martedì 29 ottobre 2024

Il Robot Selvaggio

Poesia nazionalpopolare


Precipitato dal cielo su un'isola, un robot viene attivato per caso dalla fauna locale. Programmato per essere d'aiuto, cercherà un compito da eseguire, fino a trovarlo, dopo un tragico incidente, nell'allevare un pulcino di oca, rendendolo pronto per una vita fatta di migrazioni e predatori. 

Si alza un po' il sopracciglio, a leggere le sperticate lodi di cui tutti o quasi stanno ricoprendo Il robot selvaggio, ultima fatica di casa Dreamworks. Il film è indubbiamente molto meritevole dal punto di vista artistico, nonché il secondo migliore - dietro al recente sequel de Il gatto con gli stivali (se non lo avete visto, recuperatelo) - sfornato dalla casa del Bambino sulla Luna dai tempi dell'ingiustamente sottovalutato Le cinque leggende. Finalmente obbligata (grazie allo SpiderVerse) dall'obbligo (autoimposto) decennale del fotorealismo, l'animazione statunitense sembra rinata, esplorando quell'ibridazione di stile e tecniche introdotto dalla Disney con il corto Paperman e portato al successo critico e commerciale dagli SpiderVerse, appunto, ma anche da lavori come Nimona e Arcane, oltre che da alcuni recenti prodotti sia Disney che Pixar

Chris Sanders, il regista, ha il grande merito di non copiare i predecessori, ma di ricercare uno stile personale, quasi impressionistico nella rappresentazione dei paesaggi, delle ombreggiature, e delle pellicce degli animali. Se l'effetto su questi ultimi può dividere, risultando a tratti un po' artefatto, su paesaggi e rapporto luci-ombre Sanders fa decisamente centro, regalando agli spettatori alcune delle sequenze visivamente più mozzafiato degli ultimi anni: veri e propri quadri in movimento, in cui lo spettatore resta a bocca aperta di fronte alle meraviglie della natura.

A essere meno riuscita è, tuttavia, un aspetto che storicamente era un punto di forza di casa DreamWorks, ovvero la storia. La narrazione procede a salti, senza un reale arco narrativo, con personaggi che cambiano "perché sì" e alcuni momenti raccontati con troppa fretta e approssimazione. La tensione è del tutto assente anche quando dovrebbe esistere, dato che abbiamo visto il contrasto che dovrebbe guidarla risolversi quasi subito nei fatti, anche se non a parole. 

Qualcuno potrebbe, a ragione, obiettare che la forza nel film dovrebbe essere nelle tematiche raccontate - genitorialità ed ecologismo - e non nella storia narrata. Dovrebbe, appunto. Al netto del fatto che le stesse tematiche sono già state affrontate in uno dei film più ingiustamente bistrattati della Pixar, Il viaggio di Arlo, ambedue le tematiche non sono approfondite quanto dovrebbero, una in particolare.

Il racconto sulla genitorialità è semplice, forse troppo, ma quantomeno efficace e molto centrato, soprattutto di questi tempi, e crea anche alcuni dei momenti di commozione del film. Quello che non convince è il discorso ecologista, davvero troppo semplicista per funzionare con il "secondo target" di questo film, ovvero gli adulti. Mancano la profondità e la capacità di accettare anche gli aspetti meno "pucciosi" della natura (l'esistenza di predati e predatori) che è invece presente nei lavori del maestro del genere, Hayao Miyazaki - sia nei suoi classici, come Principessa Mononoke, sia in lavori più recenti come Il ragazzo e l'airone. Anche il già menzionato Il viaggio di Arlo presentava una natura più realistica, madre e matrigna insieme. Sanders, forse rimanendo troppo ancorato dal romanzo da cui il film è tratto, offre quindi una ricetta rassicurante ma troppo, troppo semplicistico, in cui l'armonia deriva da un sovvertimento impossibile dell'ordine naturale.

Cosa rimane, quindi, di questo Robot selvaggio? Rimane una bella fiaba per bambini, e solo per bambini, con immagini creative e splendide che da sole bastano, nonostante le pecche narrative, a piazzare il film tra i favoriti per l'Oscar per la miglior animazione. Rimane però anche una sensazione di occasione persa, perché sarebbe bastata una maggiore attenzione narrativa per poter parlare a tutti i tipi di pubblico e urlare, con ragione, al capolavoro.

***

Pier

mercoledì 2 ottobre 2024

Joker: Folie à Deux

Danzare con il diavolo nel pallido plenilunio

 

Dopo gli eventi di Joker, Arthur Fleck è rinchiuso ad Arkham in attesa del processo. Un giorno conosce un’altra paziente/detenuta, Harleen “Lee” Quinzel, che gli rivela di essere una grande ammiratrice delle sue gesta e del suo “vero io”, Joker. Tra i due inizia una “follia a due”, una relazione sentimentale in equilibrio tra realtà e fantasia, fatta di numeri musicali intrisi di amore e violenza. 

Non si può certo dire che Todd Phillips manchi di coraggio. L’enorme successo di Joker era già una montagna altissima da scalare, roba da far tremare i polsi di registi più scafati e abituati al cinema d’autore. Phillips non solo non si scompone, ma rilancia, realizzando un musical psicoanalitico a tinte dark, uno splendido ibrido di generi che ci porta ancora una volta a esplorare la mente di Arthur Fleck, questa volta abitata non solo da depressione, inadeguatezza, e folle desiderio di rivalsa, ma anche dall’amore. Un amore vero, non come quello immaginario vissuto nel primo film – o almeno così sembrerebbe. Lee è innamorata di lui, lo bacia, lo loda, gli si concede, lo supporta nel suo processo, spingendolo ad abbandonare la tesi difensiva della malattia mentale per abbracciare finalmente la sua nuova identità: il volitivo, carismatico, violento Joker, anziché il timido, patetico, sottomesso Arthur. Ma è questo quello che vuole davvero Arthur? O sta solo, ancora una volta, cercando disperatamente qualcuno che lo ami?

Se il tema del primo film era raccontare le origini della follia e della violenza, ricercandone le radici nelle umiliazioni e nella sperequazione sociale, in questo film Phillips riparte dal finale di Joker: dalle rivolte che parevano fumettistiche, ma si sono rivelate tristemente reali; e dal fatto che molti hanno visto in Joker/Arthur non come un simbolo di ciò che non funziona nella società, ma un esempio da seguire. Folie à Deux racconta proprio questo, il momento in cui una persona diventa un simbolo, un’idea, che prende vita propria indipendentemente da ciò che pensa e fa chi le ha dato vita.


Laddove Joker racconta una follia individuale, il suo seguito ne racconta una collettiva e di coppia. Quello tra Arthur e Lee è un amore malato, che sconfina nell’idolatria, e rappresenta appieno il meccanismo perverso che fa sì che personaggi negativi diventino riferimenti, modelli da seguire. Arthur vorrebbe smettere di essere Joker, ma né Lee né la società glielo permettono: chi lo odia pensa che lui non possa cambiare, chi lo ama pensa che non debba vergognarsi di essere chi è. L’idea, ammonisce Phillips, sopravvive al suo portatore, e si gonfia, si deforma, diventa sempre più mostruosa. Magari scompare, per un periodo, ma poi torna, riemerge, più forte e spaventosa che mai. Folie à Deux parla del nostro quotidiano, in cui la celebre frase di Marx sembra essere stata sovvertita, con la storia che si ripete due volte, ma la seconda non è una farsa: è una tragedia ancora più cupa della prima.

Folie à Deux è un film cupo e privo di speranza, ma al tempo stesso guidato dalla speranza di essere amati, di trovare il proprio posto nel mondo. I numeri musicali riflettono questa natura ossimorica, ondeggiando tra la purezza dei sentimenti dei grandi musical hollywoodiani e l’oscurità che pervade la Gotham di Phillips. Le musiche sono solari, ma punteggiate di distorsioni; le luci sono brillanti, ma accompagnate da coreografie cupe e violente; la voce di Lee è perfetta, pulita, quella di Arthur sofferta, un sussurro di dolore che a volte si fa urlo. 

Lady Gaga offre la miglior prova attoriale della sua breve carriera nella recitazione (per onestà va anche detto che non aveva una grande montagna da scalare, per citare uno dei numeri musicali del film), mentre Phoenix è ancora una volta semplicemente strepitoso nel restituire la doppia natura di Arthur/Joker. Le sue doti canore e di ballerino sono una sorpresa, la sua capacità recitativa – a livello sia vocale che fisico – una garanzia. Il suo canto è straziante, una richiesta di aiuto che nessuno sente, il suo corpo lo specchio di una mente deformata, contorta, che vuole solo essere amata, anzi, non ambisce nemmeno a tanto: vuole solo essere vista, notata, considerata. C’è uno scambio con uno dei suoi ex colleghi clown, in tribunale, che racchiude in pochi minuti tutto il dramma di Arthur, tutto ciò che Phillips ha cercato di raccontare in questi due film, e in cui Phoenix offre uno dei tanti momenti emotivamente devastanti del film. 

Phillips osa anche nel finale, coraggioso, potente, inevitabile. Il regista non sceglie la strada facile, ma percorre fino in fondo la strada complessa, in salita, e arriva in cima alla montagna: all’orizzonte si vedono solo cenere e macerie, ma bisogna prima riconoscere il problema, a costo di passare per Cassandre, per poterlo risolvere. Folie à Deux ancora una volta usa il genere – anzi, i generi – per parlare dell’oggi, della realtà, e dei pericoli del futuro: vedremo se lo staremo a sentire, o se affonderemo, cantando e ballando mentre il mondo va in fiamme.

**** 1/2

Pier

Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.

martedì 24 settembre 2024

Vermiglio

Piccolo mondo antico


Italia, ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale. La famiglia Graziadei vive a Vermiglio, un paesino sulle Alpi dove la vita scorre lenta e la guerra sembra lontanissima, a eccezioni della mancanza dei ragazzi arruolati. Un giorno il cugino dei Graziadei torna, portato in spalla da un altro soldato, siciliano: sono fuggiti da un campo di prigionia tedesco. I Graziadei lo ospitano perché altrimenti sarebbe rimandato al fronte, e la sua permanenza, accompagnata dalla crescita dei tanti figli e figlie della famiglia, provocano una reazione a catena che scuote il quieto mondo della valle.

Ha le sue radici nel cinema di Ermanno Olmi e Giorgio Diritti l’opera seconda di Maura Delpero: un cinema bucolico, fatto di quotidianità e provincia, senza patinature, attento a raccontare la vita reale e le relazioni tra persone (non personaggi). Proprio sulle relazioni si concentra Vermiglio, che fa affezionare lo spettatore alle sue protagoniste (soprattutto) e ai suoi protagonisti tratteggiandoli nelle loro sfide giornaliere, ma soprattutto in un momento di transizione: la guerra sta per finire, e figlie e figli adolescenti si affacciano sull’età adulta, con tutti i suoi turbamenti emotivi ed esistenziali. Nel mondo sospeso di un paesino innevato sulle Alpi, il cambiamento, seppur piccolo, può diventare in breve tempo una valanga.

Vermiglio non ha un tema preciso: usando una frase fatta, si potrebbe dire che parla di vita. L’abilità di Delpero sta nel tratteggiare personaggi realistici, diversi ma accomunati dal loro desiderio di un qualcosa di “altro”, soprattutto i più giovani – un altro che la valle, giocoforza, fa fatica a offrire. Il film offre anche un ritratto sociologico della vita di provincia negli anni della guerra e immediatamente successivi. In questo senso è illuminante soprattutto il ruolo del papà dei Graziadei, il maestro del paese, severo ma giusto, e devotissimo alla sua missione di nutrire le menti e le anime delle sue alunne e dei suoi alunni, sia con le sue lezioni, sia attraverso l’ascolto di musica classica. Vediamo quindi un paese ignorante ma desideroso di imparare, dove l’istruzione è ancora uno status symbol importante anche per chi magari passerà tutta la vita nei campi. In un’epoca in cui si parla incessattemente di aberrazioni come “il sapere utile”, dove “utile” significa “che serve al lavoro”, è rinfrescante vedere come fosse diversa la filosofia soltanto settant’anni fa, dove si pensava a formare persone e cittadini prima che lavoratori.

Il film pecca di un’eccessiva lunghezza e della mancanza di momenti emotivi veramente forti, ma avvolge lo spettatore dolcemente, come una nevicata leggera, trascinandolo in un’atmosfera ovattata che rievoca un mondo che non c’è più e ci fa osservare i suoi abitanti che, apparentemente immobili, si muovono a velocità sempre crescente verso il loro futuro – un futuro nuovo, incerto, ma proprio per questo pieno di speranza.

*** 1/2

Pier

Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.

sabato 7 settembre 2024

Venezia 2024 - Il Totoleone

Anche quest'anno siamo giunti al termine della Mostra del Cinema, tra caldo tropicale, biciclette, cene ingollate tra un film e l'altro, e critici buongustai in panama bianco: una Mostra di buon livello medio, con poche vette ma ancor meno delusioni o film che facevano venir voglia di fuggire dalla sala. Anche quest'anno Alberto Barbera ha confezionato un'ottima selezione, corroborando l'entusiasmo con cui molti (compreso chi scrive) avevano accolto la sua riconferma.

È stata una Mostra in cui, come nel 2023, ci sono stati molti film biografici, da Diva Futura ad Ainda Estou Aqui, passando per la Callas di Larrain in Maria. Accanto a questi, molti film di carattere storico, come Campo di Battaglia e The Order, mentre minore è stata la presenza della politica, portata solo (e molto marginalmente) da Youth: Homecoming e The Room Next Door. La Mostra continua a guardare alla realtà, sia passata che presente, ma quest'anno è rispuntata la fantasia, che si è persino permessa di inventare intere biografie (The Brutalist). 

Qui trovate un elenco, con voti, dei film visti. Di seguito, invece, trovate i pronostici, quasi sicuramente sbagliati, per il Leone d'Oro e gli altri premi, corredati come sempre dalle mie preferenze personali.


Premio Mastroianni per il miglior attore emergente
Non ci sono tantissimi candidati papabili al premio Mastroianni quest'anno - vuoi per scarsità di ruoli rilevanti, vuoi per la natura corale della maggior parte dei film con giovani protagonisti. Il pronostico ricade su Martina Scrinzi, giovane protagonista di Vermiglio, mentre la mia scelta personale va a Benjamin Voisin, splendido coprotagonista di The Quiet Son, anche se forse è già troppo lanciato per poter ottenere questo premio.
PronosticoMartina Scrinzi, Vermiglio
Scelta personaleBenjamin Voisin, The Quiet Son

Coppa Volpi maschile
Sfida molto accesa, con tantissimi pretendenti: dal Vincent Lindon di The Quiet Son al Joaquin Phoenix canterino di Joker: Folie à Deux (dopo che con Joker non vinse a causa del regolamento della Mostra che impedisce che il Leone d'Oro prenda altri premi - regola cui pare quest'anno sia possibile ovviare in caso di unanimità in giuria); dall'Adrien Brody di The Brutalist al Nahuel Pérez Biscayart di El Jockey, passando per Daniel Craig in Queer. A Biscayart, dolente e silenzioso, va il mio pronostico, mentre su Brody, potente e fragile, va la mia scelta personale.
PronosticoNahuel Pérez Biscayart, El Jockey
Scelta personale: Adrien Brody, The Brutalist

Coppa Volpi femminile 
Sfida meno accesa di quella per la Coppa maschile, ma comunque ricca di pretendenti qualificate: Angelina Jolie offre la classica prova "da Oscar" in Maria, ma Isabelle Huppert potrebbe preferire prove meno appariscenti e più "contenute" come quelle di Tilda Swinton e Julianne Moore in The Room Next Door o di Fernanda Torres in Ainda Estou Aqui. Sulla Torres, bravissima, ricade il mio pronostico. La mia scelta personale va invece, ex aequo, alle due protagoniste del film di Almodovar, che sarebbe dimenticabile (a dispetto di ciò che dice la critica imparruccata, che non a caso sembra apprezzare un Almodovar più conservatore) se non fosse per la loro straordinaria prova.
Pronostico: Fernanda Torres, Ainda Estou Aqui
Scelta personale: Julianne Moore e Tilda Swinton, The Room Next Door

Leone d'Argento (Miglior Regia) 
Se ci fosse giustizia, The Brutalist avrebbe già il Leone d'Oro. Ma dato che il mondo è buio e freddo, e i capolavori vengono riconosciuti pienamente solo con il tempo, temo che Corbet dovrà "accontentarsi" di questo premio - un risultato comunque notevolissimo per un regista al terzo film. Su di lui ricade il mio pronostico, mentre la mia scelta personale ricade su Todd Phillips, che firma un sequel coraggioso e divisivo, creando una commissione di generi di difficile digestione ma di grande ricchezza e complessità. Piccola menzione anche per Giulia Steigerwalt, che realizza un'opera seconda di rara maturità per composizione, chiarezza tematica, e direzione degli attori: ma il film ha toni da commedia, peccato mortale presso i festival cinematografici e i già citati critici imparruccati.
Pronostico: Brady Corbet, The Brutalist
Scelta personale: Todd Phillips, Joker: Folie à Deux

Gran Premio della Giuria 
Il favorito per il secondo premio più importante sembrerebbe un beniamino dei giudici come Luca Guadagnino. E il suo Queer è indubbiamente un bel film a tutti i livelli: visivo (soprattutto), recitativo, e di scrittura (ancorché troppo lungo). Il problema è che è molto poco originale, e soprattutto è un adattamento pessimo del romanzo breve di Burroughs, e ne tradisce in pieno toni, intenzioni, e stile. Se ci fosse un minimo di attenzione per questi aspetti, il premio dovrebbe andare ad altri: ma temo non sarà così. All'opera più bizzarra, originale, meravigliosamente schizofrenica della Mostra - El Jockey di Luis Ortega - va invece la mia preferenza personale.
Pronostico: Queer
Scelta personaleEl Jockey

Leone d'Oro 
Sfida davvero accesa e incerta, con tutti i film già citati per gli altri premi che potrebbero legittimamente ambire anche al trofeo più prestigioso. Come detto, il mio preferito, nonché unico vero capolavoro della Mostra, è The Brutalist, ma temo non vincerà a favore di The Room Next Door. Un film che piace a chi scambia la verbosità per profondità, che può comunque esibire dei meriti oggettivi (tematica rilevante, attrici ottime, uso del colore splendido). Su Almodovar, dunque, ricade il mio pronostico.
Pronostico: The Room Next Door
Scelta personale: The Brutalist

È tutto anche per quest'anno. Correte in SNAI a scommettere sull'opposto dei miei pronostici, e noi ci risentiamo per l'edizione 2025.

Pier

Telegrammi da Venezia 2024 - #8

Ultimo telegramma da Venezia 2024, con l'elenco di tutti i film visti del concorso e i relativi voti. 


Quando il voto era pari, ho messo davanti il film che ho preferito. Cliccando il titolo potete leggere la recensione breve pubblicata nei Telegrammi precedenti.
  1. The Brutalist, voto 10
  2. El Jockey, voto 8.5
  3. Joker: Folie à Deux, voto 8.5
  4. Diva Futura, voto 8.
  5. Ainda Estou Aqui, voto 7.5
  6. The Quiet Son, voto 7.5
  7. The Order, voto 7.5
  8. Trois amies, voto 7
  9. Vermiglio, voto 7
  10. Maria, voto 7
  11. The Room Next Door, voto 6.5
  12. Queer, voto 6.5
  13. Love, voto 6.5
  14. Youth: Homecoming, voto 6
  15. Campo di Battaglia, voto 5.5
  16. Babygirl, voto 5.5
  17. Harvest, voto 5
Non visti: April, Stranger Eyes, Iddu, Leurs Enfants Aprés Eux.

Per i telegrammi è tutto, a più tardi per i pronostici.

Pier

venerdì 6 settembre 2024

Telegrammi da Venezia 2024 - #7

Settimo telegramma da Venezia 2024, tra rivendicazioni sindacali intrise di misticismo, geniali autoparodie, documentari su Cina e Ucraina, storie di immigrazione, e riflessioni sull'amore.


Sugar Island (Giornate degli Autori), voto 7. La rivendicazione dei diritti dei lavoratori delle piantagioni da zucchero in Repubblica Dominicana si intreccia con il misticismo locale, con un culto matriarcale che cerca di comprendere il corso degli eventi. Al centro, la vicenda di una ragazza senza documenti e identità, condannata ai margini dagli errori del passato che continuano ad avere un impatto sul presente. Non tutto funziona, ma la commistione tra tematica socio-sindacale e mistica è originale e ben costruita.

Broken Rage (Fuori Concorso), voto 8. Kitano realizza un film ferocemente dissacrante, con una prima metà che è un thriller serio e teso, e la seconda che è una spledida parodia della prima. Si ride a crepapelle, ma le risate non nascondono la sublime sensibilità di Kitano per la messa in scena: ogni inquadratura è una piccola opera d'arte.

Youth: Homecoming (Concorso), voto 6. Documentario sulla gioventù cinese e il suo rapporto con il mondo del lavoro, che soffre di un'eccessiva lunghezza e di una scarsa attenzione per chi non conosce bene la società cinese, che fatica a comprendere molti passaggi della vicenda narrata.

Love (Concorso), voto 6.5. Love è un film di buona fattura che, nonostante qualche giro a vuoto, riesce a offrire alcuni momenti di riflessione e lirismo, grazie anche a un ottimo uso della luce, che dipinge momenti, persone, situazioni, stringendoli in un caldo abbraccio che li rende fortemente, irresistibilmente umani. Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Songs of Slow Burning Earth (Fuori Concorso), voto 6.5. Interessante documentario che racconta come è cambiata la quotidianità degli Ucraini con la guerra. Immagini interessanti, ma il taglio è forse troppo cronachistico, senza una riflessione o un punto di vista "particolare."

Little Jafna (Settimana della Critica), voto 8. Due gang rivali di origine tamil si affrontano per le strade di Parigi. Il loro paese d'origine (Sri Lanka) domina la scena nonostante la distanza geografica, regalando uno spaccato sociale degli espatriati che intrattiene e fa riflettere.

Pier e Simone

mercoledì 4 settembre 2024

Telegrammi da Venezia 2024 - #6

Sesto telegramma da Venezia 2024, tra celebri villain che si danno al musical, la storia del porno italiano, giovani adulti fissati con le morti celebri, guerre da prospettiva domestica, e folk horror in salsa calabrese.


Diva Futura (Concorso), voto 8. Giulia Steigerwalt, alla sua opera seconda, firma quello che è fin qui il film italiano migliore tra quelli in Concorso, la storia di Diva Futura, l'agenzia di casting e produzione specializzata in pornografia che lanciò, tra le altre, Cicciolina, Moana Pozzi, ed Eva Henger. Steigerwalt firma un'opera fresca, vitale, un inno alla libertà femminile ben girato sia a livello di immagini che di ritmo e direzione degli attori, con un bellissimo finale.  raccontato attraverso Al centro di tutto c'è Riccardo Schicchi, folletto pieno di idee ed energia e di una visione pura e libera del corpo femminile, interpretato magistralmente da Pietro Castellitto. Accanto a lui le sue attrici, ma anche la segretaria Debora Attanasio, coscienza e colonna portante dell'agenzia. Ottima prova corale del cast femminile, tra cui spicca Barbara Ronchi nella parte della Attanasio.

Joker: Folie à Deux (Concorso), voto 8.5. Folie à Deux riparte dal finale di Joker (le rivolte), e racconta il momento in cui una persona diventa un simbolo, un'idea, che prende vita propria e si gonfia, si deforma, diventa sempre più mostruosa. Phillips ancora una volta usa il genere - anzi, i generi - per parlare dell'oggi, della realtà, e dei pericoli del futuro: vedremo se lo staremo a sentire, o se affonderemo, cantando e ballando mentre il mondo va in fiamme. Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Paul and Paulette Take a Bath (Settimana della Critica), voto 7.5. Due ragazzi fissati con la storia e le morti famose si incontrano per caso a Parigi. Diventano amici, amanti, qualcosa di difficilmente definibile, mentre cercano se stessi e cercano di elaborare i propri traumi. Il film è uno strano pastiche di opere molto diverse come Harold & Maude e The Dreamers: il risultato, seppur con qualche passaggio a vuoto, funziona, e ci regala una storia divertente, malinconica, vera.

Honeymoon (Biennale College), voto 6.5. Una coppia ucraina decide di non lasciare il proprio paesino, convinti che la guerra non arriverà fin lì. Ovviamente si sbagliano. La vicenda è narrata tutta all'interno dell'appartamento, restituendo un'esperienza claustrofobica della guerra che funziona ma non ottiene un particolare impatto emotivo.

Basileia (Giornate degli Autori - Fuori Concorso), voto 6.5. Dopo una partenza alla Indiana Jones, il film cambia direzione e vira verso il folk horror con note ambientaliste.. La buona idea viene parzialmente affossata dallo scarso budget, che lascia una sensazione da "vorrei ma non posso." Però avercene di film italiani così ambiziosi.

Pier e Simone