Cinema come fantasia o cinema come realtà? Questo è un interrogativo che ha diviso i più grandi cineasti di tutti i tempi, a partire dagli albori, quando, nel 1900 esisteva già uno scontro di idee tra i fratelli Lumiere che volevano e seguivano un cinema documentaristico, e Melies il regista che, per primo, diede un volto favolistico alla settima arte.
Ebbene “ Big Fish” il nuovo film di Tim Burton, attualmente nelle sale, sembra seguire l’ interpretazione Meliesiana, ovvero cinema come evasione, cinema come favola e storia ben più piacevole della realtà nella quale tutto segue i canoni della razionalità. Con rigore onirico Burton sostituisce agli eroi mucciniani e ozpetekiani impregnati della stessa tristezza che caratterizza i nostri dubbi esistenziali , personaggi mitici, innocenti e ingenui ( Il gigante, il lupo mannaro, le gemelle siamesi) ,che per le loro particolarità in un certo senso mostruose sarebbero classificati come reietti della società nella realtà razionale ma che nella favola sono proprio le loro nefandezze a inserirli nei canoni della normalità, a farli protagonisti di un mondo fantasioso dove le loro diversità sono disegnate dal regista con tanta ingenuità da renderli amabili e non mostruosi.
Il film può riassumere, a mio parere, il significato di cinema: Il bisogno di evasione, l’importanza della fantasia, il credere ancora possibile sognare a occhi aperti un mondo dove morire è come nascere( Non a caso il vecchio Ed Bloom muore là dove era cominciata la sua fantasia) dove il male è come il bene ( Il poeta fallito che rapina una banca agisce con una ingenuità disarmante), e dove amare è come odiare( Ed Bloom e protagonista di tutte le azioni eroiche della città sotto gli occhi gelosi del suo migliore amico, a cui soffia sul finale anche la ragazza); dove insomma tutti i sentimenti opposti si fondono in uno unico che diventa l’elemento di una vita fantastica. Ed è questo che significa il cinema, proprio il sedersi sulla poltrona a luce spenta a guardare eroi e personaggi che non rispecchiano la nostra realtà ; dunque non deve essere una trasposizione di noi stessi sullo schermo, perché come va la nostra vita, com’ è la realtà non abbiamo bisogno di vederlo nelle sale perché il mondo e la vita sono il nostro schermo e noi i protagonisti. Davanti ad un film abbiamo bisogno di sentirci diversi, abbiamo bisogno di sentire cosa significa parlare con un gigante, lanciare un bastone a un uomo lupo, organizzare la fuga dal Vietnam con due ragazze vietnamite siamesi; insomma abbiamo bisogno di vedere tutto quello che nella realtà non potremmo o che in fin dei conti non vorremmo vedere perché ci spaventerebbe; ma se c’è una cosa che il cinema ci ha insegnato è che la finzione non fa e non deve far paura, ma può colpire dritto al cuore ricordandoci che un tuffo nella più fanciullesca delle favole è un punto necessario per una esistenza eterna, perché, com’è detto nel film, è raccontando storie che l’uomo ottiene l’immortalità.
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Alessandro
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