Ultimo telegramma dalla Mostra del Cinema di Venezia, in attesa del Totoleone, con i due film migliori visti fin qui alla Mostra.
I Predatori (Orizzonti), voto 7. Ottimo esordio alla regia per Pietro Castellitto, che racconta due famiglie di "nuovi mostri" con sguardo originale e autoriale, dando vita a una satira sociale dove si ride e ci si dispera, e dove nessuno ottiene, né merita, redenzione.
In Between Dying (Concorso), voto 7. Sulle orme di Béla Tarr, un film dai connotati esistenzialisti, in cui un uomo sembra inseguito dalla Morte mentre va alla ricerca di se stesso. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.
Nomadland (Concorso), voto 9. Uno struggente viaggio nel cuore dimenticato dell'America, tra crisi economica e tentativi di riscoprire i veri valori: un incontro di solitudini che è però fugace, perché la solitudine, forse, non è una costrizione, ma una scelta. Chloé Zhao realizza un film tra il road movie e Ken Loach, che colpisce dritto al cuore grazie anche alla prestazione sublime di Frances McDormand, nomade volitiva che fa del suo minivan una casa con la C maiuscola. Da tenere d'occhio anche in ottica Oscar.
Nowhere Special (Orizzonti), voto 9. Dopo quel piccolo capolavoro di Still Life, Uberto Pasolini torna a Venezia, e fa di nuovo centro con un film semplice, ma potente, in grado di parlare al cuore dello spettatore senza scivolare nei facili pietismi cui la storia (un padre morente cerca una nuova famiglia per il figlioletto) pur si presterebbe. Nowhere Special arriva dritto al cuore perché racconta senza fronzoli una storia autentica, e lo fa attraverso la scrittura e i personaggi, splendidamente tratteggiati e interpretati.
Genus Pan (Orizzonti), voto 7. Dopo il Leone d'Oro del 2016, Lav Diaz torna alla Mostra con un film che indaga la natura umana, e in particolare l'homo homini lupus di hobbesiana memoria: il buono soccombe alla disperazione, all'assenza di speranza, alla corruzione. Il film inizia con un'anabasi, un ritorno a casa che culmina in tragedia, per poi trasformarsi in un thriller politico. Il ritmo è lento, ma non rarefatto, con dialoghi frequenti e fitti, una peculiarità nel cinema di Diaz. Proprio i dialoghi, però, risultano in alcuni momenti superflui, un inutile ciarlare che va a perturbare la struggente bellezza delle immagini.
Per ora è tutto, appuntamento a più tardi per il Totoleone.
Pier
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