L'epica quotidianità del male
Faust è il capitolo conclusivo della tetralogia del potere di Alexander Sokurov. Dopo Hitler (Moloch), Lenin (Taurus) e l'imperatore Hirohito (Il sole), il grande cineasta russo volge la sua attenzione a uno dei miti più celebri della letteratura moderna, quel Faust che ha avuto nel capolavoro di Goethe la sua più completa e tragica rappresentazione.
Sokurov affronta il personaggio e la sua leggenda con rispetto per i suoi illustri predecessori, ma allo stesso tempo se ne distacca totalmente. Il suo Faust è un uomo qualunque, privo di quella carica emotiva che lo ha sempre caratterizzato. Il mondo intorno a lui è freddo e cinico, dominato da una natura quasi leopardiana nella sua malignità (e, forse non a caso, il film è stato girato in Islanda), fatta di paesaggi desolati e ostili, esaltati da una fotografia che predilige i grigi e i marroni, con un'assenza quasi totale di luce e colori vivaci.
La vera innovazione, però, Sokurov la apporta al personaggio di Mefistofele, umano, troppo umano, quasi una proiezione del lato malvagio di Faust, una rappresentazione vivente della sporcizia della sua coscienza, disposta a rinunciare all'anima in cambio della passione. Mefistofele è qui sullo stesso piano di Faust, non gli è inferiore, dialoga con lui da pari a pari, vagando per un mondo in cui il suo ruolo di diavolo è sminuito e la sua malvagità non risalta più di troppo. La sua deformità ci ricorda la sua vera natura, ma la viltà e la volgarità del personaggio sono lontanissimi dal Mefistofele di Goethe, maestro di inganni e dotato di grande sapienza.
Sokurov ci porta ancora una volta a passeggio nella banalità del male, e lo fa con il film forse più complesso dell'intera tetralogia, girato in 4:3, con una trama densa di significati ma lenta e priva di azione. Un film che per temi e potenza visiva non può non essere considerato un capolavoro, ma che risulta eccessivamente ermetico e artificialmente "difficile" in numerosi passaggi.
Un film per pochi, insomma, un momento di grandissimo cinema dall'accessibilità però complessa, che rischia di allontanare piuttosto che avvicinare il pubblico dal cinema d'autore. Proprio per questo resto perplesso per la decisione di assegnargli il Leone d'oro, un premio senza dubbio meritato per la forza dell'opera, ma che avrebbe forse recato maggior beneficio al cinema "alto" se fosse andato a un film ugualmente meritevole, ma meno complesso dal punto di vista filologico e interpretativo.
Faust è senza dubbio un grandissimo film, una di quelle opere che, se riescono a toccare le corde giuste, rimangono per sempre nel cuore dello spettatore per forza visiva e impatto emotivo. Allo stesso tempo, tuttavia, è anche un film difficile, "chiuso" e complesso, un film forse troppo elitario per essere ritenuto appieno un capolavoro.
***1/2
Pier
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