L'urlo e il furore
It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.
William Shakespare, Macbeth
In un presente distopico, Bob Ferguson, entra a far parte dell'organizzazione rivoluzionaria French 75. Dopo essersi ritirato, Bob si occupa a tempo pieno di Willa, figlia sua e di Perfidia, sua compagna di rivoluzione. Il passato, tuttavia, si presenta a chiedere il conto nella forma del colonnello Lockjaw, già sua nemesi in passato, deciso a eliminare Willa per motivi oscuri a Bob.
Realizzare un film come Una battaglia dopo l'altra subito dopo Licorice pizza sembra l'ennesima testimonianza dell'eclettismo di Paul Thomas Anderson, che passa da un coming of age a un film sulla rivoluzione armata, quasi tarantiniano per gusto espressivo, di personaggi, e umoristico. Tuttavia, i due film sono più simili di quanto sembri: sono due film cinetici, sempre in movimento, in cui si corre a perdifiato da una parte all'altra, con al centro una relazione, due persone che vogliono solo stare insieme ma che agenti esterni si ostinano a voler separare. Sullo sfondo, una crisi inesorabile - quella petrolifera in Licorice pizza, quella dell'immigrazione in Una battaglia dopo l'altra - che è specchio di una crisi più ampia, quella della società statunitense (e non solo).
Anche il ritmo dei due film è identico, una sonata jazz fatta di continui cambi di ritmo, imprevedibile nella sua capacità di cambiare pelle, scartare di lato, cambiare prospettiva. Laddove Licorice pizza era un film solare, tuttavia, Una battaglia dopo l'altra è una sonata cupa, dove la speranza è ridotta al lumicino e il Male divora principi e valori e mettendo tutti contro tutti, in una guerra fratricida dove "il più forte dovrà infine tra tutti trionfar". Il Male, incarnato dal colonnello Lockjaw, da ICE, e da un movimento suprematista devoto al Natale e a San Nicola, non dà tregua, come il T-1000 di Terminator 2 (una saga che Anderson sembra voler esplicitamente citare), e ai combattenti non restano che due scelte: arrendersi e tradire i propri ideali, oppure una fuga per continuare la battaglia in tempi migliori.
Il primo atto è un inno alla ribellione, un inno fatto di urla, bombe e furore, ma anche di amore, passione carnale, solidarietà e valori. Il furore, tuttavia, si spegne sotto una pioggia malsana che si fa inondazione, e che vuole stroncare ogni ideale rivoluzionario, renderlo senza significato, la "storia raccontata da un idiota" del Macbeth: alcuni cedono, alcuni scompaiono, ma alcuni continuano a combattere, per scelta o mancanza di alternative.
L'urlo continua, sopito ma non soffocato, e ci porta nel secondo atto, quello più indebitato a Tarantino ma anche a David Lynch, una fuga continua e allucinata fatta di ninja che sfrecciano in skateboard, parole d'ordine dimenticate, e sensei latini che salvano immigrati irregolari. Surreale e reale si sovrappongono e divengono tutt'uno, ciò che accade supera in inverosimilità ciò che immaginiamo o alluciniamo, la battaglia infuria dentro e fuori di noi.
Il terzo atto è quello leggermente meno riuscito, causa alcune lungaggini forse evitabili, ma ci regala una sequenza di inseguimento da antologia, un mix tra il primo Mad Max e un western crepuscolare alla Sam Peckinpah, in cui ogni onore viene abbandonato e l'unica cosa che conta è sopravvivere, continuare a correre.
Anderson dipinge il film con pennellate rabbiose, pastose, lunghi piani sequenza insistenti, asfissianti, che si inseguono senza soluzioni di continuità: ogni stacco di montaggio è un respiro profondo prima di immergersi nuovamente nell'azione, in apnea, incalzati e inseguiti dal passato che vuole chiudere i conti, dal presente che vuole riaprirli, e da un futuro che si preannuncia pieno di urla, furore e sangue. Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, già compositore della colonna sonora de Il filo nascosto, costruisce un perfetto riflesso musicale della storia narrata, una serie di melodie rapsodiche, sincopate, che accompagnano ogni scena con un'insistenza quasi sfinente.
Il cast è perfetto, da un Di Caprio travolto dalla vita ma deciso a sopravvivere a un Benicio Del Toro sornione e imperturbabile, che ricorda il personaggio di Brad Pitt in C'era una volta a Hollywood per coolness esibita al minuto. A brillare, tuttavia, sono soprattutto le protagoniste femminili: Teyana Taylor, che esprime un desiderio di vita e giustizia quasi animale con la sua perfidia, e la giovane Chase Infiniti, una forza della natura che non accetta di scomparire e di essere messa a tacere: scalcia, combatte, sopravvive, incarnazione vivente della battaglia del titolo, della lotta che continua. E poi, c'è lui, il Male, il colonnello Lockjaw di Sean Penn: un villain da antologia, fragile e violento, magnetico e buffo, incarnazione perfetta della banalità del Male, della crudeltà profonda di chi si crede protagonista ma dentro di sé sa di essere destinato a rimanere sullo sfondo, e dà così sfogo a una rabbia nichilista che tutto travolge, tutto divora.
Una battaglia dopo l'altra è un ritratto spietato dell'umanità, tratteggiata nei suoi tratti più ridicoli e più spaventosi, più nobili e più perversi, una melodia cangiante che si fa ora cacofonica, ora armonica, con due temi che si inseguono e non possono esistere l'uno senza l'altro: da un lato l'incedere devastante e inesorabile del Male, dall'altro chi prova a resistere, fuggendo, nascondendosi, ma tenendo sempre viva la fiamma di un fuoco ribelle che non accenna a spegnersi e continua a far divampare la speranza. E la battaglia continua.
**** 1/2
Pier
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