venerdì 26 febbraio 2016

The Revenant - Redivivo

Tu vuoi fare Terrence Malick, ma sei nato Iñárritu



Stati Uniti, inizio 1800. Hugh Glass è un trapper che fa da guida a un gruppo di cacciatori di pelli. Attaccato e ridotto in fin di vita da un grizzly, viene abbandonato dai compagni che erano stati preposti ad accudirlo fino alla sua morte. Uno di questi, John Fitzgerald, uccide il figlio di Glass, che si opponeva ad abbandonarlo. Glass però non è morto e, nonostante le gravi ferite subite, si mette sulle tracce di Fitzgerald per cercare vendetta.

Nonostante vengano spesso confuse, c'è una grande differenza tra fotografia e regia: la prima riguarda le immagini, l'illuminazione, tutto ciò che entra nell'inquadratura, come ci entra, come viene filmata una determinata sequenza; la seconda riguarda la capacità di mettere insieme i vari elementi del film, fotografia compresa, in un unicum coerente e armonico che trasmetta il messaggio e le sensazioni desiderate. Laddove Birdman aveva sancito il trionfo della regia di Iñárritu, capace in quel film di legare alla perfezione ogni singolo dettaglio, The Revenant è l'apoteosi della fotografia di Emmanuel Lubezki. La scena d'apertura, un lungo piano sequenza di una battaglia, è talmente innovativa e sbalorditiva che non saprei nemmeno commentarla. La camera compie dei virtuosismi assoluti, seguendo gente che cade da cavallo, finisce sott'acqua, gruppi di persone che fuggono in direzioni diverse, il tutto con un'illuminazione glaciale semplicemente perfetta. Il resto del film, per quanto meno spettacolare, viene sempre fotografato con eccezionale maestria, con una sapiente alternanza di primi piani e campi lunghi che rendono alla perfezione il duello uomo-natura.

La regia, però, delude: troppo lungo il film, troppo slegate le sue parti, troppe scene ripetute allo sfinimento: abbiamo capito che deve sopravvivere nella neve e nel gelo., non c'è bisogno di farci vedere come trascorre ogni singola notte. Iñárritu finisce per limitare anche Leonardo Di Caprio, che offre la consueta straordinaria prova d'attore (dategli questo stramaledetto Oscar, per amor del cielo: Academy, è entrato dentro la carcassa di un cavallo, che volete di più?) ma risulta spesso trattenuto, quasi il regista volesse evitare che la bravura del suo primo attore offuscasse la sua ennesima trovata. Risulta più convincente Tom Hardy, che presta la sua straordinaria fisicità a un villain senza morale e senza regole, per il quale conta solo una cosa: sopravvivere. Le sequenze oniriche sono manieriste e pretestuose, un tentativo di Iñárritu di farsi Malick senza averne la visione e l'afflato metafisico. In generale, in molte scene, pur superbamente girate, si ha la sensazione che ci sia il regista seduto di fiano a noi a darci di gomito, a dirci "hai visto quanto sono bravo?", in un eterno ammiccamento che rende quasi sobrie alcune regie di Sorrentino.

In sintesi, The Revenant è una gioia per gli occhi, e offre momenti di pura estasi visiva e sonora (la colonna sonora è splendida) e ottime prove d'attore. Questi elementi, tuttavia, vengono però rovinati da una sceneggiatura sbrodolata, non nelle parole ma nei tempi, e in una regia che sembra guardarsi allo specchio in moltissime scene. Un peccato, con meno narcisismo avrebbe potuto essere un capolavoro.

*** 1/2

Pier

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