Stay hungry, stay Sorkin
Il film analizza la figura di Steve Jobs raccontando i momenti prima del lancio di tre prodotti chiave della sua carriera: il primo Macintosh, il NeXT Computer, e l'i-Mac G3. Vediamo quindi l'evoluzione del rapporto tra Jobs e la figlia, il co-fondatore di Apple Steve Wozniak, e i colleghi, amici o nemici a seconda delle occasioni.
Genio? Tiranno? Uomo marketing senza contenuti? Forse Steve Jobs era tutto questo, forse era qualcos'altro ancora. Il film di Danny Boyle non dà risposte in questo senso, ma decide fin nella sua struttura di lasciare aperto il dibattito: chi era veramente Steve Jobs? La struttura in tre atti, quasi teatrale, permette di vedere Jobs in diversi momenti della sua vita umana e professionale, durante i quali balla pericolosamente sull'orlo che divide perfezionismo e tirannide, genio e sadismo. "It's not a binary: you can be a genius and a decent person", dice Wozniak a Steve. Ma è davvero possibile? Può l'ossessione non essere accompagnata da un estremo disprezzo per chi non mostra la stessa motivazione, lo stesso divorante anelito alla perfezione?
La sceneggiatura sviscera con sapienza questi e altri temi, usando il particolare per parlare dell'universale, il genio di Jobs per parlare del Genio e della sua natura. Chi è il Genio? E' colui che realizza materialmente un'idea, o colui che ne intuisce il potenziale? E' chi suona il violino, o chi dirige l'orchestra? Steve Jobs è il trionfo di Aaron Sorkin (scandalosamente ignorato agli Oscar), la sublimazione della sua scrittura fatta di walk and talk, di dialoghi fulminanti che affascinano, catturano, stordiscono, travolgono, e che riflettono appieno la complessa personalità del protagonista. La storia scorre veloce, a volte quasi troppo, senza un attimo di pausa, senza concessioni, senza momenti di relax e riflessione, forzando lo spettatore a seguire a bocca aperta un susseguirsi di confronti e battute memorabili. Alcuni eventi sono inventati, altri cronologicamente inesatti, ma il tutto passa in secondo piano di fronte alla superba magniloquenza dei dialoghi, assolutamente da sentire e gustare in originale. Il testo di Sorkin è magistralmente supportato da un'eccezionale prova corale del cast, in cui spicca Fassbender ma brillano anche le stelle di Kate Winslet, Jeff Daniels e Seth Rogen, un perfetto Wozniak.
Dunque, Steve Jobs è un capolavoro? Nemmeno lontanamente. A differenza di altri lavori di Sorkin, come The Social Network, il film manca di un elemento fondamentale: la regia. Boyle realizza un film scolastico, a tratti stucchevole, in cui si asservisce alla scrittura di Sorkin ma non la esalta, rivelando tutta la sua mediocrità nei rari momenti in cui la scrittura si assenta e lascia spazio alle immagini, come nell'inutilmente patinato e sdolcinato finale. Alcune indovinate scelte di fotografia (i tre atti sono fotografati con formati differenti per rendere al meglio le atmosfere d'epoca) non riescono a salvare una regia poco ispirata scarsamente creativa. Se si esce dal film pensando che funzionerebbe meglio a teatro, la colpa è solo ed esclusivamente di Boyle. Il confronto con il lavoro fatto da Fincher in The Social Network, dove alla sceneggiatura eccellente si affiancavano alcune sequenze registicamente mirabili, è impietoso.
Steve Jobs rimane un film interessante, soprattutto per chi non conosce tutti i dettagli privati della vita del fondatore di Apple e per chi ama le sceneggiature ben fatte. Fassbender sembra inoltre essere l'unico serio avversario per Di Caprio nella corsa all'Oscar e, anche solo per questo, vale la pena spendere i soldi del biglietto.
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Pier
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