta personale: Jennifer Lame, Oppenheimer

Miglior fotografia
Sezione molto competitiva, con tutti i cinque nominati che potrebbero a buon diritto aggiudicarsi il premio. Rodrigo Prieto fa un ottimo lavoro con Killers of the Flower Moon, così come Edward Lachman per El Conde (felice che il film di Larrain sia riuscito a entrare, per quanto in sordina, nella competizione) e Matthew Libatique per Maestro. I due contendenti più accreditati sembrano però essere il "solito" Hoyte van Hoytema per Oppenheimer e Robbie Ryan per Povere Creature! . Sul primo ricade il mio pronostico, mentre la mia preferenza personale va alle atmosfere tra il gotico e Wes Anderson create dal secondo.
Pronostico: Hoyte van Hoytema, Oppenheimer
Scelta personale: Robbie Ryan, Povere creature!

Miglior film d'animazione
Altra sezione molto competitiva. Elemental è l'ennesima perla della Pixar, un film solo all'apparenza minore, capace di riprendersi da una partenza stentata al botteghino (complice anche una critica pigra e superficiale) per diventare un successo. Nimona, produzione Netflix, è un gioiellino che dovete assolutamente recuperare. I due contendenti principali sembrano però essere Hayao Miyazaki con il suo film più personale e innovativo, Il Ragazzo e l'Airone, e il secondo capitolo delle avventure dello Spider-Man di Miles Morales, un film che, così come il primo capitolo, ridefinisce le regole di cosa sia l'animazione. Scelta difficilissima, ma il mio pronostico ricade sul maestro giapponese, mentre la scelta personale premia il secondo capitolo dello Spider-Verse.
PronosticoIl ragazzo e l'airone
Scelta personale: Spider-Man - Across the Spider-Verse

Miglior attore non protagonista
La ragione dice Robert Downey Jr, che in Oppenheimer  ricorda a tutti di essere, prima ancora che Iron Man, un attore drammatico di livello eccelso, regalandoci uno dei villain cinematografici più interessanti degli ultimi anni. Su di lui ricade il mio pronostico. Il cuore, però, non può che dire Ryan Gosling, sia perché il suo Ken è uno dei personaggi più esilaranti della stagione, sia come risarcimento per aver quasi del tutto ignorato Barbie, sia perché il momento che più attendo della cerimonia sarà la sua esibizione quando canterà I'm just Ken, nominata per la miglior canzone.
Pronostico: Robert Downey Jr, Oppenheimer
Scelta personale: Ryan Gosling, Barbie


Miglior attrice non protagonista
Qui sembra esserci una favorita molto chiara, Da'Vine Joy Randolph per The Holdovers. Purtroppo non ho ancora avuto occasione di vedere il film, quindi la mia scelta personale ricade su America Ferrera per Barbie.
Pronostico: Da'Vine Joy Randolph, The Holdovers. 
Scelta personale: America Ferrera, Barbie

Miglior sceneggiatura originale
Qui i favoriti sono Justine Triet e Arthur Harari per Anatomia di una Caduta, la grande sorpresa di questa stagione dei premi. Non ho ancora visto il film se non una scena, ma è talmente clamorosa come scrittura che mi basta per dare loro anche la mia preferenza personale.
Pronostico: Justine Triet e Arthur Harari, Anatomia di una Caduta
Scelta personale: Justine Triet e Arthur Harari, Anatomia di una Caduta

Miglior sceneggiatura non originale
Sezione decisamente più competitiva di quella per la sceneggiatura originale. La favorita sembra essere Greta Gerwig (con Noah Baumbach) per Barbie, anche se non si può escludere la vittoria di Cord Jefferson per American Fiction. Su Gerwig ricade anche la mia scelta personale.
Pronostico: Greta Gerwig e Noah Baumbach, Barbie
Scelta personale: Greta Gerwig e Noah Baumbach, Barbie


Miglior attrice protagonista
La sezione in cui è pronto a consumarsi il grande scandalo, con la vittoria quasi certa di Lily Gladstone per Killers of the Flower Moon: ottima prova la sua, ma decisamente non indimenticabile. In patria è spinta dalla solita coda di paglia degli statunitensi nei confronti di popolazioni/etnie contro cui hanno compiuto crimini indicibili, e la cosa è resa ancora più evidente dal fatto che non ha vinto alcun premio tra quelli assegnate da giurie non USA (BAFTA e Golden Globes). Il premio, se esistesse giustizia, dovrebbe andare alla prova ipnotica e irripetibile di Emma Stone in Povere Creature!, o al massimo all'eccellente Carey Mullighan di Maestro- Sulla Stone ricade la mia scelta personale.
Pronostico: Lily Gladstone, Killers of the flower moon
Scelta personale: Emma Stone, Povere creature!

Miglior attore protagonista
By order of the Peaky Blinders, questo premio non può che andare a quell'attore fenomenale (e fonte inesauribile di meme) che è Cillian Murphy, che finalmente sta ottenendo il riconoscimento che si merita. Gli altri candidati possono fare a meno di presentarsi.
Pronostico: Cillian Murphy, Oppenheimer
Scelta personale: Cillian Murphy, Oppenheimer

Miglior regia
Questo è l'anno in cui, finalmente, Christopher Nolan otterrà una statuetta che avrebbe già meritato innumerevoli volte ma che, come tanti altri grandi prima di lui (Kubrick, cui spesso viene paragonato, l'esempio più preclaro), finora non ha mai ottenuto. Su di lui ricadono sia il mio pronostico che la mia scelta personale, considerando che Greta Gerwig, unica regia che mi aveva convinto quanto quella di Nolan, non è nemmeno stata nominata.
Pronostico: Christopher Nolan, Oppenheimer
Scelta personale: Christopher Nolan, Oppenheimer


Miglior film
Per il sottoscritto il discorso non dovrebbe nemmeno aprirsi: Oppenheimer è il miglior film dell'anno, l'apice della carriera di Nolan per capacità di unire ambizione narrativa, impronta autoriale, e appeal commerciale. Chi scrive sarebbe felice anche per un successo di Barbie, ma visto come l'Academy ha snobbato il film un trionfo nella categoria più importante appare improbabile. Fino alla vigilia Oppenheimer appariva favorito, ma sotto traccia si comincia a parlare di una possibile vittoria a sorpresa, che però sarebbe perfettamente in linea con il trend di premiare film che hanno un messaggio sociale: quella de La Zona di Interesse. Su di esso, dunque, ricade il mio pronostico.
Pronostico: La zona di interesse
Scelta personale: Oppenheimer

Che aspettate? Correte in sala scommesse!

Pier

lunedì 24 luglio 2023

Barbie

Life of plastic ain't fantastic

Barbie Stereotipo vive a Barbieland, un Eden rosa confetto dove tutto è perfetto e le varie Barbie conducono la vita che desiderano. Improvvisamente, però, Barbie Stereotipo viene assalita da pensieri di morte, e comincia a perdere la sua perfezione: per ritrovarla, dovrà avventurarsi nel nostro mondo, dove troverà una realtà molto diversa da quella che immaginava.

Cosa significa essere donne, e in particolare essere donne oggi? Domanda da un miliardo di dollari, che domina da tempo discorsi in circoli intellettuali e sui social media (con fazioni faziose l'un contro l'altra armate che troppo spesso soffocano le voci di chi ha davvero qualcosa da dire) e, in misura minore (fin troppo minore), quelli della politica. Molte, ma soprattutto molti, dei partecipanti a questo dibattito avrebbero sorriso condiscendenti se un mese fa qualcuno avesse detto loro che una delle risposte più convincenti, per quanto giocoforza non approfondite, a questa domanda sarebbe arrivata da un film mainstream hollywoodiano, uno di quelli progettati per guadagnare soldi. Il sorriso si sarebbe trasformato in risata sguaiata se questo qualcuno avesse detto loro che il film in questione avrebbe avuto per protagonista Barbie, colei che per le fazioni faziose rappresenta o il simbolo di quando le donne "facevano veramente le donne", prima che saltassero loro strani grilli per la testa come, che so, la parità di trattamento; oppure, dall'altra parte, il simbolo del patriarcato turbocapitalista con scappellamento a destra come fosse Soros.

Ambedue le fazioni avrebbero torto. Greta Gerwig realizza un film che qualcuno ha già definito, a ragione, un potenziale cult generazionale: un film divertentissimo, visivamente abbacinante e ipercreativo, e al tempo stesso in grado di parlare di condizione femminile in modo efficace, senza risultare né eccessivamente didascalico, né troppo superficiale. Chiariamoci, il livello di approfondimento avrebbe indubbiamente potuto essere maggiore, ma non in un film del genere, che mira a parlare a un pubblico grande, grandissimo: l'analisi più approfondita spetta a film come Una donna promettente, che hanno un target di pubblico (ed economico) molto più ristretto. Il miracolo di Gerwig sta nel riuscire a parlare comunque di condizione femminile, patriarcato e mascolinità in un film dai colori pastello che ha come protagonista Barbie, sfruttando proprio l'ambiguità culturale della bambola per portare avanti il proprio messaggio.


Barbie è uno di quei film che non si può fare a meno di descrivere con l'abusata parola stratificato: c'è il puro intrattenimento, con alcuni dei momenti più divertenti dell'anno cinematografico, ma c'è anche una metafora biblico-religiosa, un Eden a sessi invertiti in cui il patriarcato si insinua come il biblico serpente, e in cui la presa di coscienza porta all'emancipazione (sarebbe felice Milton); c'è una fantasia con momenti di follia degni dei Looney Tunes, ma c'è anche una riflessione sul riappropriarsi della propria narrativa, con il gioco "sbagliato" che si rivela più giusto di quello "corretto" e predefinito; c'è, come detto, una riflessione sulla femminilità, ma anche una sulla mascolinità fragile, perfettamente incarnata dal Ken di Ryan Gosling, co-protagonista flamboyant che cerca (e spesso riesce, in modo goffo ed esilarante) a rubare lo schermo all'eroina del film; c'è, infine, un film per ragazze che hanno appena dismesso le loro Barbie, e per donne che le hanno dismesse tempo fa, e che ora, forse, le riscoprono con le proprie figlie.

Ci sarebbe ancora tanto da dire sui temi del film, ma mi limiterò a dire che Gerwig ha il grande merito di non fermare la "critica a Barbie" a quella, delle sue impossibili proporzioni fisiche e al conseguente irraggiungibile ideale di perfezione, ma di sviscerare quello che è, forse, un problema ancora più grave creato dalle varie incarnazioni della bambola: quello di aver fatto credere a tantissime bambine di poter essere tutto ciò che volevano (artiste, astronaute, medici), come se tutto fosse a portata di mano: non è un caso che l'atto dirompente di Barbie, quello che mette in moto l'azione e squarcia il velo di Maya è il tentativo di creare Barbie che raccontino la realtà del nostro mondo, una realtà in cui le donne devono combattere contro barriere di ogni genere (esplicite e implicite, esterne e introiettate) per poter trovare un proprio posto nel mondo.

Gerwig, con abilità da equilibrista, riesce a mantenere in equilibrio tutte queste anime, realizzando uno dei prodotti più metatestuali mai visti al cinema (nemmeno Lego Movie aveva toccato queste vette). A volte il gioco le sfugge di mano, è vero, e ci sono alcuni punti in cui la trama è meno scorrevole: le scene con i dirigenti di Mattel, ad esempio, sono abbastanza superflue, e sembrano quasi un excusatio non petita con cui Gerwig cerca di far vedere che attacca anche l'azienda che sta producendo il film - un esercizio non necessario visto ciò che fa nel resto del film. 
La regista, tuttavia, riesce nella difficile impresa di non farsi intrappolare né in un eccessivo world building, né in una furia moralizzatrice che avrebbero azzoppato il film. Barbieland esiste, e basta: la spiegazione di "come funziona" è di quelle che ci aspetteremmo nei film di fiabe o, appunto, in un corto con Road Runner e Will. E. Coyote. Allo stesso modo, l'unico vero "spiegone" del film, un monologo affidato ad America Ferrera, viene declinato in modo geniale, e riesce a essere sia un momento di risveglio (il momento in cui ogni donna scopre di star giocando a un gioco truccato), sia una parodia dei discorsi motivazionali da film sportivo che tanto piacciono al pubblico maschile: se lo avete trovato ridondante o poco realistico, provate a riguardare un monologo come quello di Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica e chiedervi chi farebbe un discorso del genere nella vita reale (risposta: nessuno, nella vita reale va più o meno come nel Maledetto United).


Visivamente, Barbie è un trionfo: dalla scenografia alla fotografia, passando per i costumi, raramente si è vista una perfezione di colori, forme e proporzioni (al di fuori di un film di Wes Anderson), che tocca il suo apice in un momento che coinvolge tutti i Ken verso la fine del film. Il comparto musicale non è da meno, tra canzoni in stile musical e musiche di successo che si integrano perfettamente nell'anima pop del film, che con piglio warholiano prende un'icona e la reimmagina con l'occhio dell'artista.
Il cast è semplicemente perfetto: Ryan Gosling domina la scena con un giusto mix di bovina idiozia, plasticosa avvenenza, e pericolosa stolidezza, ma Margot Robbie offre una performance fenomenale, meno appariscente ma tremendamente efficace, fatta di microreazioni e gesti che donano un'anima alla bambola di plastica più stereotipata che ci sia. Accanto a loro da segnalare anche le prove di America Ferrera, vero cuore morale ed emotivo del film, Kate McKinnon, fenomenale Barbie Strana, e Michael Cera, uomo anonimo e, al tempo stesso, molto più profondo dei suoi "amici" Ken.

Barbie è un animale mitologico che credevamo estinto, un blockbuster d'autore che adotta un taglio postmoderno che non tutti riusciranno a digerire. Per molti risulterà ipertrofico, un film che prova a dire troppo senza dire nulla: è una critica legittima, anche se chi scrive non concorda vista la complessità e la stratificazione che Gerwig è stata in grado di creare. A risultare artificiose o, peggio ancora, preconcette sono le critiche di alcuni commentatori (tutti di sesso maschile) che, come ben evidenziato da altre persone più qualificate di me, sembrano sorpresi e addirittura stizziti nel trovarsi davanti un prodotto di cui, udite udite, non sono il target principale. Ricordano, in tal senso, le critiche piombate addosso a Black Panther, accusato di non pensare abbastanza al pubblico bianco, classico target dei film di supereroi.

Barbie è un film scritto pensando alle donne, è vero; ma non è, nonostante quanto possano dire alcuni, un film che odia gli uomini, a meno che lo spettatore non veda come un insulto il fatto che una bambola anonima, accessoria e dal sorriso stolido come Ken venga rappresentato come un personaggio anonimo, stolido, e accessorio. Barbie è, invece, un film che ha tanto, tantissimo da dire anche agli uomini: basta voler ascoltare o, se proprio si vuol fare orecchie da mercante, farsi trascinare da un ottovolante forse un po' troppo lungo, ma coloratissimo e divertentissimo.

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Pier