sabato 2 aprile 2022

Licorice Pizza

Il tempo che corre


Los Angeles, 1973. Gary Valentine è un adolescente intraprendente, un venditore nato deciso a farsi strada. Quando incontra Alana Kane, di dieci anni più vecchia di lui e ancora in cerca della sua strada, comincia a farle disperatamente la corte.  Lei lo rifiuta, ma comincia a frequentarlo, dando vita a un rapporto di equivoci, incertezze, e slanci romantici che si dipana tra mille svolte tortuose, sullo sfondo della San Fernando Valley.

Che colore ha la nostalgia? Un colore caldo, avvolgente, che trasuda vitalità, corse affannate, tentativi di diventare grandi e, al tempo stesso, la paura che sia già troppo tardi. È paradossalmente difficile spiegare perché Licorice Pizza è un grandissimo film: sarebbe come cercare di spiegare perché certe serate sembrano semplicemente perfette, o la bellezza di un gioco spensierato con gli amici, o l'inebriante sensazione del primo amore: Licorice Pizza è tutto questo, un film che parla della bellezza di un amore che si scontra con l'imperfezione della vita, dando vita a un inseguimento che dura per anni, e in cui il destino, raramente così cinico e baro, cerca continuamente di mettersi di mezzo.


Anderson parte dalla lezione di American Graffiti e tesse un racconto che procede per analogie e associazioni, come fanno i ricordi: i momenti si intersecano, si inseguono, si rincorrono come i due protagonisti, creando un arazzo composito che rappresenta la vita, con le sue svolte illogiche, i suoi imprevisti, le sue follie. Tuttavia, il racconto è anche fluido, naturale, senza un momento di pausa. Anderson fa un uso abbondante e magistrale dei piani sequenza, come se non volesse staccare mai gli occhi dai suoi protagonisti. La scelta di usare la pellicola 35 mm dona al film colori vibranti, vivi, in grado di suscitare emozioni a ogni inquadratura. Il risultato è un racconto fluido, vitale, come il ricordo di un'estate infinita, fatta di colori pastello e di una luce quasi innaturale nella sua perfezione, in netto contrasto con il bianco e i bruni de Il filo nascosto, il suo ultimo film.

Al centro della storia ci sono i due splendidi protagonisti. Raramente si vede al cinema un'intesa così perfetta come quella che si sviluppa tra Alana Haim e Cooper Hoffman (figlio del compianto Philip Seymour, collaboratore storico di Anderson): ambedue esordienti, ambedue dotati di un'innata, naturale simpatia che fa sì che lo spettatore "tifi" sempre per loro, per il loro successo personale e di coppia, per la realizzazione dei loro sogni. Haim e Hoffman sono una gioia per gli occhi, e donano al film un'energia unica, irripetibile, dando vita a una delle coppie più memorabili viste su schermo, e a un rapporto di raro realismo, con le sue gelosie, i suoi slanci, i suoi dispetti, le sue assurde pretese. Alana non sa cosa vuole, e trova in Gary uno sprone a inseguire i suoi sogni, a credere in se stessa, a emanciparsi da una realtà poco ambiziosa cui si è condannata da sola; Gary è intraprendente, sicuro di sé, ma capriccioso, immaturo, incapace di lavorare di squadra. Le loro imperfezioni si compensano, si arricchiscono, si colorano a vicenda, dando vita a un quadro di meravigliosa gioia.



Paul Thomas Anderson non rinuncia, nemmeno in un film all'apparenza spensierato, alla riflessione, e in particolare alla critica (portata avanti già ne Il filo nascosto, in The Master e ne Il petroliere) a una mascolinità stereotipata e tossica. Alana non accetta Gary come ragazzo perché ha dieci anni in meno di lei e le sembra immaturo (non a torto). Tuttavia, tutti gli uomini che incontra sulla sua strada si dimostrano, nonostante siano adulti, ancora più immaturi di lui: dal Jack Holden (chiaramente ispirato all'omonimo William) di Sean Penn al Jon Peters di Bradley Cooper, passando per Lance e Joel Wachs, gli uomini della vita di Alana si rivelano dei bambini poco cresciuti, in alternativa preda delle loro pulsioni o incapaci di prendersi le proprie responsabilità, di mettere i bisogni di chi sta loro intorno davanti ai propri. 

Licorice Pizza è un film sempre proiettato in avanti, in continuo movimento, mai fermo. Anderson racconta una storia solo in apparenza semplice, ma che scava nelle emozioni dello spettatore con efficacia pari se non maggiore a quella delle opere precedenti: una storia che brucia di vita, una candela che si consuma rapidissima ma altrettanto rapidamente si rigenera, per poi consumarsi ancora, in un'eterna corsa verso l'ignoto.

**** 1/2

Pier

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