Gruppo di fuorilegge in un interno
Un cacciatore di taglie si sta recando a Red Rock per consegnare al boia Daisy Domergue. Sulla sua strada incontra un altro cacciatore di taglie e lo sceriffo di Red Rock, e accetta di accompagnarli in città. Sorpresi da una tempesta di neve, saranno costretti a cercare rifugio nell'emporio di Minnie, dove si trovano anche altri viaggiatori. Qualcuno di loro, tuttavia, non è chi dice di essere.
Una diligenza corre nella nevosa notte del Wyoming, cercando di sfuggire alla tempesta di neve. La corsa è folle, impetuosa, accompagnata da una musica possente ed evocativa che fa presagire una tragedia imminente. La tensione si spezza quando la diligenza si ferma e carica un passeggero, il cacciatore di taglie Marquis Warren; torna a crescere, per poi cadere nuovamente quando incontra il nuovo sceriffo di Red Rock, per poi tornare a crescere. Nella sublime scena di apertura si racchiude il primo tempo dell'ottavo film di Quentin Tarantino, in cui la suspense viene costruita, distrutta e ricostruita con studiata lentezza, in cui i duelli sono fatti di sguardi, i dialoghi di non detti, e gli spazi tra una sedia e l'altra, dilatati dall'eccezionale fotografia di Robert Richardson, divengono immensi deserti di sabbia.
E' un Tarantino atipico quello del primo tempo, senza dialoghi brillanti, sangue e citazioni, ma dotato comunque della consueta cinefilia e sapienza nell'uso del mezzo cinematografico. Il film ha il suo precedente tarantiniano nella splendida scena di apertura di Bastardi senza gloria, che viene qui dilatata, vivisezionata, con l'Ultra Panavision 70 che permette di osservare ogni sguardo, ogni interazione, ogni reazione innescata negli otto hateful dalle provocazioni incrociate. A lanciarle con luciferina precisione è soprattutto dal Marquis Warren di Samuel L. Jackson, sorta di summa di tutti i personaggi interpretati fin qui dall'attore tarantiniano per eccellenza. Attorno a lui, come pedine su una scacchiera, si muovono personaggi costruiti alla perfezione, con un bagaglio di esperienze che, prima o poi, è destinato a venire a galla. Il primo tempo termina con il suo unico sparo, come il più classico dei western di John Ford, ed è separato dal secondo da un intervallo dal sapore fortemente teatrale.
Quando il sipario si rialza, la musica cambia, ma senza che la tensione e la morbosa paranoia scompaiano: il ritmo diventa incalzante, gli spari si sprecano e le rivelazioni si inseguono, si confondono, si intrecciano, fino a rivelare l'unica grande verità della storia, ovvero che non ci sono buoni, solo cattivi che si sono ritrovati per caso nella stessa baracca, come Tarantino stesso ha dichiarato. Gli echi de Le Iene sono evidenti, ma sarebbe limitante definire il film come una versione western del film d'esordio del regista, che invece qui esplora le contraddizioni e le tensioni razziali e non dell'oggi americano, andandone a esplorare le radici con occhio lucido e spietato.
Detto della fantastica fotografia, l'altro elemento di spicco del film è la colonna sonora di Morricone, degno accompagnamento della roboante scena d'apertura ed epico contraltare alle meschine vicende dei protagonisti. Tarantino dirige con studiata lentezza e, anche se a tratti finisce per appesantire il film, raggiunge il risultato che si era prefisso, creando un "giallo della camera chiusa" in salsa western, e tenendo lo spettatore incollato allo schermo.
The Hateful Eight non è il miglior film di Tarantino in senso assoluto (né uno dei miei due preferiti), ma è senza dubbio uno dei più maturi a livello cinematografico, in cui intrattenimento e arte, citazionismo e originalità si uniscono in un abbraccio quasi perfetto. Non perdetelo.
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Pier
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