mercoledì 21 agosto 2019

Il re leone (2019)

Tradire la propria storia


Simba è il giovane erede di Mufasa, il re della savana. Ansioso di provare il suo valore e istigato dall'ambiguo zio Scar, il giovane leone finirà per infilarsi in un pericolo che cambierà tutta la sua vita.

Nulla sembra poter fermare l'ondata di remake dal vivo dei classici d'animazioni Disney: se alcune di queste operazioni sembrano avere almeno una vaga giustificazione artistica (Il libro della giungla, diretto dallo stesso Favreau responsabile de Il re leone), e altre sono quantomeno inoffensive e comunque godibili (il recente Aladdin e Cenerentola), altri riescono nell'impresa di non arricchire l'originale e addirittura peggiorarlo (La bella e la bestiaDumbo).

Il re leone, purtroppo, ricade nell'ultimo caso. All'apparenza un remake quasi pedissequo dell'originale, il film trova la propria morte in quella che dovrebbe essere la sua raison d'être, ovvero la computer grafica iperrealistica già vista ne Il libro della giungla. Laddove in quest'ultimo l'iperrealismo era necessario per consentire l'interazione realistica con il giovane interprete di Mowgli, qui l'iperrealismo risulta fallimentare e straniante, in quanto completamente inadatto a veicolare le emozioni provate dai personaggi. La mancanza di emozioni si traduce nella totale incapacità di empatizzare con i protagonisti, rendendo così sterili le scene che dovrebbero risultare divertenti (le prime interazioni tra Simba e Timon e Pumbaa) o commoventi (la celeberrima morte di Mufasa). La veicolazione delle emozioni è lasciata interamente ai doppiatori, creando così enormi differenze nell'espressività dei personaggi, con la versione giovane di Simba che si trasforma in una sfinge pressoché indecifrabile. Un film che è passato alla storia per la sua straordinaria portata emotiva si trasforma quindi in un film piatto, senza guizzi, incapace di emozionare e persino di divertire, fatta eccezione per rarissime scene, quasi tutte affidate ai mattatori Zazu, Timon e Pumbaa, cui vengono assegnati le battute più riuscite e i migliori doppiatori (rispettivamente John Oliver, Billy Eichner, e Seth Rogen in originale, Emiliano Coltorti, Edoardo Leo, e Stefano Fresi in italiano).

Il paradosso è che questa situazione si sarebbe potuta evitare applicando le regole auree dell'animazione tradizionale - regole create dalla stessa Disney e "trasferite" alla computer grafica dal lavoro di John Lasseter sui primi corti Pixar. La totale  incapacità dei personaggi animati, e dei felini in particolare, di comunicare emozioni come gioia o tristezza risulta dall'aver ignorato regole come l' "esagerazione", che prescrive un uso di espressione facciali esagerate per trasmettere emozioni ed evitare la staticità e monotonia generate dall'iperrealismo. Il fatto che un film del genere sia stato prodotto senza tenere conto di un difetto produttivo talmente macroscopico da essere evidente anche a un occhio non esperto lascia basiti ed esterrefatti, soprattutto considerando che simili problemi non sono certo una novità nell'ambiente a.
Il film si distingue inoltre per una sciatteria inaccettabile, che si esprime soprattutto nei colori, spenti e piatti laddove l'originale era un trionfo di toni accesi e vibranti, e che trova il suo culmine nella scena in cui Simba e Nala cantano Can you feel the love tonight?, palesemente ambientata di giorno, con tanto di tramonto che avviene molti minuti dopo la fine della sequenza.

Il re leone, dunque, non è solo un remake inutile, pedissequo e dimenticabile, creato unicamente per logiche commerciali (cosa che di per sé non basterebbe a condannarlo, dato che lo scopo, in fondo, è sempre quello di fare film che incassino al botteghino): è anche un tradimento dell'Arte create dalla stessa Disney, e che la ha consacrata come una delle aziende più creative del ventesimo secolo. Un tradimento del genere è inaccettabile e preoccupante, in quanto dimostra una totale mancanza di rispetto e attenzione sia per lo spettatore che per la storia dell'azienda.

Visto che la macchina dei remake non conosce soste, auspichiamo che questo evidente passo falso faccia riconsiderare alla Disney l'uso della computer grafica, al fine di promuoverne un uso più efficace e degno della grande storia dell'animazione disneyana.

* 1/2

Pier

a : per esempio, in Alla ricerca di Nemo il team artistico Pixar constatò che rappresentare i pesci in modo realistico, con gli occhi sui lati del corpo, rendeva i personaggi troppo inespressivi. Decisi quindi di usare un altro animale come modello per gli occhi dei protagonisti: il cane.

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