martedì 23 settembre 2025

Duse

Errori fatali


Il film racconta gli ultimi anni di vita di Eleonora Duse: il suo ritorno sulle scene dopo la guerra, il rapporto con D'Annunzio, le crisi finanziarie. Sullo sfondo, l'ascesa del fascismo.

Un film su Eleonora Duse, la Divina del teatro italiano, un'attrice carismatica, dal carattere dirompente, nasce e muore con la sua interprete. Se si vuole raccontare la Duse, una donna in anticipo sui tempi, in grado di tenere testa e rubare il cuore a Gabriele D'Annunzio, una donna che non ebbe paura di sfidare e distruggere le convenzioni, non ci si può permettersi di sbagliare il casting dell'attrice principale. 

Purtroppo questo è ciò che succede nel film del solitamente bravo Pietro Marcello: Valeria Bruni Tedeschi, non sappiamo se per scarsa attitudine, indicazioni registiche, o ambedue, dà vita a una Duse anonima, una vecchietta svampita tutta sorrisi e moine che scompare in scena quando dovrebbe dominarla. Sono emblematiche, in tal senso le scene con D'Annunzio e Sarah Bernhardt, epigona francese della Duse:  momenti talmenti talmente dominati dalle due controparti che ci si dimentica della presenza dell'attrice italiana, relegata a decorazione sullo sfondo. Paradossale che, nella scena con la Bernhardt, le rubi la scena anche l'attrice alle prime armi: una metafora del problema che attanaglia il film. 

Bruni Tedeschi non restituisce alcunché della grandezza teatrale della Duse, che rivoluzionò il modo di stare sul palco e preparare un personaggio. Non la aiuta una sceneggiatura inceppata, zoppa, appensantita da una retorica eccessiva che funziona quando viene messa in bocca a D'Annunzio e ai teatranti, ma risulta stucchevole e fuori posto quando viene ripetuta anche per personaggi "quotidiani" come la figlia e l'assistente della Duse. Le due attrici fanno intuire un potenziale migliore, ma vengono relegate ad anonime arpie tutte fieri cipigli, personaggi monotematici e inevitabilmente odiosi quando, forse, avrebbero potuto essere qualcosa di più.

La fotografia e l'integrazione tra recitato e materiali d'archivio sono ottimi, come sempre nei film di Marcello, e funziona anche il tentativo di parlare dell'orrore della guerra e della medicina sperata (l'arte, il teatro) da Duse e D'Annunzio, rispetto a quella realmente arrivata (l'olio di ricino del fascismo). Ma è poco, troppo poco, per salvare il film: la magia di Martin Eden è qui del tutto assente, ed è difficile non pensare a quanto invece fosse stata azzeccata la scelta di Marinelli in quel caso.

Duse è, a conti fatti, come una bella automobile senza motore: la carrozzeria può essere perfetta e ben disegnata, gli interni pregiati, ma l'auto rimarrà immobile, destinata alla polvere e all'oblio.

**

Pier

Nessun commento:

Posta un commento