sabato 3 gennaio 2009

Il Bambino con il pigiama a righe


La violenza dell'ingenuità

E' attualmente nelle sale il nuovo film del regista inglese Mark Herman, "Il bambino con il pigiama a righe". Con un discreto successo di pubblico (433.000 euro incassati al botteghino), il film si rivela una sorpresa felice (piuttosto triste nella sua trama) in un periodo natalizio come al solito magro di film lontanamente guardabili.

Il film racconta la storia di un bambino tedesco, Bruno, travolto durante la sua più spensierata infanzia dalla situazione politica e militare della Germania nazista di inizio anni 40. Costretto a trasferirsi con la famiglia in una campagna a sud di Berlino, Bruno conosce un bambino della sua stessa età, Shmuel, ebreo e costretto ai lavori forzati in un campo di concentramento. Da quel momento ne nascerà un'amicizia fatta di alti e bassi che unirà le due piccole vittime dell'odio raziale ad una tragica fine.

"Il bambino con il pigiama a righe" affronta la tematica del nazismo da una prospettiva nuova, per certi versi più cruda e aspra perchè filtrata dall'innocenza di un bambino che non solo non capisce cosa gli sta succedendo in torno, ma che pensa e trasforma tutto in gioco. I paradigmi gioco-innocenza e razionalità-dolore sono costantemente mischiati nel film, partendo da un'immagine soft iniziale mostrando 4 bambini, tra cui il protagonista, correre spensierati come areoplanini per Berlino, alternando scenari di vita  comune a scene di deportazione, ed esasperato alla fine dove un'ingenuo gioco si tradurrà in massimo dolore. Molti hanno accostato il film al capolavoro Benignano "La vita e bella" commettendo un errore di base che putrebbe distogliere la lettura del film. 

Mentre il film di Benigni viene giocato sugli equivoci, sui ruoli dei personaggi, sul lato favolesco del rapporto padre-figlio trasportato in un contesto drammatico come l'olocausto, questo film non cerca la favola, non viene corrotto da una potenziale retorica scaturente dal tema delicato dei campi di concentramento e l'infanzia dei bambini, ma sopratutto mira a cogliere la contrastante visione della realtà tipica dell'età dell'innocenza caratterizzata dall'avventura e dall'esplorazione. E' mirabile la capacità del regista di far cogliere allo spettatore gli avvenimenti dagli occhi di Bruno, fancendo comprendere la totale assenza di consapevolezza e di conoscenza del dolore.

A questo punto vale la pena soffermarsi sul rapporto tra i due bambini. E' struggente la diversità dei due derivante dal diverso modo nel quale stavano vivendo quella stessa situazione: Shmuel viene dipinto come ben più consapevole, ben meno innocente, trattando Bruno quasi come uno stupido (come quando gli chiede ripetutamente del numero) nei loro dialoghi. Allo stesso tempo, Shmuel non perde l'innocenza e insieme al suo nuovo amico cerca il padre scomparso come se fosse un gioco. Bruno, dal canto suo, non conosce, non prova, e per questo motivo che il contrasto con la situazione che vive è ancora più marcata. E' la trasposizione in personaggio del contrasto innocenza-razionalità (così come preannunciato dalla citazione iniziale).

Il film è crudo, così come i personaggi descritti che vengono presentati esattemente come Bruno li concepisce (il padre prima buono poi cattivo, la sorella come una ragazzina stupida che non sa quello che fa, la madre e la nonna come donne buone e affettuose..), e il finale è un escalation di emozioni che termina con un dramma che lascia lo spettatore assolutamente senza fiato. La bellezza del film sta nel non cadere nel patetico in situazioni che ne avrebbero offerto l'opportunità, ma sopratutto nel aver mantenuto una struttura narrativa e visiva (la prospettiva del bambino) che ne aumenta la  crudezza,sopratutto all'inizio, e che si trasforma in un virtuoso circolo di emozioni, sotto forma di pugno nello stomaco, nel finale.

Da vedere!

***1/2 (*****)

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