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sabato 3 giugno 2023

La Sirenetta (2023)

Bello ma non ci vivrei


Ariel, figlia del re del mare Tritone, è profondamente affascinata dal mondo umano. Suo padre, tuttavia, ha proibito a tutti gli abitanti del suo regno di andare in superficie. Una notte, una tempesta fa naufragare la nave su cui viaggia Eric, principe di un regno caraibico. Eric rischia di affogare, e così Ariel decide di disobbedire l'ordine del padre per salvarlo.

"Le alghe del tuo passato / ti sembra più verdi sai": questo adattamento della celebre strofa di In fondo al mar descrive perfettamente l'intera operazione live action della Disney. Un'operazione che, dopo un ottimo esordio (Il libro della giungla) sembra trascinarsi stancamente, con scarsissima ambizione, portata avanti puramente per rafforzare il brand e l'immagine aziendale di una casa che sembra aver esaurito le idee originali al di fuori del campo che, ironicamente, continua a saccheggiare per queste operazioni: quello dell'animazione.

Dopo film mediocri (La bella e la bestia, Aladdin) e veri e propri disastri (Il re leone, Dumbo, e soprattutto Lilli e il Vagabondo sparato direttamente su Disney+ per disperazione) la sorpresa è, ormai, quello di trovarsi davanti un prodotto ben fatto: è questo il caso, e chi scrive lo dice con una certa malcelata sorpresa, di questo adattamento de La sirenetta, forse il classico più amato del cosiddetto Rinascimento Disney. Il film, innegabilmente, funziona: la trama intrattiene e a tratti, incredibile dictu, emoziona; i cambiamenti operati sono intelligenti e ben costruiti, e aggiungono profondità anziché cercare di spiegare presunti buchi di trama che nessuno, salvo lamentoso83 che scrive sul web, sentiva il bisogno di vedere esplicitati. Anche i nuovi numeri musicali, scritti da Lil-Manuel Miranda su musiche del compositore originale, Alan Menken, funzionano, pur impallidendo di fronte ai grandi classici del film: spicca un rap tra Sebastian e Scuttle, abbastanza originale da distinguersi dagli altri.

A funzionare è soprattutto il cast, capitanato da un Halle Bailey vocalmente eccezionale: la vetta emotiva del film rimane Come vorrei (Part of your world in originale), che Bailey interpreta con ottima sensibilità e flessibilità vocale. Accanto a lei troviamo un Jonah Hauer-King convincente nei panni di Eric, cui dona un fascino goffo e bambacione in stile Hugh Grant prima maniera. Javier Bardem è ottimo nella parte di Tritone padre apprensivo (l'addio tra lui e Ariel è uno dei pochi momenti in cui il sequel supera l'originale), una Melissa McCarthy deliziosamente diabolica nei panni di Ursula, e Daveed Siggs e Awkwafina fondamentali come voci di Sebastian e Scuttle, veri motori comici del film.

Ciò che non funziona è, come già ne Il re leone e ne La bella e la bestia, l'animazione: la computer grafica è poverissima, e le scene subacquee sono imbarazzentemente finte, buie, e poco colorate, e perdono il confronto sia con l'originale (che faceva proprio dei colori la sua forza) sia con il recente Avatar - La via dell'acqua, che aveva mostrato la via per un utilizzo efficace della CGI in ambienti marini. L'animazione dei personaggi non umani è, ancora una volta, straniante. La Disney sembra aver imparato solo parzialmente la lezione de Il re leone, e inserisce un minimo sindacale di cartoonesco negli altrimenti iperrealistici Sebastian e Scuttle, salvandoli  dall'inespressività totale che sembrava aver colpito Simba, Pumbaa e compagnia: nulla di eccezionale, chiariamoci, parliamo davvero di un minimo sindacale. Non si salva, tuttavia, il povero Flounder, che passa da essere coprotagonista a comprimario dimenticato per buona parte del film, complice anche una faccia da triglia (letterale) cui nessuno sembra aver voluto porre rimedio. Flounder è un incubo da uncanny valley, e a nulla vale dargli una vocina simpatica per far dimenticare l'orrore grafico che l'accompagna. Quando si capirà che l'iperrealismo rovina questo tipo di film, risultando paradossalmente inferiore, come resa, al non-realismo dell'animazione, sarà sempre troppo tardi. 

La sirenetta, dunque, è un film gradevole, sul quale però aleggia incombente, più della Ursula versione extra large del finale, la solita domanda: era necessario? Ancora una volta, la risposta sembra essere "no": non c'è nulla, al di là delle finalità commerciali, che giustifichi l'intera operazione live action, pensata esclusivamente per far leva sulla nostalgia di chi è cresciuto con gli originali e per vendere nuovi gadget a chi invece non era ancora nato. Ma per raggiungere il secondo obiettivo non sarebbe bastato il buon vecchio re-release dell'originale, tattica che la Disney ha perseguito con enorme successo per decenni, fermandosi proprio con un titolo del Rinascimento Disney, Aladdin? Ai posteri l'ardua sentenza.

***

Pier

mercoledì 21 agosto 2019

Il re leone (2019)

Tradire la propria storia


Simba è il giovane erede di Mufasa, il re della savana. Ansioso di provare il suo valore e istigato dall'ambiguo zio Scar, il giovane leone finirà per infilarsi in un pericolo che cambierà tutta la sua vita.

Nulla sembra poter fermare l'ondata di remake dal vivo dei classici d'animazioni Disney: se alcune di queste operazioni sembrano avere almeno una vaga giustificazione artistica (Il libro della giungla, diretto dallo stesso Favreau responsabile de Il re leone), e altre sono quantomeno inoffensive e comunque godibili (il recente Aladdin e Cenerentola), altri riescono nell'impresa di non arricchire l'originale e addirittura peggiorarlo (La bella e la bestiaDumbo).

Il re leone, purtroppo, ricade nell'ultimo caso. All'apparenza un remake quasi pedissequo dell'originale, il film trova la propria morte in quella che dovrebbe essere la sua raison d'être, ovvero la computer grafica iperrealistica già vista ne Il libro della giungla. Laddove in quest'ultimo l'iperrealismo era necessario per consentire l'interazione realistica con il giovane interprete di Mowgli, qui l'iperrealismo risulta fallimentare e straniante, in quanto completamente inadatto a veicolare le emozioni provate dai personaggi. La mancanza di emozioni si traduce nella totale incapacità di empatizzare con i protagonisti, rendendo così sterili le scene che dovrebbero risultare divertenti (le prime interazioni tra Simba e Timon e Pumbaa) o commoventi (la celeberrima morte di Mufasa). La veicolazione delle emozioni è lasciata interamente ai doppiatori, creando così enormi differenze nell'espressività dei personaggi, con la versione giovane di Simba che si trasforma in una sfinge pressoché indecifrabile. Un film che è passato alla storia per la sua straordinaria portata emotiva si trasforma quindi in un film piatto, senza guizzi, incapace di emozionare e persino di divertire, fatta eccezione per rarissime scene, quasi tutte affidate ai mattatori Zazu, Timon e Pumbaa, cui vengono assegnati le battute più riuscite e i migliori doppiatori (rispettivamente John Oliver, Billy Eichner, e Seth Rogen in originale, Emiliano Coltorti, Edoardo Leo, e Stefano Fresi in italiano).

Il paradosso è che questa situazione si sarebbe potuta evitare applicando le regole auree dell'animazione tradizionale - regole create dalla stessa Disney e "trasferite" alla computer grafica dal lavoro di John Lasseter sui primi corti Pixar. La totale  incapacità dei personaggi animati, e dei felini in particolare, di comunicare emozioni come gioia o tristezza risulta dall'aver ignorato regole come l' "esagerazione", che prescrive un uso di espressione facciali esagerate per trasmettere emozioni ed evitare la staticità e monotonia generate dall'iperrealismo. Il fatto che un film del genere sia stato prodotto senza tenere conto di un difetto produttivo talmente macroscopico da essere evidente anche a un occhio non esperto lascia basiti ed esterrefatti, soprattutto considerando che simili problemi non sono certo una novità nell'ambiente a.
Il film si distingue inoltre per una sciatteria inaccettabile, che si esprime soprattutto nei colori, spenti e piatti laddove l'originale era un trionfo di toni accesi e vibranti, e che trova il suo culmine nella scena in cui Simba e Nala cantano Can you feel the love tonight?, palesemente ambientata di giorno, con tanto di tramonto che avviene molti minuti dopo la fine della sequenza.

Il re leone, dunque, non è solo un remake inutile, pedissequo e dimenticabile, creato unicamente per logiche commerciali (cosa che di per sé non basterebbe a condannarlo, dato che lo scopo, in fondo, è sempre quello di fare film che incassino al botteghino): è anche un tradimento dell'Arte create dalla stessa Disney, e che la ha consacrata come una delle aziende più creative del ventesimo secolo. Un tradimento del genere è inaccettabile e preoccupante, in quanto dimostra una totale mancanza di rispetto e attenzione sia per lo spettatore che per la storia dell'azienda.

Visto che la macchina dei remake non conosce soste, auspichiamo che questo evidente passo falso faccia riconsiderare alla Disney l'uso della computer grafica, al fine di promuoverne un uso più efficace e degno della grande storia dell'animazione disneyana.

* 1/2

Pier

a : per esempio, in Alla ricerca di Nemo il team artistico Pixar constatò che rappresentare i pesci in modo realistico, con gli occhi sui lati del corpo, rendeva i personaggi troppo inespressivi. Decisi quindi di usare un altro animale come modello per gli occhi dei protagonisti: il cane.