venerdì 6 settembre 2019

Telegrammi da Venezia 2019 - #4

Ultimo telegramma da Venezia, con gli ultimi film del Concorso, alcune belle sorprese nelle sezioni collaterali, e qualche inevitabile delusione.

A più tardi per il Totoleone!


Guest of honour (Concorso), voto 6.5. Dopo l'ispirato Remember, Egoyan torna a Venezia con un'altra storia sulla relatività della verità e della memoria, concentrandosi questa volta sul concetto di reputazione. Un impiegato dell'ufficio di igiene, che ha il potere di togliere la reputazione ai ristoranti con il suo giudizio, si trova a dover indagare per difendere la reputazione della figlia. L'indagine si trasforma in un viaggio della memoria. Egoyan rivela la verità a poco a poco, come i pezzi di un puzzle: il gioco funziona e intrattiene, grazie anche all'ottima prova degli attori, ma sa di già visto, e finisce per attutire la portata emotiva degli eventi narrata.

About endlessness (Concorso), voto 6.5. Dopo il Leone d'Oro vinto nel 2014, Andersson torna a Venezia con una storia simile nella struttura e nella composizione visiva, ma non nei contenuti. Laddove Un piccione alternava momenti di sublime ironia a momenti di riflessione, About endlessness è pervaso di pessimismo cosmico, con pochissime situazioni brillanti che sono anch'esse pervase da un'angoscia strisciante. Il film è una riflessione sulla solitudine e l'alienazione che caratterizzano le nostre esistenze, raccontate attraverso diversi quadri narrativi. Nel complesso il film è meno riuscito del precedente sia per una sensazione di già visto, sia per una minore coesione narrativa, che rende difficile vedere un filo logico a connettere le storie. Rimangono, però, la profondità della riflessione suscitata, ma soprattutto la sublime perfezione visiva di questi quadri dal sapore hopperiano e vermeeriano, in cui ogni oggetto, ogni dettaglio racconta una sua storia

Tony Driver (Settimana della Critica), voto 4. Una storia potenzialmente interessante trattata in modo banale e monodimensionale, ignorandone le molteplici e feconde sfaccettature. La commistione tra documentario e finzione è artificiale e non convince. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Psykosia (Settimana della Critica), voto 5. Un film visivamente curatissimo e suggestivo, che racconta però un tema abusato (quello del doppio) all'interno di un contesto abusatissimo (una clinica psichiatrica). Il rapporto tra medico e paziente potrebbe anche essere interessante, se non fosse che il colpo di scena si intuisce già nei primi minuti, lasciando quindi lo spettatore con una fastidiosa sensazione di già visto per le successive due ore.

Nevia (Orizzonti), voto 7.5. Uno splendido esordio, capace di scovare la bellezza nel mezzo dello squallore, raccontando con sguardo dolce e partecipe una bella fiaba contemporanea. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Tutto il mio folle amore (Fuori Concorso), voto 5.5. Un ritorno in tono decisamente minore per Gabriele Salvatores: il film è sconnesso, con le varie parti che si incastrano a fatica, e patisce anche una trattazione superficiale del tema dell'autismo. Il film è ai limiti del disastroso nelle parti con Valeria Golino, talmente svogliata da sembrare una cattiva attrice, e Diego Abatantuono, che pur non recitando riesce a strappare qualche sorriso. Lo salvano le scene di viaggio attraverso Slovenia e Croazia, che riportano alla mente i lavori giovanili di Salvatores, con personaggi sconclusionati persi in mezzo del nulla, alla perenne ricerca di se stessi. In quei momenti si ride e ci si commuove, grazie anche a un Claudio Santamaria perfetto nella parte del "Modugno dei Balcani".

Waiting for the barbarians (Concorso), voto 7.5. In uno scenario da deserto dei Tartari, il nemico sembra sempre alle porte e, quando non c'è, occorre inventarsene uno al fine di far stringere i sudditi intorno all'imperatore. Se sembra sinistramente familiare è perché lo è: Waiting for the barbarians racconta la contemporaneità attraverso un dramma pseudostorico ben scritto, diretto e interpretato, con echi di Lawrence d'Arabia e un Mark Rylance che ne è il cuore emotivo ed etico, novello scrivano Bartleby che rifiuta di sottostare a ordini che violentano la sua natura..

La mafia non è più quella di una volta (Concorso), voto 7.5. Franco Maresco realizza un documentario agghiacciante ed esilarante al tempo stesso, in cui trascina lo spettatore per le strade di una Palermo dove Borsellino e Falcone non solo non sono celebrati, ma sono nel migliore dei casi dimenticati e nel peggiore insultati o vilipesi. Un ritratto amaro di una Sicilia, di un'Italia senza memoria, e destinate quindi a ripetere gli errori del passato. A volte la voce fuori campo risulta un po' forzata, ma è un difetto veniale in un film che vuole risvegliare le coscienze, ma senza nutrire troppe speranze di riuscirci.

They say nothing stays the same (Aru sendo no hanashi) (Giornate degli Autori), voto 8.5. Che cos'è la poesia, se non la capacità di trovare lo straordinario nell'ordinario? La storia di un barcaiolo fluviale che trasporta passeggeri da una riva all'altra del fiume sembrerebbe banale, ma si trasforma invece in un'opera dolce e commovente, con la fotografia più ispirata e ispirante vista finora alla Mostra, fatta di colori forti, luminosi, vitali. Sulla vita bucolica e tradizionale del barcaiolo incombono la costruzione di un ponte che rischia di lasciarlo senza lavoro, e la vendetta di uno spirito della morte, in un meraviglioso connubio tra tradizione e modernità degna dei capolavori di Hayao Miyazaki. Un piccolo gioiello.

Un monde plus grand (Giornate degli Autori), voto 6.5. Il film racconta la storia vera di Corine Sombrun, tecnica del suono e documentarista che, in seguito alla morte del marito, accetta di recarsi in Mongolia per documentare le pratiche sciamaniche delle tribù locali. Il suo coinvolgimento con queste pratiche sarà più profondo del previsto, e grazie a esseCorine riscoprirà lentamente se stessa. L'incontro-scontro tra cultura francese e mongola è raccontato in modo classico ma efficace, ed è sorretto da una fotografia che, una volta liberata dalle costrizioni urbane, si libra in volo per raccontare la vita nella steppa con occhi spalancati di stupore, donando agli spettatori lo sguardo di Corine. Un film semplice ma efficace sul ritrovarsi, e un utile memento del fatto che ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sappia la nostra filosofia (e la nostra scienza).

Pier e Simone

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