domenica 18 gennaio 2009

Sette Anime


Muccino fa ancora flop

"Sette anime" il nuovo film hollywodiano di Gabriele Muccino è definitivamente un passo avanti rispetto al suo primo lavoro "La ricerca della felicità", ma si mantiene sullo stesso genere, drammone strappalacrime con una struttura narrativa di fondo completamente inesistente.

Se si racconta la storia del film, si può capire quanto la trama risulta semplice, banale e a tratti incomprensibile (non si capisce,infatti, perchè il protagonista debba fingersi un agente del fisco per trovare persone da salvare); ma un elogio a Muccino va fatto: la sua grande capacità di gestire gli attori è invidiabile a detta sia di Will Smith che di Rosario Dawson, entrambi bravissimi nel film a distogliere lo spettatore da un vuoto e una inconsistenza narrativa di fondo.

La storia è quella di Ben Thomas, ex-ingegnere che dopo aver perso la moglie in un incidente stradale e aver causato la morte di altre sei persone, dedica la sua vita a cercare sette anime da salvare per poter, in questo modo, auto-perdonarsi di una colpa che lo affligge ancora nel profondo. Per cercare queste sette persone, il protagonista si finge un esattore delle tasse (perchè?), ma si innamorerà di nuovo portandolo ad una scelta drammatica e finale.

Come già anticipato, il film ruota intorno alla figura di Will Smith e Rosario Dawson, gli unici due personaggi veramente studiati e approfonditi nelle loro personalità; tutti gli altri (il fratello, il cieco, l'amico di Ben) sembrano essere puramente di contorno, distogliendo lo spettatore dal senso del film e l'obiettivo celato nel misterioso titolo "Sette anime". Il film infatti si concentra limitatamente sul bisogno di Ben di salvare sette persone, è sembra perdersi di più nella storia d'amore tra i due protagonisti, pateticizzata dal fatto che il personaggio di Rosario Dawson è morente. E' come se fossero due film in uno destinati ad incrociarsi nel finale: da una parte la ricerca delle sette anime, dall'altra la storia d'amore impossibile alla Titanic tra i due personaggi. Se ciò è evoluto bisogna appuntare a Muccino che questa scelta non premia la sua volontà e delinea un'incoerenza di fondo non percepita dallo spettatore comune grazie all'intelligenza del marketing di celare la trama sia nel trailer che nel titolo. Se, al contrario, ciò non è voluto, la cosa diventa ancora più preoccupante data l'incapicità del regista di sviluppare un tema principale senza perdersi in inutile vezzeggiamenti.

Non sono e non sono mai stato un ammiratore di Muccino. Quando girava in Italia, l' ho sempre visto come un regista commerciale che guarda più al pubblico in un narcisistico tentativo di piacere ai più, piuttosto che esprimersi ed esprimere il proprio punto di vista. Era successo nel film "Ricordati di me" dove nel finale manteneva una posizione aperta proprio per non inciampare in opinioni che potessero offendere o deludere lo spettatore. I suoi due film americani mostrano un cambio di stile evidentemente hollywodiano; il tentativo è quello di strappar lacrime e commuovere, nel primo film "La ricerca della felicità" mostrando la realizzazione del sogno americano, nel secondo caso raccontando un dramma umano. Se nel primo film il patetico stava nell'eccessivo buonismo di fondo e nei disperati tentativi di commuovere lo spettatore attraverso il bambino e il personaggio protagonista, nel secondo è la storia con la sua vena di eroismo spiccio tipico di film blockbuster americani. La cosa peggiore è che in nessuno dei due la commozione viene percepita per la loro evidente finzione, e alla fine non lasciano niente di importante dentro.

Muccino stesso aveva detto che non avrebbe più girato ad Hollywood a causa della risaputa strapotenza dei produttori che impongo al regista tagli e linee da seguire, risultando i veri artefici del prodotto cinematografico. Il fatto che il regista italiano sia ancora li, da una parte dimostra la sua poca personalità (assolutamente evidente nel momento in cui lo si sente parlare), dall'altra il suo attacamento alla popolarità passando da regista appassionato a semplice artigiano cinematografico. Questo triste passaggio è stato rifutato da ben più grandi registi, a partire dai grandi Rossellini e De Sica per arrivare ai più moderni Salvatores, Tornatore e Garrone.
"Non avevo compreso il significato del dramma. Pensavo che il dramma si realizzasse quando gli attori piangono. Ma il dramma si realizza quando gli spettatori piangono." (Fran Capra)
*1/2 (*****)

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