Nuova puntata di Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi suggerisce film da vedere in quarantena.
Il genere di oggi sono le saghe cinematografiche di avventura/azione.
I film - anzi, le saghe - segnalati sono:
1) Star Wars (disponibile su Disney+). La saga per eccellenza, quella che ha lanciato il concetto di franchise moderno. Imprescindibile. Qui trovate tutte gli articolo e recensioni dedicati alla saga: Star Wars omnibus.
2) Rambo (disponibile su Timvision). La saga di Rocky ha avuto più successo e seguito, ma quella di Rambo rimane, soprattutto nei primi capitoli, uno dei ritratti più efficaci dello stress post-traumatico che colpisce i veterani, e in generale della follia della guerra. Da riscoprire.
3) Madagascar (disponibile su Netflix). Una delle saghe più fortunate della Dreamworks, Qui la recensione del secondo e del terzo capitolo.
A domani per la quarantacinquesima puntata!
Pier
Visualizzazione post con etichetta Star Wars. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Star Wars. Mostra tutti i post
domenica 26 aprile 2020
martedì 24 dicembre 2019
Star Wars Episodio IX vs. Episodio VIII: Un confronto filmico
Episodio IX - L'ascesa di Skywalker è appena atterrato nelle sale, e già rischia di passare alla storia come il film con la peggior ricezione di pubblico e critica di questa trilogia: primo film della nuova trilogia a ottenere un rating inferiore ad A su CinemaScore 1, unico a ricevere voti dei critici aggregati inferiori al 6 su Metacritic e RottenTomatoes, peggior incasso della trilogia.
Il film arriva dopo Gli Ultimi Jedi, film che fu peculiarmente accolto benissimo dai critici e, in teoria, malissimo dal pubblico in quanto troppo distante dal canone di Guerre Stellari (ma si veda la nota a fine articolo al tal proposito).
Questo articolo si propone di spiegare perché, a livello puramente filmico, Episodio IX è un film più povero di Episodio VIII. Non ci concentreremo sul "cosa", ma sul "come": per fare un paragone un po' azzardato, non ci concentreremo sulla storia raccontata nel libro, ma cercheremo di capire se il libro è scritto rispettando le regole della grammatica e della sintassi, e soprattutto se sia in grado di comunicarci la visione del suo autore.
Presenterò tre ragioni principali: non sono le uniche, ma sono quelle più evidenti e più meritevoli di discussione.
L'esercizio può sembrare gratuito, ma non lo è, perché ci permette anche di fare una riflessione su cosa sia il cinema di intrattenimento oggi, su cosa davvero significhi essere "rispettosi" di una saga e dei fan, e sul perché esistono discrepanze tra il giudizio di critici e pubblico. Ci offre la possibilità, insomma, di parlare di cinema e di critica cinematografica.
Questo non significa che ci sia nulla di male nell'apprezzare di più Episodio IX: le categorie del gusto sono soggettive e insindacabili. Se qualcuno si è emozionato di fronte al ritorno di Lando o alla rivelazione sulle origini di Rey, nessuno ha diritto di demonizzare questa posizione. Tuttavia, questo articolo cercherà di esulare dal gusto personale per concentrarsi su elementi oggettivi come l'occhio del regista e il rispetto della grammatica cinematografica.
Pronti? Allacciate le cinture, andiamo a incominciare.
1. Visione registica
Anche chi ha detestato Episodio VIII ha riconosciuto che Johnson aveva una visione registica molto forte. Ne abbiamo già parlato in dettaglio, quindi non ci dilungheremo: l'idea centrale del film era quella del superamento del passato. L'attaccamento ai genitori, la mitizzazione dei maestri e della loro epoca, le paure, le esperienze e i legami emotivi che ci impediscono di crescere e maturare: tutti i personaggi si trovavano ad affrontare un percorso che li costringeva a fare conti con il proprio passato e a liberarsi di alcuni fardelli. Il tema veniva declinato in moltissimi modi, sia narrativi che visivi: Luke che lancia via la spada laser, e Kylo che vede Luke ancora come lo ricordava e non si rende conto del trucco sono solo due esempi. Questa visione non può esulare da un abbandono del passato anche a livello metatestuale, avviando un processo di svecchiamento e innovazione che legittimamente non è piaciuto a molti fan (alcuni, molto meno legittimamente, hanno deciso di esprimere il proprio disappunto con minacce e petizioni senza senso - ma questa è un'altra storia).
La visione del film di Abrams è invece erratica, sparpagliata, indecisa: in una parola, assente. Difficile, se non impossibile, capire quale sia il tema portante di Episodio IX: "la scoperta delle origini di Rey" non è infatti un tema, ma un espediente narrativo per portare avanti la trama. Persino le implicazioni della scoperta di queste origini, come vedremo, sono quasi del tutto ignorate. La trama avanza a colpi di deus ex machina, senza un vero filo conduttore, e i personaggi sono sballottati da un pianeta all'altro, da un pericolo all'altro, senza che ci sia davvero possibilità di iniziare un discorso e portarlo fino in fondo. L'unico tema identificabile diviene quello di "rispondere alle critiche dei fan online", e persino a livello visivo Abrams non riesce a lasciare una sua impronta, cosa che gli era invece riuscita, e pure bene, in Episodio VII.
2. Sviluppo dei personaggi
Abrams aveva gettato delle basi interessantissime per i suoi tre protagonisti in Episodio VII: un soldato disertore, programmato per combattere e desideroso di fuggire e vivere in pace; una cercatrice di rottami dalle origini misteriose, incredibilmente dotata nell'uso della Forza; e un figlio reietto degli eroi di un tempo, un villain atipico, tentato dal lato chiaro laddove Anakin era tentato dal lato oscuro. Il grande merito di Abrams in Episodio VII era stato proprio questo: riabbracciare il passato, ma al tempo stesso proiettare la saga verso il futuro con nuovi personaggi dall'alto potenziale drammatico e narrativo (al punto che molti ritengono i primi 20 minuti, in cui non compaiono le vecchie conoscenze, i migliori del film).
Episodio VIII faceva sue queste suggestioni e le portava avanti con coerenza, anche se in direzioni diverse da quelle che era lecito aspettarsi. Finn, attraverso il controverso viaggio sul pianeta casinò (anche qui, ne abbiamo già parlato) riscopriva cosa significa fidarsi di qualcuno e battersi per una causa in cui crede, e non per un esercito che lo ha coscritto e suggestionato per fare di lui una macchina da guerra. Rey scopriva qualcosa di più su se stessa, ma soprattutto sul fatto che il suo destino era nelle sue mani, non in quelle di altri, muovendosi a tentoni verso una migliore conoscenza di sé e delle sue ambiguità: le scene di tentazione "a distanza" con Kylo rappresentano una delle migliori intuizioni di Johnson, una novità che si inserisce alla perfezione nella tradizione dei poteri Jedi. Kylo, infine, era tormentato dall'omicidio del padre, ma al tempo stesso lacerato dal desiderio di potere: la sua non-redenzione dopo la morte di Snoke compiva la sua consacrazione a nuovo villain della saga, e la sua resa alla sua rabbia e alla sua brama di autoaffermazione.
In Episodio IX l'arco dei personaggi nel migliore dei casi si blocca, e in altri viene del tutto distrutto, come se Abrams si fosse dimenticato di ciò che lui stesso ha scritto. Finn è talmente inconsistente da essere quasi inesistente, una spalla indistinguibile da Poe se non per il suo legame con Rey, e che sembra aver del tutto dimenticato il suo passato e i suoi traumi. Rey sembra bloccata, in stasi: la rivelazione sulle sue origini e i suoi poteri da "lato oscuro" offrirebbero la possibilità per un percorso parallelo e speculare a quello di Kylo, ma questa interessante suggestione viene ridotta a una visione di "dark Rey" abbastanza imbarazzante per resa visiva e contesto narrativo.
Kylo, infine, reagisce alla notizia del ritorno di Palpatine in maniera del tutto incoerente: un ragazzo roso dall'ambizione come lui, ossessionato dalla soppressione del passato ("uccidilo, se devi", declamava in Episodio VIII), decide di allearsi di punto in bianco con un Palpatine debole e mantenuto in vita dalle macchine, con il rischio evidente di vedersi messo da parte per Rey, vista la parentela tra i due. La gestione del rapporto tra Palpatine e Kylo è pedestre, e non sfrutta appieno il potenziale offerto dal fatto che fosse proprio Kylo a rivelare a Rey le sue (presunte) oscure origini: sarebbe stato più convincente, ad esempio, che Kylo fosse stato in combutta con Palpatine, e quindi al corrente dell'identità di Rey, fin dall'inizio, con Snoke a fare da specchietto per le allodole in un piano per condurre Rey al lato oscuro. Ancor peggio gestito è il rapporto tra Rey e Kylo, che rinuncia alla palpabile tensione sessuale e repulsione valoriale di Episodio VIII per abbracciare una più convenzionale schermaglia tra lato oscuro e lato chiaro, pallida eco di quella tra Darth Vader e Luke Skywalker nella trilogia originale, o tra Palpatine e Anakin nella trilogia prequel. Il bacio finale tra i due, per quanto emotivamente forte per quanto accade dopo, ha un decimo della tensione (erotica e non solo) del tocco tra le loro mani in Episodio VIII.
3. Fotografia e immagini
E veniamo all'elemento che, pur essendo il punto forte di Episodio IX, è anche quello dove il confronto con il predecessore diviene quasi imbarazzante: il comparto visivo. Episodio VIII ha regalato alcuni dei momenti visivi migliori della saga, dalla stanza del trono di Snoke al pianeta di sale, passando per il duello tra Luke e Kylo, ripreso in campo lungo come i duelli tra samurai di Kurosawa, una vera rivoluzione per la saga. Questi momenti venivano dispensati con cura, attraverso inquadrature ampie e ariose, con un sapiente uso del fuoco e della disposizione di personaggi e oggetti tra primo e secondo piano per creare profondità di campo. Questo dava tempo all'occhio dello spettatore di incamerare tutta la meraviglia e l'inventiva dell'immagine.
Episodio IX ha momenti altrettanto spettacolari (il "parlamento" Sith, il combattimento in mezzo al mare) ma li butta via: le inquadrature sono affrettate, dal respiro corto, sacrificate sull'altare del ritmo frenetico che pervade tutto il film. Il tempo di realizzare cosa si sta vedendo e l'inquadratura è già scomparsa, passando a un primo piano, a un montaggio frenetico, a un altro pianeta. Il combattimento in mare è il duello principale del film, e viene coreografato in modo banale, senza darci modo di assaporare veramente la location e la posta in gioco per i due personaggi.
1: considero CinemaScore, e non il voto dell'audience di RottenTomatoes, perché quest'ultimo è facilmente manipolabile da bot e attacchi coordinati, come documentato qui. Se volete verificare da soli, Episodio VIII offre un perfetto esempio: il voto del pubblico de Gli Ultimi Jedi su IMDB è pari a 7.1 sulla base di 498.314 review - molto più in linea con il voto "A" di CinemaScore, e distantissimo dal 43% di RottenTomatoes. Questa discrepanza non può che essere spiegata con l'uso massiccio di bot e attacchi mirati sul più noto (e più "fragile") RottenTomatoes.
Il film arriva dopo Gli Ultimi Jedi, film che fu peculiarmente accolto benissimo dai critici e, in teoria, malissimo dal pubblico in quanto troppo distante dal canone di Guerre Stellari (ma si veda la nota a fine articolo al tal proposito).
Questo articolo si propone di spiegare perché, a livello puramente filmico, Episodio IX è un film più povero di Episodio VIII. Non ci concentreremo sul "cosa", ma sul "come": per fare un paragone un po' azzardato, non ci concentreremo sulla storia raccontata nel libro, ma cercheremo di capire se il libro è scritto rispettando le regole della grammatica e della sintassi, e soprattutto se sia in grado di comunicarci la visione del suo autore.
Presenterò tre ragioni principali: non sono le uniche, ma sono quelle più evidenti e più meritevoli di discussione.
L'esercizio può sembrare gratuito, ma non lo è, perché ci permette anche di fare una riflessione su cosa sia il cinema di intrattenimento oggi, su cosa davvero significhi essere "rispettosi" di una saga e dei fan, e sul perché esistono discrepanze tra il giudizio di critici e pubblico. Ci offre la possibilità, insomma, di parlare di cinema e di critica cinematografica.
Questo non significa che ci sia nulla di male nell'apprezzare di più Episodio IX: le categorie del gusto sono soggettive e insindacabili. Se qualcuno si è emozionato di fronte al ritorno di Lando o alla rivelazione sulle origini di Rey, nessuno ha diritto di demonizzare questa posizione. Tuttavia, questo articolo cercherà di esulare dal gusto personale per concentrarsi su elementi oggettivi come l'occhio del regista e il rispetto della grammatica cinematografica.
Pronti? Allacciate le cinture, andiamo a incominciare.
1. Visione registica
Anche chi ha detestato Episodio VIII ha riconosciuto che Johnson aveva una visione registica molto forte. Ne abbiamo già parlato in dettaglio, quindi non ci dilungheremo: l'idea centrale del film era quella del superamento del passato. L'attaccamento ai genitori, la mitizzazione dei maestri e della loro epoca, le paure, le esperienze e i legami emotivi che ci impediscono di crescere e maturare: tutti i personaggi si trovavano ad affrontare un percorso che li costringeva a fare conti con il proprio passato e a liberarsi di alcuni fardelli. Il tema veniva declinato in moltissimi modi, sia narrativi che visivi: Luke che lancia via la spada laser, e Kylo che vede Luke ancora come lo ricordava e non si rende conto del trucco sono solo due esempi. Questa visione non può esulare da un abbandono del passato anche a livello metatestuale, avviando un processo di svecchiamento e innovazione che legittimamente non è piaciuto a molti fan (alcuni, molto meno legittimamente, hanno deciso di esprimere il proprio disappunto con minacce e petizioni senza senso - ma questa è un'altra storia).
La visione del film di Abrams è invece erratica, sparpagliata, indecisa: in una parola, assente. Difficile, se non impossibile, capire quale sia il tema portante di Episodio IX: "la scoperta delle origini di Rey" non è infatti un tema, ma un espediente narrativo per portare avanti la trama. Persino le implicazioni della scoperta di queste origini, come vedremo, sono quasi del tutto ignorate. La trama avanza a colpi di deus ex machina, senza un vero filo conduttore, e i personaggi sono sballottati da un pianeta all'altro, da un pericolo all'altro, senza che ci sia davvero possibilità di iniziare un discorso e portarlo fino in fondo. L'unico tema identificabile diviene quello di "rispondere alle critiche dei fan online", e persino a livello visivo Abrams non riesce a lasciare una sua impronta, cosa che gli era invece riuscita, e pure bene, in Episodio VII.
2. Sviluppo dei personaggi
Abrams aveva gettato delle basi interessantissime per i suoi tre protagonisti in Episodio VII: un soldato disertore, programmato per combattere e desideroso di fuggire e vivere in pace; una cercatrice di rottami dalle origini misteriose, incredibilmente dotata nell'uso della Forza; e un figlio reietto degli eroi di un tempo, un villain atipico, tentato dal lato chiaro laddove Anakin era tentato dal lato oscuro. Il grande merito di Abrams in Episodio VII era stato proprio questo: riabbracciare il passato, ma al tempo stesso proiettare la saga verso il futuro con nuovi personaggi dall'alto potenziale drammatico e narrativo (al punto che molti ritengono i primi 20 minuti, in cui non compaiono le vecchie conoscenze, i migliori del film).
Episodio VIII faceva sue queste suggestioni e le portava avanti con coerenza, anche se in direzioni diverse da quelle che era lecito aspettarsi. Finn, attraverso il controverso viaggio sul pianeta casinò (anche qui, ne abbiamo già parlato) riscopriva cosa significa fidarsi di qualcuno e battersi per una causa in cui crede, e non per un esercito che lo ha coscritto e suggestionato per fare di lui una macchina da guerra. Rey scopriva qualcosa di più su se stessa, ma soprattutto sul fatto che il suo destino era nelle sue mani, non in quelle di altri, muovendosi a tentoni verso una migliore conoscenza di sé e delle sue ambiguità: le scene di tentazione "a distanza" con Kylo rappresentano una delle migliori intuizioni di Johnson, una novità che si inserisce alla perfezione nella tradizione dei poteri Jedi. Kylo, infine, era tormentato dall'omicidio del padre, ma al tempo stesso lacerato dal desiderio di potere: la sua non-redenzione dopo la morte di Snoke compiva la sua consacrazione a nuovo villain della saga, e la sua resa alla sua rabbia e alla sua brama di autoaffermazione.
In Episodio IX l'arco dei personaggi nel migliore dei casi si blocca, e in altri viene del tutto distrutto, come se Abrams si fosse dimenticato di ciò che lui stesso ha scritto. Finn è talmente inconsistente da essere quasi inesistente, una spalla indistinguibile da Poe se non per il suo legame con Rey, e che sembra aver del tutto dimenticato il suo passato e i suoi traumi. Rey sembra bloccata, in stasi: la rivelazione sulle sue origini e i suoi poteri da "lato oscuro" offrirebbero la possibilità per un percorso parallelo e speculare a quello di Kylo, ma questa interessante suggestione viene ridotta a una visione di "dark Rey" abbastanza imbarazzante per resa visiva e contesto narrativo.
Kylo, infine, reagisce alla notizia del ritorno di Palpatine in maniera del tutto incoerente: un ragazzo roso dall'ambizione come lui, ossessionato dalla soppressione del passato ("uccidilo, se devi", declamava in Episodio VIII), decide di allearsi di punto in bianco con un Palpatine debole e mantenuto in vita dalle macchine, con il rischio evidente di vedersi messo da parte per Rey, vista la parentela tra i due. La gestione del rapporto tra Palpatine e Kylo è pedestre, e non sfrutta appieno il potenziale offerto dal fatto che fosse proprio Kylo a rivelare a Rey le sue (presunte) oscure origini: sarebbe stato più convincente, ad esempio, che Kylo fosse stato in combutta con Palpatine, e quindi al corrente dell'identità di Rey, fin dall'inizio, con Snoke a fare da specchietto per le allodole in un piano per condurre Rey al lato oscuro. Ancor peggio gestito è il rapporto tra Rey e Kylo, che rinuncia alla palpabile tensione sessuale e repulsione valoriale di Episodio VIII per abbracciare una più convenzionale schermaglia tra lato oscuro e lato chiaro, pallida eco di quella tra Darth Vader e Luke Skywalker nella trilogia originale, o tra Palpatine e Anakin nella trilogia prequel. Il bacio finale tra i due, per quanto emotivamente forte per quanto accade dopo, ha un decimo della tensione (erotica e non solo) del tocco tra le loro mani in Episodio VIII.
3. Fotografia e immagini
E veniamo all'elemento che, pur essendo il punto forte di Episodio IX, è anche quello dove il confronto con il predecessore diviene quasi imbarazzante: il comparto visivo. Episodio VIII ha regalato alcuni dei momenti visivi migliori della saga, dalla stanza del trono di Snoke al pianeta di sale, passando per il duello tra Luke e Kylo, ripreso in campo lungo come i duelli tra samurai di Kurosawa, una vera rivoluzione per la saga. Questi momenti venivano dispensati con cura, attraverso inquadrature ampie e ariose, con un sapiente uso del fuoco e della disposizione di personaggi e oggetti tra primo e secondo piano per creare profondità di campo. Questo dava tempo all'occhio dello spettatore di incamerare tutta la meraviglia e l'inventiva dell'immagine.
![]() |
Un momento preparatorio, con inquadratura ampia, che fa crescere la tensione per lo scontro imminente. |
![]() |
"E... Stop. Buona la prima, passiamo al prossimo pianeta." |
Che la causa di questo "sacrificio" sia la fretta è indubbio, perché Abrams in Episodio VII ci aveva regalato inquadrature davvero magnifiche, con un'attenzione enorme per i giochi luci-ombra, come nella scena dell'omicidio di Han Solo, quando sull'esitazione di Kylo la luce vira per un secondo al blu, prima di tornare a essere rosso cupo nel momento in cui Kylo si risolve a uccidere il padre.
4. Conclusione
Per riassumere i tre punti precedenti, mi concentrerò su due scene dei due film - due scene che, a mio gusto personale, non sono nemmeno tra le migliori dei rispettivi episodi: la famosa "gita" a Canto Bight di Episodio VIII, e quella su Kijimi di Episodio IX. Ambedue i viaggi sono giustificati da un MacGuffin - rintracciare il personaggio di Benicio Del Toro in Episodio VIII, resettare la memoria di C-3PO in Episodio IX; ambedue i viaggi si incentrano su uno dei personaggi (Finn a Canto Bight, Poe a Kijimi). Laddove però il viaggio a Canto Bight rappresenta un punto cruciale per la crescita e maturazione di Finn (anche qui, ne abbiamo già parlato), il viaggio su Kijimi ci rivela solo nuovi elementi del passato di Poe, senza che questi vengano poi ripresi o che abbiano alcun effetto sull'evoluzione del personaggio. A che pro, quindi, introdurre nuovi indizi su un personaggio comunque secondario, per di più nel capitolo conclusivo?
A livello visivo, il confronto tra i due pianeti è impietoso: Canto Bight paga omaggio all'estetica della trilogia prequel, ma lo fa realizzando un sontuoso casinò in stile Belle Epoque, fotografato con una luce da quadro d'epoca e dotato di una sua personalità ben definita. Kijimi è l'ennesimo pianeta ghiacciato, e ciò che vediamo nel film è difficilmente distinguibile da un qualunque altro pianeta periferico visto nella saga, tra rottami, pattuglie del Primo Ordine, e squallore diffuso.
4. Conclusione
Per riassumere i tre punti precedenti, mi concentrerò su due scene dei due film - due scene che, a mio gusto personale, non sono nemmeno tra le migliori dei rispettivi episodi: la famosa "gita" a Canto Bight di Episodio VIII, e quella su Kijimi di Episodio IX. Ambedue i viaggi sono giustificati da un MacGuffin - rintracciare il personaggio di Benicio Del Toro in Episodio VIII, resettare la memoria di C-3PO in Episodio IX; ambedue i viaggi si incentrano su uno dei personaggi (Finn a Canto Bight, Poe a Kijimi). Laddove però il viaggio a Canto Bight rappresenta un punto cruciale per la crescita e maturazione di Finn (anche qui, ne abbiamo già parlato), il viaggio su Kijimi ci rivela solo nuovi elementi del passato di Poe, senza che questi vengano poi ripresi o che abbiano alcun effetto sull'evoluzione del personaggio. A che pro, quindi, introdurre nuovi indizi su un personaggio comunque secondario, per di più nel capitolo conclusivo?
A livello visivo, il confronto tra i due pianeti è impietoso: Canto Bight paga omaggio all'estetica della trilogia prequel, ma lo fa realizzando un sontuoso casinò in stile Belle Epoque, fotografato con una luce da quadro d'epoca e dotato di una sua personalità ben definita. Kijimi è l'ennesimo pianeta ghiacciato, e ciò che vediamo nel film è difficilmente distinguibile da un qualunque altro pianeta periferico visto nella saga, tra rottami, pattuglie del Primo Ordine, e squallore diffuso.
![]() |
Un quadro di fine Ottocento |
![]() |
Un Power Ranger a spasso per Guerre Stellari |
Eccoci quindi arrivati alla fine del confronto.
Perché, potreste chiedervi, condurre un'analisi di questo tipo?
Il motivo è semplice: in un'epoca in cui il cinema di intrattenimento la fa da padrone, e si susseguono polemiche sul tema (vedi le recenti uscite di Martin Scorsese sui film Marvel), questo confronto ci permette di vedere le differenze tra un prodotto di intrattenimento girato comunque con una precisa visione autoriale e uno girato senza visione e senza anima, con il solo scopo di intrattenere sul momento, senza lasciare alcuno spunto di riflessione ai fan. La visione di Episodio VIII può non piacere (rientriamo, appunto, nel campo del gusto), ma è evidente anche ai detrattori: la stessa reazione "piccata" dei fan è testimone del fatto che ci troviamo di fronte a qualcosa di preciso e definito. Episodio IX, invece, è cinema di intrattenimento di livello medio-basso, che non solo non ha una visione, ma manca proprio di quella coerenza di trama che sta alla base dell'intrattenimento di qualità.
In un'epoca in cui finalmente il cinema di genere sta ottenendo una sua dignità filmica (dopo anni di battaglie anche da parte della critica, si vedano siti come I 400 calci e Il Cineocchio), è davvero triste che un film di una saga gloriosa come Guerre Stellari scelga la strada "facile" dell'intrattenimento per stordimento - tanto più che Guerre Stellari, anche nei momenti peggiori come la trilogia prequel, si è sempre caratterizzata per il coraggio e la voglia di sperimentare, indicando nuove strade a industria e pubblico. Il gusto del pubblico potrà premiarlo - anche se, per ora, i segnali vanno in direzione opposta - ma speriamo di avervi spiegato perché, al di là dei legittimi gusti personali, tra i due film ci sia un abisso qualitativo dal punto di vista puramente cinematografico.
Pier
Perché, potreste chiedervi, condurre un'analisi di questo tipo?
Il motivo è semplice: in un'epoca in cui il cinema di intrattenimento la fa da padrone, e si susseguono polemiche sul tema (vedi le recenti uscite di Martin Scorsese sui film Marvel), questo confronto ci permette di vedere le differenze tra un prodotto di intrattenimento girato comunque con una precisa visione autoriale e uno girato senza visione e senza anima, con il solo scopo di intrattenere sul momento, senza lasciare alcuno spunto di riflessione ai fan. La visione di Episodio VIII può non piacere (rientriamo, appunto, nel campo del gusto), ma è evidente anche ai detrattori: la stessa reazione "piccata" dei fan è testimone del fatto che ci troviamo di fronte a qualcosa di preciso e definito. Episodio IX, invece, è cinema di intrattenimento di livello medio-basso, che non solo non ha una visione, ma manca proprio di quella coerenza di trama che sta alla base dell'intrattenimento di qualità.
In un'epoca in cui finalmente il cinema di genere sta ottenendo una sua dignità filmica (dopo anni di battaglie anche da parte della critica, si vedano siti come I 400 calci e Il Cineocchio), è davvero triste che un film di una saga gloriosa come Guerre Stellari scelga la strada "facile" dell'intrattenimento per stordimento - tanto più che Guerre Stellari, anche nei momenti peggiori come la trilogia prequel, si è sempre caratterizzata per il coraggio e la voglia di sperimentare, indicando nuove strade a industria e pubblico. Il gusto del pubblico potrà premiarlo - anche se, per ora, i segnali vanno in direzione opposta - ma speriamo di avervi spiegato perché, al di là dei legittimi gusti personali, tra i due film ci sia un abisso qualitativo dal punto di vista puramente cinematografico.
Pier
1: considero CinemaScore, e non il voto dell'audience di RottenTomatoes, perché quest'ultimo è facilmente manipolabile da bot e attacchi coordinati, come documentato qui. Se volete verificare da soli, Episodio VIII offre un perfetto esempio: il voto del pubblico de Gli Ultimi Jedi su IMDB è pari a 7.1 sulla base di 498.314 review - molto più in linea con il voto "A" di CinemaScore, e distantissimo dal 43% di RottenTomatoes. Questa discrepanza non può che essere spiegata con l'uso massiccio di bot e attacchi mirati sul più noto (e più "fragile") RottenTomatoes.
giovedì 19 dicembre 2019
Star Wars: Episodio IX - L'ascesa di Skywalker
(Non) finire ciò che si è iniziato
La resistenza è ridotta allo stremo, e il Primo Ordine dilaga sotto il nuovo comando di Kylo Ren. La galassia, tuttavia, viene turbata da una nuova minaccia. Da un suo angolo remoto e oscuro giunge una voce dal passato: è l'imperatore Palpatine, creduto morto, che giura vendetta! Sia Kylo Ren che Rey e quel che rimane della resistenza si mettono quindi sulle tracce del redivivo imperatore, anche se con scopi molto differenti.
Finire una saga non è mai facile: le aspettative sono elevatissime, e il rischio di lasciare i fan insoddisfatti è sempre molto alto. La missione è ancora più difficile se la saga in questione è la più popolare e longeva di sempre, quel Guerre Stellari che ha fatto sognare intere generazioni di spettatori, le cui aspettative hanno finito per stritolare persino il creatore stesso della saga. A questo aggiungiamoci il fatto di dover subentrare in corsa in un progetto che inizialmente avrebbe dovuto dirigere Colin Trevorrow, e il dover dar seguito a quel Gli ultimi Jedi che, se a parere di chi scrive è stato il migliore della nuova trilogia e una necessaria boccata d'aria fresca nella saga, a molti fan non è piaciuto proprio per nulla (ne abbiamo parlato in dettaglio qui).
Non era dunque facile la missione che attendeva J.J. Abrams, che aveva rilanciato con successo la saga firmando il primo capitolo della nuova trilogia, un mix ben riuscito tra la necessità di introdurre i nuovi personaggi (e, con loro, la saga a chi non la conosceva) e rassicurare i fan della prima ora sul fatto che avrebbero ritrovato le atmosfere amate. Chiamato all'impresa improba di cui sopra, Abrams ha risposto alla stessa maniera: rassicurando i fan. Laddove questa scelta aveva perfettamente senso in un primo capitolo che arrivava dopo anni di silenzio, la stessa scelta crea però problemi notevoli in un capitolo conclusivo, che dovrebbe tirare le fila di quanto visto fino a quel momento, senza introdurre troppi elementi nuovi in termini di personaggi e linee narrative. Abrams invece si fa prendere la mano dal fan service che aveva saputo così abilmente maneggiare in precedenza (anche fuori da Guerre Stellari), inserendo una serie di citazioni e ritorni eccellenti che sono soddisfacenti sul momento, ma che male si integrano con la trama del film e con la macrotrama della trilogia.
Questa ansia di compiacere i fan si traduce in un film ipercinetico ma troppo affrettato e frammentato, divertente in superficie ma con poca sostanza, che non lascia un attimo di respiro allo spettatore ma nemmeno ai personaggi e, soprattutto, alla trama, così densa di eventi e rivelazioni. I momenti potenzialmente emotivi vengono smontati poco dopo, e la ripetizione continua degli stessi meccanismi di suspense toglie progressivamente pathos alle successive situazioni dello stesso tipo.
Non aiuta che il fan service includa anche il rigetto ex post di alcune scelte di Johnson, che invece aveva costruito (per quanto a modo suo) sulle fondamenta gettate dallo stesso Abrams. La cosa di per sé non sarebbe un problema, dato che colpi di scena e ribaltamenti di prospettiva sono da sempre al cuore di Guerre Stellari (anche se, a parere di chi scrive, Abrams decide di rigettare una delle intuizioni migliori). Tuttavia, Abrams non dedica abbastanza tempo alla costruzione dei colpi di scena, né lascia agli spettatori il tempo per elaborarle e farle decantare: il risultato è un film che, se può soddisfare nel "cosa succede", lascia molto a desiderare sul "come" vengono costruiti e preparati i vari momenti chiave, con molte scelte che risultano inconsistenti e molto poco giustificate.
La scelta stessa di "resuscitare" Palpatine (già presente nel trailer) sembra appiccicata all'ultimo momento su una trama che sembrava destinata a una direzione diversa, e risulta così solo parzialmente soddisfacente: passato l'ovvio effetto nostalgia, resta pochino, e anzi ci si rende conto di come, per inseguire il ritorno a effetto, si sia di fatto demolito uno dei pilastri mitologici di Guerre Stellari 1 (più riuscito e convincente, invece, il ritorno di Lando, protagonista di alcuni dei momenti migliori del film).
Anche a causa di questa orgia di citazioni, rimandi, e colpi di scena forzati, l'evoluzione dei personaggi subisce una brusca battuta d'arresto, con il solo Kylo Ren a mantenere una parvenza di profondità, anche se il sospetto è che sia più per le doti recitative di Adam Driver (splendida, a livello emotivo, la sua ultima inquadratura) che grazie alla sceneggiatura.
Se Abrams perde un po' le fila della trama, non perde mai il controllo della sua creatura dal punto di vista visivo. Chi ama Guerre Stellari per la ricchezza visiva e inventiva nella creazione di alieni, pianeti, e astronavi non rimarrà deluso: il racconto per immagini è ricco, immaginifico e appagante, soprattutto nelle scene chiave, in cui riesce a regalare quelle emozioni e quei brividi che la trama invece offre solo raramente.
L'ascesa di Skywalker è una conclusione in tono minore della nuova trilogia, più per il percorso che segue che per le tappe che tocca. La fretta e la presenza di molti elementi non funzionali alla vicenda principale fanno sì che l'impatto emotivo sia notevolmente ridotto rispetto a quanto avrebbe potuto essere, e che la spinta innovativa che Episodio VIII aveva saputo creare (nel bene o nel male) venga subito esaurita in un ritorno alle origini e al "classico" che risulta però posticcio.
Rimane quindi un'occasione mancata di chiudere al meglio una trilogia che aveva comunque saputo creare nuovi temi e personaggi senza necessariamente sacrificare quelli del passato, e che anzi aveva saputo fare della tensione tra passato e presente uno dei suoi punti chiave. L'ultimo film chiude l'arco narrativo senza lasciare questioni irrisolte, ma lo fa in una maniera che finisce per deformare la strada seguita finora e tornare goffamente sui suoi passi - una brusca inversione a U che lascia un senso di incompiutezza laddove dovrebbe esserci appagamento.
Sopravvive, tuttavia, la magia di Guerre Stellari, capace di emozionare anche al termine di eventi che a livello razionale non convincono, ma che, grazie alle immagini, alla nostalgia, o alla Forza, riescono comunque in alcuni momenti ad arrivare al cuore.
** 1/2
Pier
1: Non è uno spoiler, dato che Palpatine è già annunciato nel trailer, ma leggete con cautela.
Un amico (grazie, N.G.) mi ha fatto giustamente riflettere su un punto chiave: il fatto che Palpatine sia ancora vivo significa che Anakin non era l'eletto, dato che non lo ha ucciso e dunque non ha riportato l'equilibrio nella Forza. Un cambiamento non da poco, e un tradimento della Saga ben più grave di quelli imputati a Rian Johnson. Strano che nessuno dei fan duri e puri (me compreso, sia chiaro) abbia sollevato tale obiezione già alla visione del trailer.
La resistenza è ridotta allo stremo, e il Primo Ordine dilaga sotto il nuovo comando di Kylo Ren. La galassia, tuttavia, viene turbata da una nuova minaccia. Da un suo angolo remoto e oscuro giunge una voce dal passato: è l'imperatore Palpatine, creduto morto, che giura vendetta! Sia Kylo Ren che Rey e quel che rimane della resistenza si mettono quindi sulle tracce del redivivo imperatore, anche se con scopi molto differenti.
Finire una saga non è mai facile: le aspettative sono elevatissime, e il rischio di lasciare i fan insoddisfatti è sempre molto alto. La missione è ancora più difficile se la saga in questione è la più popolare e longeva di sempre, quel Guerre Stellari che ha fatto sognare intere generazioni di spettatori, le cui aspettative hanno finito per stritolare persino il creatore stesso della saga. A questo aggiungiamoci il fatto di dover subentrare in corsa in un progetto che inizialmente avrebbe dovuto dirigere Colin Trevorrow, e il dover dar seguito a quel Gli ultimi Jedi che, se a parere di chi scrive è stato il migliore della nuova trilogia e una necessaria boccata d'aria fresca nella saga, a molti fan non è piaciuto proprio per nulla (ne abbiamo parlato in dettaglio qui).
Non era dunque facile la missione che attendeva J.J. Abrams, che aveva rilanciato con successo la saga firmando il primo capitolo della nuova trilogia, un mix ben riuscito tra la necessità di introdurre i nuovi personaggi (e, con loro, la saga a chi non la conosceva) e rassicurare i fan della prima ora sul fatto che avrebbero ritrovato le atmosfere amate. Chiamato all'impresa improba di cui sopra, Abrams ha risposto alla stessa maniera: rassicurando i fan. Laddove questa scelta aveva perfettamente senso in un primo capitolo che arrivava dopo anni di silenzio, la stessa scelta crea però problemi notevoli in un capitolo conclusivo, che dovrebbe tirare le fila di quanto visto fino a quel momento, senza introdurre troppi elementi nuovi in termini di personaggi e linee narrative. Abrams invece si fa prendere la mano dal fan service che aveva saputo così abilmente maneggiare in precedenza (anche fuori da Guerre Stellari), inserendo una serie di citazioni e ritorni eccellenti che sono soddisfacenti sul momento, ma che male si integrano con la trama del film e con la macrotrama della trilogia.
Questa ansia di compiacere i fan si traduce in un film ipercinetico ma troppo affrettato e frammentato, divertente in superficie ma con poca sostanza, che non lascia un attimo di respiro allo spettatore ma nemmeno ai personaggi e, soprattutto, alla trama, così densa di eventi e rivelazioni. I momenti potenzialmente emotivi vengono smontati poco dopo, e la ripetizione continua degli stessi meccanismi di suspense toglie progressivamente pathos alle successive situazioni dello stesso tipo.
Non aiuta che il fan service includa anche il rigetto ex post di alcune scelte di Johnson, che invece aveva costruito (per quanto a modo suo) sulle fondamenta gettate dallo stesso Abrams. La cosa di per sé non sarebbe un problema, dato che colpi di scena e ribaltamenti di prospettiva sono da sempre al cuore di Guerre Stellari (anche se, a parere di chi scrive, Abrams decide di rigettare una delle intuizioni migliori). Tuttavia, Abrams non dedica abbastanza tempo alla costruzione dei colpi di scena, né lascia agli spettatori il tempo per elaborarle e farle decantare: il risultato è un film che, se può soddisfare nel "cosa succede", lascia molto a desiderare sul "come" vengono costruiti e preparati i vari momenti chiave, con molte scelte che risultano inconsistenti e molto poco giustificate.
La scelta stessa di "resuscitare" Palpatine (già presente nel trailer) sembra appiccicata all'ultimo momento su una trama che sembrava destinata a una direzione diversa, e risulta così solo parzialmente soddisfacente: passato l'ovvio effetto nostalgia, resta pochino, e anzi ci si rende conto di come, per inseguire il ritorno a effetto, si sia di fatto demolito uno dei pilastri mitologici di Guerre Stellari 1 (più riuscito e convincente, invece, il ritorno di Lando, protagonista di alcuni dei momenti migliori del film).
Anche a causa di questa orgia di citazioni, rimandi, e colpi di scena forzati, l'evoluzione dei personaggi subisce una brusca battuta d'arresto, con il solo Kylo Ren a mantenere una parvenza di profondità, anche se il sospetto è che sia più per le doti recitative di Adam Driver (splendida, a livello emotivo, la sua ultima inquadratura) che grazie alla sceneggiatura.
Se Abrams perde un po' le fila della trama, non perde mai il controllo della sua creatura dal punto di vista visivo. Chi ama Guerre Stellari per la ricchezza visiva e inventiva nella creazione di alieni, pianeti, e astronavi non rimarrà deluso: il racconto per immagini è ricco, immaginifico e appagante, soprattutto nelle scene chiave, in cui riesce a regalare quelle emozioni e quei brividi che la trama invece offre solo raramente.
L'ascesa di Skywalker è una conclusione in tono minore della nuova trilogia, più per il percorso che segue che per le tappe che tocca. La fretta e la presenza di molti elementi non funzionali alla vicenda principale fanno sì che l'impatto emotivo sia notevolmente ridotto rispetto a quanto avrebbe potuto essere, e che la spinta innovativa che Episodio VIII aveva saputo creare (nel bene o nel male) venga subito esaurita in un ritorno alle origini e al "classico" che risulta però posticcio.
Rimane quindi un'occasione mancata di chiudere al meglio una trilogia che aveva comunque saputo creare nuovi temi e personaggi senza necessariamente sacrificare quelli del passato, e che anzi aveva saputo fare della tensione tra passato e presente uno dei suoi punti chiave. L'ultimo film chiude l'arco narrativo senza lasciare questioni irrisolte, ma lo fa in una maniera che finisce per deformare la strada seguita finora e tornare goffamente sui suoi passi - una brusca inversione a U che lascia un senso di incompiutezza laddove dovrebbe esserci appagamento.
Sopravvive, tuttavia, la magia di Guerre Stellari, capace di emozionare anche al termine di eventi che a livello razionale non convincono, ma che, grazie alle immagini, alla nostalgia, o alla Forza, riescono comunque in alcuni momenti ad arrivare al cuore.
** 1/2
Pier
1: Non è uno spoiler, dato che Palpatine è già annunciato nel trailer, ma leggete con cautela.
Un amico (grazie, N.G.) mi ha fatto giustamente riflettere su un punto chiave: il fatto che Palpatine sia ancora vivo significa che Anakin non era l'eletto, dato che non lo ha ucciso e dunque non ha riportato l'equilibrio nella Forza. Un cambiamento non da poco, e un tradimento della Saga ben più grave di quelli imputati a Rian Johnson. Strano che nessuno dei fan duri e puri (me compreso, sia chiaro) abbia sollevato tale obiezione già alla visione del trailer.
mercoledì 20 dicembre 2017
Speciale Star Wars: Episodio VIII - Seconda parte
Nella prima parte di questo speciale su Gli Ultimi Jedi avevamo presentato delle recensioni negative. Oggi ripartiremo da lì per analizzare il film, cercando di tenere conto di tutte le opinioni per capire cosa abbia funzionato e cosa no. Questa volta ci saranno spoiler: se non avete visto il film, non proseguite oltre.
Ora posso rivelarvi un piccolo inganno: le recensioni pubblicate nella prima parte non erano di Episodio VIII, bensì de L’Impero Colpisce Ancora, unanimemente considerato il film migliore della saga di Guerre Stellari.
Proprio così: il gold standard della saga, il film contro cui vengono misurati e pesati (e, spesso, trovati mancanti) tutti i film ambientati nella galassia lontana lontana, ricevette un’accoglienza quantomeno contrastata (potete leggerne sul sito ufficiale di Star Wars).
E quindi, potrà dire qualcuno? Cosa dovrebbe dimostrare questo trucco (non Jedi) di bassa lega?
Che Episodio VIII è al livello di Episodio V? Ovviamente no.
Che critici e fan possono sbagliarsi? Anche, ma non è il punto centrale, semplicemente perché questo è vero di qualunque film e, in generale, opera d’arte.
Che i fan sono dei criticoni e stroncano i film “di pancia”, dando un peso eccessivo a dettagli marginali che vanno contro il loro concetto di cosa deve essere la saga? Assolutamente no. Ho deliberatamente evitato di ripescare commenti del pubblico dell’epoca (che, per inciso, erano dello stesso tenore di quelli dei critici) per evitare questo processo alle intenzioni, sia perché non mi interessa, sia perché ne hanno già scritto ottimamente altri (qui e qui).
Cosa, quindi, volevo dimostrare con questo piccolo inganno?
Un concetto in realtà molto semplice: l’innovazione genera controversie.
In generale, il nostro cervello è impostato per reagire più positivamente a storie ed emozioni familiari, e vedere la novità con una certa diffidenza, quasi come una minaccia. E se questo è vero in generale (qui potete leggere una sintesi - in inglese - di studi scientifici che spiegano questo fenomeno), lo è ancora di più per quanto riguarda i sequel, costretti a misurarsi con l’eredità ingombrante del predecessore. L’Impero Colpisce Ancora fu criticato semplicemente perché cambiò radicalmente struttura narrativa, tono e temi rispetto al primo film della saga, cui i fan si erano già fortemente affezionati nei tre anni intercorsi tra Episodio IV e Episodio V. Era un film innovativo, quasi radicale, e al tempo fu difficile comprendere appieno la portata rivoluzionaria dei suoi cambiamenti. Un contro esempio molto efficace viene dal recente Episodio VII: la reazione iniziale dei fan è stata estremamente positiva (in media) perché Episodio VII era rassicurante. Riprendeva i temi e le atmosfere della trilogia originale, introducendo nuovi personaggi ma calandoli nel panorama e nelle dinamiche della vecchia storia, fino a riprenderla quasi pedissequamente.
Oggi l’opinione sul film è sicuramente meno positiva, anche se a mio parere si tende troppo a concentrarsi sulle innegabili similitudini con Episodio IV come elemento negativo *.
E ora, veniamo a Episodio VIII. Qui iniziano i veri spoiler: se proseguite, lo fate a vostro rischio e pericolo.
Come detto nella nostra recensione, la missione di Rian Johnson era diversa: Gli Ultimi Jedi doveva essere innovativo, senza paura, radicale nelle sue scelte. Esattamente come l’Impero Colpisce Ancora. Il fatto che Episodio VIII sia innovativo non è in discussione: viene riconosciuto sia da chi ha amato il film, sia da chi lo ha odiato. Le critiche di questi ultimi si possono riassumere in larga parte con la frase “questo non è Guerre Stellari”, implicitamente sottolineando come sia un film che va molto lontano dalle loro aspettative. In sintesi, criticano il film per ragioni opposte a quelle per cui alcuni (si vuole sperare non le stesse persone) criticavano episodio VII: laddove quello era accusato di essere una copia carbone, questo viene accusato di essere troppo diverso.
Il punto diventa quindi capire se queste innovazioni abbiano senso o siano fini a se stesse. In altre parole, dobbiamo capire se queste innovazioni concorrano a formare una visione di insieme, o siano slegate e puramente provocatorie. Quello che vorrei fare con questa seconda parte è cercare di capire se le innovazioni proposte da Johnson funzionino / non funzionino ai fini della storia che il regista vuole raccontare e del messaggio che vuole trasmettere. La storia può comunque non piacere, e il messaggio non convincere, ovviamente. Tuttavia, sono convinto che una critica costruttiva e seria passi dall'abbandono delle categorie del “mi piace/non mi piace” per concentrarsi sulla coerenza dei vari elementi del film e sulla qualità della realizzazione.
La visione di Johnson: Abbandonare il passato
Quando cerca di convincerla a unirsi a lui, Kylo Ren dice a Rey queste parole: “Lascia che il passato muoia. Uccidilo, se devi. È l’unico modo per diventare ciò che sei destinata a essere”. Questa non è una battuta, è una dichiarazione di intenti. E, come vedremo, non è l’unica volta in cui Johnson affiderà ai suoi personaggi battute che descrivono al tempo stesso la loro visione del mondo e la sua visione di regista.
Il tema del superamento del passato è il leit motiv del film, in cui dei giovani si trovano a dover fare i conti con una galassia lasciata in frantumi dalla generazione precedente, e cercano in tutti i modi di trovare la propria strada in un mondo in cui non esistono più certezze. Suona familiare? Se sì, è perché questa frase potrebbe essere contenuta in un qualunque rapporto ISTAT sui giovani.
Rian Johnson vuole realizzare un film che parli delle e alle nuove generazioni. Nel farlo, si rende conto che dovrà abbandonare parte dell’enorme bagaglio rappresentato dalla trilogia originale. Per inciso, già JJ Abrams se ne era reso conto in Episodio VII, ma Johnson porta questa idea alle sue estreme conseguenze. Parleremo poi dell’evoluzione dei personaggi storici della saga, ma basti qui dire che è dal loro fallimento personale e “professionale” che ha origine tutta la vicenda narrata. Il Primo Ordine nasce dalla negligenza della Repubblica; Kylo Ren dal fallimento di Han e Leia come genitori e di Luke come maestro. Rey è stata abbandonata dai genitori su un pianeta deserto in cambio di rottami, ed è stata costretta fin da piccola a cavarsela da sola; Finn è stato strappato alla sua famiglia e condizionato a diventare una macchina per uccidere; in una galassia in cui fino a poco tempo prima esisteva la Repubblica, ci sono ancora pianeti in cui i poveri sono in schiavitù e i ricchi traggono profitto dalle guerre in atto, vendendo armi ad ambedue le parti. Dai tempi di Episodio VI nulla sembra essere cambiato in meglio.
Episodio VIII (ma, mi sentirei di dire, la nuova trilogia in generale) racconta la storia di chi, in un modo o nell’altro, vuole ribellarsi a questa situazione, urlare al mondo il suo disappunto per ritrovarsi a vivere in universo in rovina senza esserne minimamente responsabile. Sembra un cambiamento minimo, ma è in realtà radicale, perché sposta la saga dall’essere “la storia degli Skywalker” (per dirla con Kathleen Kennedy; ci torneremo), o comunque dello scontro Jedi-Sith, a essere una storia di giovani che vogliono trovare un loro posto nel mondo ma non hanno gli strumenti né le competenze per farlo, e devono quindi navigare a vista. Le loro imperfezioni, le loro scelte avventate e poco ponderate, che tanto hanno irritato alcuni fan, sono invece la logica conseguenza del loro carattere e dell’epoca in cui si trovano a vivere: un’epoca incerta, in crisi di valori, in cui le antiche certezze non esistono più e i vecchi maestri sono scomparsi o non hanno più la voglia o la capacità di insegnare.
Questa la visione di Johnson per il film. Andiamo ora ad analizzare i tre elementi di maggiore innovazione introdotti da Johnson: innovazione tematica, risultante nel tradimento delle aspettative; innovazione nei personaggi; e innovazione nella struttura narrativa.
Le aspettative tradite: Personaggi e spettatori
Tutti i fan attendevano con trepidazione di sapere cosa avrebbe fatto Luke della spada che gli porgeva Rey. Nessuno, tuttavia, attendeva quella risposta con più trepidazione di Rey. E Luke cosa fa? Butta la spada. Non la rifiuta, non la restituisce: la butta via, con nonchalance, quasi non fosse affar suo, tradendo le speranze di Rey. E continuerà a farlo praticamente fino alla fine del film. Allo stesso modo, tutti si aspettavano di sapere chi fosse Snoke, e come avrebbe completato la trasformazione di Kylo Ren nel nuovo Darth Vader. E invece Snoke cosa fa? Insulta Kylo. Gli dice che non è il nuovo Vader, ma solo “un ragazzino con una maschera”, lontano anni luce dalla potenza del nonno. Ancora una volta, nessun fan può dirsi più deluso e ferito dello stesso Kylo, un ragazzo turbato alla disperata ricerca di un’identità, che finisce per uccidere il suo misterioso quanto ingombrante maestro. Infine, tutti aspettavano con ansia di sapere chi fossero i genitori di Rey, ed ecco invece l’ennesimo schiaffo in faccia, questa volta per mano di Kylo: i genitori di Rei sono dei contrabbandieri, che la hanno venduta (!) in cambio di alcuni rottami. Ancora una volta, la più delusa di tutti è Rey, che scopre (o, meglio, realizza – in cuor suo lo ha sempre saputo, come dice Kylo) di non essere affatto speciale come credeva.
I fan si sono sentiti ingannati, traditi, presi in giro, ma non poteva essere altrimenti, perché le aspettative dei fan erano le stesse dei personaggi. I nuovi protagonisti sono cresciuti nel mito di un passato dorato e di eroi leggendari, e sono stati scaraventati in un mondo che non somiglia per nulla a quel passato, né corrisponde alle loro aspettative. Anche loro, come i fan, credevano di tornare a un mondo fatto di Jedi che da soli fermano intere armate, di pilota di caccia che con voli spericolati sconfiggono interi battaglioni imperiali, e di Sith dalla potenza sovrumana in grado di piegare tutti al proprio volere. Quel mondo è finito, e i personaggi, come i fan, devono fare i conti con quello che percepiscono a tutti gli effetti come un tradimento. “Questa cosa non andrà come pensavi”, dice Luke a Rey, e Rey non lo accetta, non vuole accettarlo, e si ostina per lungo tempo a perseguire il suo piano di riportare Luke a casa e vincere così la guerra, senza (voler) capire che quel tempo è finito e non è destinato a tornare.
L’aspettativa tradita più grande, e quella che ha forse generato il maggiore disappunto, è quella della discendenza di Rey. La delusione è stata talmente grande che molti hanno già ipotizzato che Kylo stia ingannando Rey, e che lei sia in realtà una Skywalker/Kenobi/cugina di quarto grado di Mace Windu. Pur cosciente del fatto che la retcon che soddisfi i fan è sempre dietro l’angolo, mi espongo e dico che ritengo queste teorie alquanto improbabili e, soprattutto, poco desiderabili. In primo luogo, le tanto citate parole di Kathleen Kennedy non sono in contrasto con la presenza di un personaggio “nuovo”, non legato alla famiglia Skywalker, semplicemente perché Kylo Ren/Ben Solo è lui stesso uno Skywalker. E, se i sei film precedenti ci hanno insegnato una cosa, è che lo Skywalker protagonista è un angelo caduto, non un angelo del bene. Il protagonista dei precedenti sei film è Anakin, non Luke: perché qui il vero protagonista non potrebbe essere Ben? In secondo luogo, avere una “nessuno” come protagonista rappresenta una novità perfettamente coerente sia con lo spirito della nuova trilogia, sia con la saga originale (anche Anakin era un “nessuno” quando viene scoperto; e sì, mi ricordo la storia della sua immacolata concezione – roba che al confronto flying Leia sembra un capolavoro – ma voglio far finta di niente). Lo splendido finale degli Ultimi Jedi richiama volutamente il piccolo schiavo liberato di Episodio I, e suggerisce ancora una volta che chiunque può essere un Jedi, in quanto la Forza scorre anche nei “nessuno”, non solo in alcune famiglie.
Anche a voler fare a tutti i costi i cacciatori di indizi, si può notare un dettaglio importante: nel primo trailer di Il risveglio della Forza sentivamo Leia chiedere a Rey “Chi sei?”, sentendosi rispondere “Nessuno.” Quella scena fu poi tagliata dal film: e se fosse stato voluto, per evitare di uccidere fin da subito l’hype sulle origini di Rey? Quando Kylo le rivela la verità, lei in cuor suo già la conosce, esattamente come Leia in cuor suo sa già che Luke è suo fratello quando lo scopre ne Il ritorno dello Jedi.
Una breve nota, infine, sulla mancata rivelazione dell’identità di Snoke: nella trilogia originale non veniamo a sapere nulla dell’Imperatore. Tutto ciò che sappiamo su di lui viene dai sequel, e non ho mai sentito nessuno lamentarsi per questo. La biografia di Snoke – che non escludo scopriremo nel prossimo film, magari tramite dei flashback di Kylo – era davvero così importante ai fini della storia? Mi sentirei di dire di no.
Caratterizzazione ed evoluzione dei personaggi
Una delle critiche più lette e diffuse è legata ai personaggi. Da una parte si accusa Johnson di aver stravolto i personaggi originali, in particolare Luke; dall’altro si sottolinea l’assenza di un arco narrativo per molti dei nuovi personaggi.
Partiamo dai personaggi storici: come detto, i protagonisti più amati sono diventati degli adulti fallimentari. Ripetete con me: fallimentari. Han e Leia non sono stati capaci di costruire una relazione stabile, e hanno finito per separarsi, vittime del proprio orgoglio e della propria testardaggine; come genitori, non hanno saputo dare affetto e attenzione a Kylo Ren, lasciandolo in balia delle tentazioni di Snoke (in una dinamica che riprende il lento corteggiamento di Palpatine ad Anakin). Luke ha fallito come maestro, prima non riconoscendo il potenziale distruttivo del nipote, e poi pensando di assassinarlo nel sonno, tradendo la sua fiducia. Kylo Ren è un prodotto del loro fallimento, la conseguenza delle loro azioni.
Non è quindi sorprendente trovare un Luke completamente cambiato, diversissimo dal giovane ottimista che aveva redento suo padre Anakin. Luke ha fallito, e non ha saputo affrontare il proprio fallimento. Si è ritirato in se stesso, chiudendosi alla Forza e agli amici proprio quando questi avevano bisogno di lui. Luke non è Yoda, ritiratosi su Dagobah per mantenere viva la cultura degli Jedi: è colui che vuole celebrare il funerale di quella religione che tanta sofferenza ha portato a lui e alla sua famiglia. Il suo cambiamento non solo è giustificato, ma è fondamentale: solo dall’accettazione del fallimento (suo e della famiglia Skywalker) Luke può trovare il modo di rendersi utile. E proprio nel duello finale, nel momento supremo, riemerge il giovane sognatore e romantico che avevano conosciuto nella prima trilogia. Luke affronta Kylo Ren nello stesso modo in cui aveva affrontato suo padre: rifiutandosi di combattere davvero. Anche se non ha speranze di redimere il nipote come aveva fatto con Anakin, non trova comunque in se stesso la forza di ucciderlo, perché sa che comunque sarebbe sbagliato, e che dove lui ha fallito altri potrebbero riuscire. Si sacrifica per la causa, rinverdendo la leggenda degli Jedi ma soprattutto quella della ribellione con uno sforzo immenso, prima di fondersi con la Forza di fronte a un doppio tramonto come quello che c’era quando lo avevamo conosciuto. Una scena di forte commozione, e un doveroso tributo a un eroe imperfetto, come suo padre, ma capace di accettare e superare questa imperfezione, come suo padre.
Leia è forse l’unico punto fermo del film, anche se viene finalmente data attuazione a quel potenziale nascosto che ci era stato suggerito fin da episodio V. Peccato che la scena in cui la vediamo usare la Forza sia visivamente orribile, con Leia che fluttua nello spazio in una posa che è un mix tra quella di Superman e quella di Mary Poppins. Una scena che rappresenta oggettivamente uno dei momenti più bassi della saga, che fornisce ai detrattori un sacrosanto motivo di critica, e che stupisce ancora di più in un film visivamente così curato come Episodio VIII (la stanza del trono di Snoke, la scena con la nave ribelle che si schianta sullo star destroyer a velocità luce e quelle sul pianeta di sale sono un’estasi visiva, e hanno infatti riscosso consensi unanimi).
Riguardo ai nuovi eroi, quasi nessuno si sogna di criticare ancora Kylo Ren, un giovane irascibile, instabile, complessato, perennemente alla ricerca di se stesso e di un posto nel mondo. Kylo cambia di continuo, è un mare in tempesta, incapace di mantenersi stabile anche se lo volesse. Chi nel primo film lo aveva deriso per le sue crisi isteriche ha dovuto ricredersi: gli scoppi d’ira sono parte integrante di questo personaggio complesso e meravigliosamente sfaccettato, che la splendida prova di Adam Driver arricchisce di ulteriore profondità.
Rey sembra invece immobile, quasi statica in questo film. A un’analisi più approfondita, tuttavia, si rivela un’evoluzione ben delineata, forse poco appariscente ma coerente sia con il tema portante del film, sia con l’evoluzione del suo maestro nella trilogia originale. Rey arriva sull’isola dove si è ritirato Luke colma di speranza. Pensa di poter salvare la ribellione portando a casa Luke e che lui sconfiggerà da solo il Primo Ordine. Non si chiede nemmeno per un momento perché Luke si sia ritirato lì. Quando lo scopre, entra in una fase di rifiuto. Luke è l’eroe, Luke li salverà tutti. È lo stesso Luke a sbatterle in faccia la verità, quando le urla: “E cosa pensi che faccia? Che torni e sconfigga il Primo Ordine da solo?” Solo allora Rey si rende conto di quanto fosse naif il suo piano. Le sue certezze inscalfibili crollano, e si rivolge istintivamente all’altro ragazzo privo di certezze che conosce: Kylo, il nemico, l’uomo dall’energia instabile, la cui spada laser grezza è forse il miglior simbolo di ciò che vuole diventare la nuova trilogia. Attraverso l’interazione con Kylo, Rey cambia completamente, o meglio, accetta la realtà: non sarà Luke a salvare la galassia. Nessun deus ex machina, questa volta, nessuno scontro decisivo tra Bene e Male: la battaglia si combatte nelle zone di grigio, ed è in ciò per cui si combatte (come dice la morente Rose a Finn) che si trova la differenza tra buoni e cattivi. Può sembrare un cambiamento minore, ma non lo è: Rey segue un percorso simile a quello di Luke nell’Episodio V, dove al suo sogno romantico di sconfiggere il nemico in un epico duello si sostituisce l’amara accettazione della sua identità e del suo passato.
Struttura narrativa: What happens in Vegas & ironia spicciola
E veniamo al punto forse oggettivamente più debole del film, ovvero la “gita” di Finn e Rose sul pianeta casinò. Le critiche che accompagnano questa parentesi narrativa sono giustificate se prese singolarmente, ma considerate nel loro insieme risultano meno convincenti.
Questo spezzone non fa avanzare significativamente la trama e, anzi, la rallenta. A livello visivo sembra quasi un omaggio all’estetica della seconda trilogia, che per il resto sembra essere stata del tutto rimossa da questi due nuovi episodi. Finn sembra intrappolato in questa missione impossibile e, di fatto, sembra non avere nulla da fare. Tutto il pezzo con i ragazzini e i dialoghi con il DJ di Del Toro sembrano puramente un espediente narrativo, un’innovazione stilistica e visiva (mai si erano mischiate le atmosfere dei primi film con lo stile da belle époque della seconda trilogia) che però ha poco da aggiungere al tema portante della storia.
Tutte queste sono critiche oggettivamente valide, ed è indubbio che Johnson abbia perso almeno parzialmente il controllo della sua creatura in questa parte del film, dilungandosi più del necessario. Questa è la parte che mi è piaciuta di meno del film.
Tuttavia, un bell’articolo pubblicato su The Atlantic mi ha fatto notare dei dettagli che non avevo considerato con la dovuta attenzione: Finn è un personaggio che ha sempre pensato prima di tutto a se stesso e a Rey. Entra a far parte di questa missione quasi per caso, e quando ne torna è cambiato, al punto di essere pronto a immolarsi per salvare quel poco che rimane della Resistenza durante la battaglia sul pianeta di sale. Questo cambiamento è dovuto alla sua interazione con Rose, ma soprattutto a ciò che vede sul pianeta casinò: la schiavitù, le vittime collaterali di una guerra di cui finora Finn ha conosciuto solo il palcoscenico e gli attori principali. Durante la sua missione vede le comparse, coloro che non rimarranno sui libri di storia, ma sono vittime delle guerre fatte da persone che nemmeno conoscono, grazie alle quali si arricchiscono personaggi senza scrupoli che vendono armi all’una e all’altra parte. Il dialogo con DJ assume così un’altra connotazione, che rafforza ulteriormente uno dei messaggi principali del film (è finito il tempo in cui Bene e Male sono chiaramente distinti) e soprattutto il bellissimo, per quanto retorico, messaggio con cui Rose dice addio a Finn.
Un altro elemento che ha scatenato i detrattori del film è l’uso giudicato eccessivo di battute fuori luogo. Il primo punto non è senza fondamento: alcune battute vengono inserite nei momenti topici della trama, in cui la risata sembra del tutto fuori luogo. Tuttavia, varrebbe la pena ricordare che questi momenti erano presenti anche nella saga originale, e avevano spesso per protagonista C3PO, che si lanciava in improbabili siparietti anche nelle scene più drammatiche. Un esempio? Ironicamente, si trova proprio nella prima scena di Una nuova speranza. Una scena, questa, dall’alto contenuto drammatico (arricchito ancora di più dagli eventi di Rogue One): la nave della Principessa Leia è appena stata abbordata, la principessa è stata catturata da Darth Vader. Ecco, in uno dei momenti più iconici della Saga, proprio a inizio film, C3PO ha questo dialogo con R2D2.
Non proprio il massimo in termini di “rovinare l’atmosfera”, ecco.
Questo per dire che l’ironia fuori luogo è sempre stata una delle cifre di Guerre Stellari, e non poteva che esserlo ancora di più in un episodio la cui cifra è esattamente quella di demitizzare le leggende e rendere il tutto meno “serio” ed epico, ma al tempo stesso terribilmente più reale.
Conclusione
Nel complesso, un’analisi approfondita delle innovazioni e delle scelte fatte da Johnson rivela una forte coerenza di fondo, una linea narrativa e tematica forte da cui discendono tutte gli altri elementi del film.
Questo vuol dire che il film sia un capolavoro? Ovviamente no. Significa semplicemente che è un film concepito e realizzato con una forte visione di insieme, e non l’accozzaglia di cose senza senso di cui hanno parlato alcuni. La storia può non piacere, le scelte possono essere ritenute poco convincenti: queste sono decisioni che stanno al gusto di ognuno.
Tuttavia, dopo un’attenta analisi è innegabile che dietro a Gli Ultimi Jedi c’è un’idea di regia forte e innovativa e che il film, nonostante qualche inciampo, riesce a comunicare in modo chiaro ciò che il regista aveva in mente e soprattutto a raggiungere lo scopo che si era prefisso: perpetuare il mito della galassia lontana lontana ma, al tempo stesso, percorrere strade nuove e inesplorate. Se il film avrà il destino de L’Impero Colpisce Ancora o subirà la damnatio memoriae di Una Minaccia Fantasma solo il tempo potrà dircelo.
Pier
*: Dico troppo sia perché ci sono altre similitudini evidenti che non vengono sottolineate (l’orfana con la forza sul pianeta deserto, di cui ci viene suggerita una discendenza importante; un essere malvagio e deforme con un apprendista incline alla rabbia), forse perché parte di ciò che vogliamo assolutamente vedere in un Guerre Stellari; sia perché si dimentica che la missione di JJ Abrams era esattamente quella di riaccogliere i fan nel mondo della saga, rassicurandoli che la seconda trilogia era stata solo un brutto sogno e regalando loro le vecchie e indimenticate emozioni; e questo Abrams lo ha fatto innegabilmente bene. Sia, infine, perché Abrams ha gettato le basi per la rivoluzione che vediamo in questo capitolo, come spiegato nell'articolo.
Ora posso rivelarvi un piccolo inganno: le recensioni pubblicate nella prima parte non erano di Episodio VIII, bensì de L’Impero Colpisce Ancora, unanimemente considerato il film migliore della saga di Guerre Stellari.
![]() |
Era una trappola! |
E quindi, potrà dire qualcuno? Cosa dovrebbe dimostrare questo trucco (non Jedi) di bassa lega?
Che Episodio VIII è al livello di Episodio V? Ovviamente no.
Che critici e fan possono sbagliarsi? Anche, ma non è il punto centrale, semplicemente perché questo è vero di qualunque film e, in generale, opera d’arte.
Che i fan sono dei criticoni e stroncano i film “di pancia”, dando un peso eccessivo a dettagli marginali che vanno contro il loro concetto di cosa deve essere la saga? Assolutamente no. Ho deliberatamente evitato di ripescare commenti del pubblico dell’epoca (che, per inciso, erano dello stesso tenore di quelli dei critici) per evitare questo processo alle intenzioni, sia perché non mi interessa, sia perché ne hanno già scritto ottimamente altri (qui e qui).
Cosa, quindi, volevo dimostrare con questo piccolo inganno?
Un concetto in realtà molto semplice: l’innovazione genera controversie.
In generale, il nostro cervello è impostato per reagire più positivamente a storie ed emozioni familiari, e vedere la novità con una certa diffidenza, quasi come una minaccia. E se questo è vero in generale (qui potete leggere una sintesi - in inglese - di studi scientifici che spiegano questo fenomeno), lo è ancora di più per quanto riguarda i sequel, costretti a misurarsi con l’eredità ingombrante del predecessore. L’Impero Colpisce Ancora fu criticato semplicemente perché cambiò radicalmente struttura narrativa, tono e temi rispetto al primo film della saga, cui i fan si erano già fortemente affezionati nei tre anni intercorsi tra Episodio IV e Episodio V. Era un film innovativo, quasi radicale, e al tempo fu difficile comprendere appieno la portata rivoluzionaria dei suoi cambiamenti. Un contro esempio molto efficace viene dal recente Episodio VII: la reazione iniziale dei fan è stata estremamente positiva (in media) perché Episodio VII era rassicurante. Riprendeva i temi e le atmosfere della trilogia originale, introducendo nuovi personaggi ma calandoli nel panorama e nelle dinamiche della vecchia storia, fino a riprenderla quasi pedissequamente.
Oggi l’opinione sul film è sicuramente meno positiva, anche se a mio parere si tende troppo a concentrarsi sulle innegabili similitudini con Episodio IV come elemento negativo *.
E ora, veniamo a Episodio VIII. Qui iniziano i veri spoiler: se proseguite, lo fate a vostro rischio e pericolo.
Come detto nella nostra recensione, la missione di Rian Johnson era diversa: Gli Ultimi Jedi doveva essere innovativo, senza paura, radicale nelle sue scelte. Esattamente come l’Impero Colpisce Ancora. Il fatto che Episodio VIII sia innovativo non è in discussione: viene riconosciuto sia da chi ha amato il film, sia da chi lo ha odiato. Le critiche di questi ultimi si possono riassumere in larga parte con la frase “questo non è Guerre Stellari”, implicitamente sottolineando come sia un film che va molto lontano dalle loro aspettative. In sintesi, criticano il film per ragioni opposte a quelle per cui alcuni (si vuole sperare non le stesse persone) criticavano episodio VII: laddove quello era accusato di essere una copia carbone, questo viene accusato di essere troppo diverso.
Il punto diventa quindi capire se queste innovazioni abbiano senso o siano fini a se stesse. In altre parole, dobbiamo capire se queste innovazioni concorrano a formare una visione di insieme, o siano slegate e puramente provocatorie. Quello che vorrei fare con questa seconda parte è cercare di capire se le innovazioni proposte da Johnson funzionino / non funzionino ai fini della storia che il regista vuole raccontare e del messaggio che vuole trasmettere. La storia può comunque non piacere, e il messaggio non convincere, ovviamente. Tuttavia, sono convinto che una critica costruttiva e seria passi dall'abbandono delle categorie del “mi piace/non mi piace” per concentrarsi sulla coerenza dei vari elementi del film e sulla qualità della realizzazione.
La visione di Johnson: Abbandonare il passato
Quando cerca di convincerla a unirsi a lui, Kylo Ren dice a Rey queste parole: “Lascia che il passato muoia. Uccidilo, se devi. È l’unico modo per diventare ciò che sei destinata a essere”. Questa non è una battuta, è una dichiarazione di intenti. E, come vedremo, non è l’unica volta in cui Johnson affiderà ai suoi personaggi battute che descrivono al tempo stesso la loro visione del mondo e la sua visione di regista.
Il tema del superamento del passato è il leit motiv del film, in cui dei giovani si trovano a dover fare i conti con una galassia lasciata in frantumi dalla generazione precedente, e cercano in tutti i modi di trovare la propria strada in un mondo in cui non esistono più certezze. Suona familiare? Se sì, è perché questa frase potrebbe essere contenuta in un qualunque rapporto ISTAT sui giovani.
Rian Johnson vuole realizzare un film che parli delle e alle nuove generazioni. Nel farlo, si rende conto che dovrà abbandonare parte dell’enorme bagaglio rappresentato dalla trilogia originale. Per inciso, già JJ Abrams se ne era reso conto in Episodio VII, ma Johnson porta questa idea alle sue estreme conseguenze. Parleremo poi dell’evoluzione dei personaggi storici della saga, ma basti qui dire che è dal loro fallimento personale e “professionale” che ha origine tutta la vicenda narrata. Il Primo Ordine nasce dalla negligenza della Repubblica; Kylo Ren dal fallimento di Han e Leia come genitori e di Luke come maestro. Rey è stata abbandonata dai genitori su un pianeta deserto in cambio di rottami, ed è stata costretta fin da piccola a cavarsela da sola; Finn è stato strappato alla sua famiglia e condizionato a diventare una macchina per uccidere; in una galassia in cui fino a poco tempo prima esisteva la Repubblica, ci sono ancora pianeti in cui i poveri sono in schiavitù e i ricchi traggono profitto dalle guerre in atto, vendendo armi ad ambedue le parti. Dai tempi di Episodio VI nulla sembra essere cambiato in meglio.
Episodio VIII (ma, mi sentirei di dire, la nuova trilogia in generale) racconta la storia di chi, in un modo o nell’altro, vuole ribellarsi a questa situazione, urlare al mondo il suo disappunto per ritrovarsi a vivere in universo in rovina senza esserne minimamente responsabile. Sembra un cambiamento minimo, ma è in realtà radicale, perché sposta la saga dall’essere “la storia degli Skywalker” (per dirla con Kathleen Kennedy; ci torneremo), o comunque dello scontro Jedi-Sith, a essere una storia di giovani che vogliono trovare un loro posto nel mondo ma non hanno gli strumenti né le competenze per farlo, e devono quindi navigare a vista. Le loro imperfezioni, le loro scelte avventate e poco ponderate, che tanto hanno irritato alcuni fan, sono invece la logica conseguenza del loro carattere e dell’epoca in cui si trovano a vivere: un’epoca incerta, in crisi di valori, in cui le antiche certezze non esistono più e i vecchi maestri sono scomparsi o non hanno più la voglia o la capacità di insegnare.
Questa la visione di Johnson per il film. Andiamo ora ad analizzare i tre elementi di maggiore innovazione introdotti da Johnson: innovazione tematica, risultante nel tradimento delle aspettative; innovazione nei personaggi; e innovazione nella struttura narrativa.
![]() |
Aspettative tradite, olio su pellicola |
Tutti i fan attendevano con trepidazione di sapere cosa avrebbe fatto Luke della spada che gli porgeva Rey. Nessuno, tuttavia, attendeva quella risposta con più trepidazione di Rey. E Luke cosa fa? Butta la spada. Non la rifiuta, non la restituisce: la butta via, con nonchalance, quasi non fosse affar suo, tradendo le speranze di Rey. E continuerà a farlo praticamente fino alla fine del film. Allo stesso modo, tutti si aspettavano di sapere chi fosse Snoke, e come avrebbe completato la trasformazione di Kylo Ren nel nuovo Darth Vader. E invece Snoke cosa fa? Insulta Kylo. Gli dice che non è il nuovo Vader, ma solo “un ragazzino con una maschera”, lontano anni luce dalla potenza del nonno. Ancora una volta, nessun fan può dirsi più deluso e ferito dello stesso Kylo, un ragazzo turbato alla disperata ricerca di un’identità, che finisce per uccidere il suo misterioso quanto ingombrante maestro. Infine, tutti aspettavano con ansia di sapere chi fossero i genitori di Rey, ed ecco invece l’ennesimo schiaffo in faccia, questa volta per mano di Kylo: i genitori di Rei sono dei contrabbandieri, che la hanno venduta (!) in cambio di alcuni rottami. Ancora una volta, la più delusa di tutti è Rey, che scopre (o, meglio, realizza – in cuor suo lo ha sempre saputo, come dice Kylo) di non essere affatto speciale come credeva.
I fan si sono sentiti ingannati, traditi, presi in giro, ma non poteva essere altrimenti, perché le aspettative dei fan erano le stesse dei personaggi. I nuovi protagonisti sono cresciuti nel mito di un passato dorato e di eroi leggendari, e sono stati scaraventati in un mondo che non somiglia per nulla a quel passato, né corrisponde alle loro aspettative. Anche loro, come i fan, credevano di tornare a un mondo fatto di Jedi che da soli fermano intere armate, di pilota di caccia che con voli spericolati sconfiggono interi battaglioni imperiali, e di Sith dalla potenza sovrumana in grado di piegare tutti al proprio volere. Quel mondo è finito, e i personaggi, come i fan, devono fare i conti con quello che percepiscono a tutti gli effetti come un tradimento. “Questa cosa non andrà come pensavi”, dice Luke a Rey, e Rey non lo accetta, non vuole accettarlo, e si ostina per lungo tempo a perseguire il suo piano di riportare Luke a casa e vincere così la guerra, senza (voler) capire che quel tempo è finito e non è destinato a tornare.
L’aspettativa tradita più grande, e quella che ha forse generato il maggiore disappunto, è quella della discendenza di Rey. La delusione è stata talmente grande che molti hanno già ipotizzato che Kylo stia ingannando Rey, e che lei sia in realtà una Skywalker/Kenobi/cugina di quarto grado di Mace Windu. Pur cosciente del fatto che la retcon che soddisfi i fan è sempre dietro l’angolo, mi espongo e dico che ritengo queste teorie alquanto improbabili e, soprattutto, poco desiderabili. In primo luogo, le tanto citate parole di Kathleen Kennedy non sono in contrasto con la presenza di un personaggio “nuovo”, non legato alla famiglia Skywalker, semplicemente perché Kylo Ren/Ben Solo è lui stesso uno Skywalker. E, se i sei film precedenti ci hanno insegnato una cosa, è che lo Skywalker protagonista è un angelo caduto, non un angelo del bene. Il protagonista dei precedenti sei film è Anakin, non Luke: perché qui il vero protagonista non potrebbe essere Ben? In secondo luogo, avere una “nessuno” come protagonista rappresenta una novità perfettamente coerente sia con lo spirito della nuova trilogia, sia con la saga originale (anche Anakin era un “nessuno” quando viene scoperto; e sì, mi ricordo la storia della sua immacolata concezione – roba che al confronto flying Leia sembra un capolavoro – ma voglio far finta di niente). Lo splendido finale degli Ultimi Jedi richiama volutamente il piccolo schiavo liberato di Episodio I, e suggerisce ancora una volta che chiunque può essere un Jedi, in quanto la Forza scorre anche nei “nessuno”, non solo in alcune famiglie.
Anche a voler fare a tutti i costi i cacciatori di indizi, si può notare un dettaglio importante: nel primo trailer di Il risveglio della Forza sentivamo Leia chiedere a Rey “Chi sei?”, sentendosi rispondere “Nessuno.” Quella scena fu poi tagliata dal film: e se fosse stato voluto, per evitare di uccidere fin da subito l’hype sulle origini di Rey? Quando Kylo le rivela la verità, lei in cuor suo già la conosce, esattamente come Leia in cuor suo sa già che Luke è suo fratello quando lo scopre ne Il ritorno dello Jedi.
Una breve nota, infine, sulla mancata rivelazione dell’identità di Snoke: nella trilogia originale non veniamo a sapere nulla dell’Imperatore. Tutto ciò che sappiamo su di lui viene dai sequel, e non ho mai sentito nessuno lamentarsi per questo. La biografia di Snoke – che non escludo scopriremo nel prossimo film, magari tramite dei flashback di Kylo – era davvero così importante ai fini della storia? Mi sentirei di dire di no.
![]() |
Niente foto, grazie. Ci tengo alla privacy |
Una delle critiche più lette e diffuse è legata ai personaggi. Da una parte si accusa Johnson di aver stravolto i personaggi originali, in particolare Luke; dall’altro si sottolinea l’assenza di un arco narrativo per molti dei nuovi personaggi.
Partiamo dai personaggi storici: come detto, i protagonisti più amati sono diventati degli adulti fallimentari. Ripetete con me: fallimentari. Han e Leia non sono stati capaci di costruire una relazione stabile, e hanno finito per separarsi, vittime del proprio orgoglio e della propria testardaggine; come genitori, non hanno saputo dare affetto e attenzione a Kylo Ren, lasciandolo in balia delle tentazioni di Snoke (in una dinamica che riprende il lento corteggiamento di Palpatine ad Anakin). Luke ha fallito come maestro, prima non riconoscendo il potenziale distruttivo del nipote, e poi pensando di assassinarlo nel sonno, tradendo la sua fiducia. Kylo Ren è un prodotto del loro fallimento, la conseguenza delle loro azioni.
Non è quindi sorprendente trovare un Luke completamente cambiato, diversissimo dal giovane ottimista che aveva redento suo padre Anakin. Luke ha fallito, e non ha saputo affrontare il proprio fallimento. Si è ritirato in se stesso, chiudendosi alla Forza e agli amici proprio quando questi avevano bisogno di lui. Luke non è Yoda, ritiratosi su Dagobah per mantenere viva la cultura degli Jedi: è colui che vuole celebrare il funerale di quella religione che tanta sofferenza ha portato a lui e alla sua famiglia. Il suo cambiamento non solo è giustificato, ma è fondamentale: solo dall’accettazione del fallimento (suo e della famiglia Skywalker) Luke può trovare il modo di rendersi utile. E proprio nel duello finale, nel momento supremo, riemerge il giovane sognatore e romantico che avevano conosciuto nella prima trilogia. Luke affronta Kylo Ren nello stesso modo in cui aveva affrontato suo padre: rifiutandosi di combattere davvero. Anche se non ha speranze di redimere il nipote come aveva fatto con Anakin, non trova comunque in se stesso la forza di ucciderlo, perché sa che comunque sarebbe sbagliato, e che dove lui ha fallito altri potrebbero riuscire. Si sacrifica per la causa, rinverdendo la leggenda degli Jedi ma soprattutto quella della ribellione con uno sforzo immenso, prima di fondersi con la Forza di fronte a un doppio tramonto come quello che c’era quando lo avevamo conosciuto. Una scena di forte commozione, e un doveroso tributo a un eroe imperfetto, come suo padre, ma capace di accettare e superare questa imperfezione, come suo padre.
![]() |
Carisma a palate |
![]() |
Come puoi avere quella cafonata di Leia volante in un film in cui hai realizzato questa bomba visiva? |
Rey sembra invece immobile, quasi statica in questo film. A un’analisi più approfondita, tuttavia, si rivela un’evoluzione ben delineata, forse poco appariscente ma coerente sia con il tema portante del film, sia con l’evoluzione del suo maestro nella trilogia originale. Rey arriva sull’isola dove si è ritirato Luke colma di speranza. Pensa di poter salvare la ribellione portando a casa Luke e che lui sconfiggerà da solo il Primo Ordine. Non si chiede nemmeno per un momento perché Luke si sia ritirato lì. Quando lo scopre, entra in una fase di rifiuto. Luke è l’eroe, Luke li salverà tutti. È lo stesso Luke a sbatterle in faccia la verità, quando le urla: “E cosa pensi che faccia? Che torni e sconfigga il Primo Ordine da solo?” Solo allora Rey si rende conto di quanto fosse naif il suo piano. Le sue certezze inscalfibili crollano, e si rivolge istintivamente all’altro ragazzo privo di certezze che conosce: Kylo, il nemico, l’uomo dall’energia instabile, la cui spada laser grezza è forse il miglior simbolo di ciò che vuole diventare la nuova trilogia. Attraverso l’interazione con Kylo, Rey cambia completamente, o meglio, accetta la realtà: non sarà Luke a salvare la galassia. Nessun deus ex machina, questa volta, nessuno scontro decisivo tra Bene e Male: la battaglia si combatte nelle zone di grigio, ed è in ciò per cui si combatte (come dice la morente Rose a Finn) che si trova la differenza tra buoni e cattivi. Può sembrare un cambiamento minore, ma non lo è: Rey segue un percorso simile a quello di Luke nell’Episodio V, dove al suo sogno romantico di sconfiggere il nemico in un epico duello si sostituisce l’amara accettazione della sua identità e del suo passato.
Struttura narrativa: What happens in Vegas & ironia spicciola
E veniamo al punto forse oggettivamente più debole del film, ovvero la “gita” di Finn e Rose sul pianeta casinò. Le critiche che accompagnano questa parentesi narrativa sono giustificate se prese singolarmente, ma considerate nel loro insieme risultano meno convincenti.
Questo spezzone non fa avanzare significativamente la trama e, anzi, la rallenta. A livello visivo sembra quasi un omaggio all’estetica della seconda trilogia, che per il resto sembra essere stata del tutto rimossa da questi due nuovi episodi. Finn sembra intrappolato in questa missione impossibile e, di fatto, sembra non avere nulla da fare. Tutto il pezzo con i ragazzini e i dialoghi con il DJ di Del Toro sembrano puramente un espediente narrativo, un’innovazione stilistica e visiva (mai si erano mischiate le atmosfere dei primi film con lo stile da belle époque della seconda trilogia) che però ha poco da aggiungere al tema portante della storia.
![]() |
Che poi, parliamone, della bellezza di queste immagini |
Tuttavia, un bell’articolo pubblicato su The Atlantic mi ha fatto notare dei dettagli che non avevo considerato con la dovuta attenzione: Finn è un personaggio che ha sempre pensato prima di tutto a se stesso e a Rey. Entra a far parte di questa missione quasi per caso, e quando ne torna è cambiato, al punto di essere pronto a immolarsi per salvare quel poco che rimane della Resistenza durante la battaglia sul pianeta di sale. Questo cambiamento è dovuto alla sua interazione con Rose, ma soprattutto a ciò che vede sul pianeta casinò: la schiavitù, le vittime collaterali di una guerra di cui finora Finn ha conosciuto solo il palcoscenico e gli attori principali. Durante la sua missione vede le comparse, coloro che non rimarranno sui libri di storia, ma sono vittime delle guerre fatte da persone che nemmeno conoscono, grazie alle quali si arricchiscono personaggi senza scrupoli che vendono armi all’una e all’altra parte. Il dialogo con DJ assume così un’altra connotazione, che rafforza ulteriormente uno dei messaggi principali del film (è finito il tempo in cui Bene e Male sono chiaramente distinti) e soprattutto il bellissimo, per quanto retorico, messaggio con cui Rose dice addio a Finn.
Un altro elemento che ha scatenato i detrattori del film è l’uso giudicato eccessivo di battute fuori luogo. Il primo punto non è senza fondamento: alcune battute vengono inserite nei momenti topici della trama, in cui la risata sembra del tutto fuori luogo. Tuttavia, varrebbe la pena ricordare che questi momenti erano presenti anche nella saga originale, e avevano spesso per protagonista C3PO, che si lanciava in improbabili siparietti anche nelle scene più drammatiche. Un esempio? Ironicamente, si trova proprio nella prima scena di Una nuova speranza. Una scena, questa, dall’alto contenuto drammatico (arricchito ancora di più dagli eventi di Rogue One): la nave della Principessa Leia è appena stata abbordata, la principessa è stata catturata da Darth Vader. Ecco, in uno dei momenti più iconici della Saga, proprio a inizio film, C3PO ha questo dialogo con R2D2.
Non proprio il massimo in termini di “rovinare l’atmosfera”, ecco.
Questo per dire che l’ironia fuori luogo è sempre stata una delle cifre di Guerre Stellari, e non poteva che esserlo ancora di più in un episodio la cui cifra è esattamente quella di demitizzare le leggende e rendere il tutto meno “serio” ed epico, ma al tempo stesso terribilmente più reale.
Conclusione
Nel complesso, un’analisi approfondita delle innovazioni e delle scelte fatte da Johnson rivela una forte coerenza di fondo, una linea narrativa e tematica forte da cui discendono tutte gli altri elementi del film.
Questo vuol dire che il film sia un capolavoro? Ovviamente no. Significa semplicemente che è un film concepito e realizzato con una forte visione di insieme, e non l’accozzaglia di cose senza senso di cui hanno parlato alcuni. La storia può non piacere, le scelte possono essere ritenute poco convincenti: queste sono decisioni che stanno al gusto di ognuno.
Tuttavia, dopo un’attenta analisi è innegabile che dietro a Gli Ultimi Jedi c’è un’idea di regia forte e innovativa e che il film, nonostante qualche inciampo, riesce a comunicare in modo chiaro ciò che il regista aveva in mente e soprattutto a raggiungere lo scopo che si era prefisso: perpetuare il mito della galassia lontana lontana ma, al tempo stesso, percorrere strade nuove e inesplorate. Se il film avrà il destino de L’Impero Colpisce Ancora o subirà la damnatio memoriae di Una Minaccia Fantasma solo il tempo potrà dircelo.
Pier
*: Dico troppo sia perché ci sono altre similitudini evidenti che non vengono sottolineate (l’orfana con la forza sul pianeta deserto, di cui ci viene suggerita una discendenza importante; un essere malvagio e deforme con un apprendista incline alla rabbia), forse perché parte di ciò che vogliamo assolutamente vedere in un Guerre Stellari; sia perché si dimentica che la missione di JJ Abrams era esattamente quella di riaccogliere i fan nel mondo della saga, rassicurandoli che la seconda trilogia era stata solo un brutto sogno e regalando loro le vecchie e indimenticate emozioni; e questo Abrams lo ha fatto innegabilmente bene. Sia, infine, perché Abrams ha gettato le basi per la rivoluzione che vediamo in questo capitolo, come spiegato nell'articolo.
lunedì 18 dicembre 2017
Speciale Star Wars: Episodio VIII - Prima parte
Nella nostra recensione avevamo lodato l'ottavo episodio della saga di Guerre Stellari per la sua capacità di innovare la saga in modo radicale, senza però tradirne lo spirito.
Tuttavia, il film sta dividendo pubblico e critica come pochi altri prima d'ora. Abbiamo quindi deciso di dedicare uno speciale in due parti all'analisi del film, al fine di cercare di capire quali siano le novità introdotte, quali siano quelle azzeccate e quelle fuori posto, e soprattutto quali siano i punti e gli elementi che stanno facendo più discutere, e perché.
In questa prima parte non ci saranno spoiler, e mi limiterò a esporre alcuni stralci da recensioni fatte dalle maggiori testate statunitensi, tradotte dal sottoscritto. Nella seconda parte riprenderò questi spezzoni per analizzare il film più nel dettaglio, esponendo le ragioni delle due parti e cercando di capire
Gli stralci presentati qui sotto non vengono solo da recensioni negative nel loro complesso, ma sottolineano gli aspetti ritenuti poco convincenti.
Hollywood Reporter
Sfortunatamente, questa scelta (il concentrarsi su molti personaggi, nda) non convince fino in fondo, specialmente nell'ultima parte del film, dove la nostra prode banda di ribelli si divide e la storia si muove in modo piuttosto goffo tra tre location differenti. So che l'idea è quella di creare un'impressione di serialità (un'impressione rafforzata dall'uso dei classici tagli di montaggio "scorrevoli" per passare da un luogo all'altro), ma ha l'effetto di rallentare l'azione proprio nel momento in cui ci si dovrebbe muovere a grandi passi verso il climax.
New Yorker
Non si capisce come una saga come questa possa essere a corto di immaginazione o abbia iniziato a dipendere eccessivamente dagli splendidi effetti speciali - che sia in pericolo, in sintesi, di scadere nel manierismo o nell'essere un blockbuster movie come tanti.
New York Times
Il film non ha la freschezza e la sorpresa di alcuni dei capitoli precedenti, ma è carino in modo inoffensivo e, in fondo, un po' stupido. E' come leggere la parte centrale di un fumetto. È divertente in alcune parti, ma mancano bellezza, suspense, disciplina narrativa e arte cinematografica (...). Il film è un'operazione grandiosa ma puramente meccanica, uno spreco di tempo molto costoso.
Washington Post
Il film non ha una trama strutturata, nessun approfondimento né tantomeno sviluppo dei personaggi, e non comunica nulla di significativo né del punto di vista emotivo né da quello della riflessione. Non ha una visione originale, ma crea una trama che è semplicemente un pastiche di altri generi e altre fonti.
The Daily Telegraph
E ora si parla già di altre trilogie, come se stessimo parlando di una saga dell'epoca classica, senza mai fine. Nel frattempo, ciò che vediamo sullo schermo è una grande ricchezza di effetti speciali e un'estrema pochezza nella caratterizzazione. Chi sono questi personaggi? Perché è così difficile interessarsi a ciò che sta accadendo loro?
Toni sicuramente non entusiastici (quasi quanto l'entusiasmo di Luke nell'istruire Rei), che battono essenzialmente su tre tasti: la mancanza di novità, l'assenza di una trama strutturata, e una caratterizzazione debole o comunque poco sviluppata, che impedisce di provare empatia per i personaggi.
Nella seconda parte, analizzeremo più in dettaglio tutti questi punti, cercando di capire quali fossero le intenzioni di Rian Johnson, perché le sue scelte hanno/non hanno convinto critici e fan, e quale sia l'impatto di Episodio VIII sull'universo di Guerre Stellari.
Ah, un'ultima cosa (DISCLAIMER): le recensioni pubblicate qui sopra NON sono di Episodio VIII. Per sapere di che film sono, e capire il perché di questo "trucchetto", leggete la seconda parte!
Ah, un'ultima cosa (DISCLAIMER): le recensioni pubblicate qui sopra NON sono di Episodio VIII. Per sapere di che film sono, e capire il perché di questo "trucchetto", leggete la seconda parte!
Pier
giovedì 15 dicembre 2016
Rogue One: A Star Wars Story
Tra passato e presente
Jyn Erso è una ragazza che vive di espedienti da quando, quindici anni prima, l'Impero ha ucciso sua madre e rapito suo padre Galen, un ingegnere, per costruire un'arma di distruzione di massa. Quindici anni dopo, l'Alleanza Ribelle viene a sapere che l'arma, la Morte Nera, è pronta e sta per diventare operativa. L'ultima speranza risiede in un messaggio che Galen ha affidato a un pilota disertore dell'Impero, che si trova attualmente nelle mani di Saw Gerrera, carismatico leader di una fazione di ribelli indipendente dall'alleanza e vecchio amico di Galen.
La prima trilogia di Guerre Stellari è costruita, fin dal titolo del primo film, sul concetto di speranza. E' la speranza a sostenere le forze ribelli nella loro lotta apparentemente impari contro l'Impero; è la speranza a guidare Luke durante il suo addestramento Jedi e a permettergli di superare tutte le sconvolgenti scoperte sul suo passato. Quella speranza non era caduta dal cielo, ma era prima di tutto frutto del sacrificio e dell'abnegazione di uno sparuto gruppo di ribelli. Rogue One racconta la loro storia, e lo fa con grande efficacia narrativa, con una trama che non perde mai ritmo e ci trasporta in una galassia dove la speranza è quasi scomparsa, schiacciata dall'opprimente avanzata dell'esercito imperiale, in un viaggio tra mondi nuovi e famigliari che risulta forse il capitolo più riuscito a livello visivo dell'intera saga.
I nuovi personaggi sono ben caratterizzati e interessanti, una brancaleonesca accozzaglia di emarginati che si imbarca in una missione che sembra del tutto al di là delle loro possibilità. Il film, tuttavia, non ci fa spendere abbastanza tempo con loro per affezionarci per davvero, schiacciato com'è del desiderio/necessità di far comparire personaggi della saga storica: come già nell'Episodio VII, il passato finisce per soffocare il presente, impedendogli di respirare a fondo, e lasciando solo abbozzati degli spunti che avrebbero potuto rendere Rogue One il capitolo più riuscito dell'intera saga. Il film sembra quasi costretto a guardarsi indietro, con richiami continui allo storico film di cui narra gli antefatti: e se alcuni riferimenti sono interessanti e gettano luce su alcuni aspetti della storia originale, altri sono del tutto marginali, e avrebbero potuto avere meno spazio.
Il film resta comunque eccezionale, sorretto anche da prove attoriali di altissimo livello, da una Felicity Jones determinata e combattiva a un Forest Whitaker perfettamente a suo agio nei panni del vecchio leone all'ultima battaglia (il suo è forse il personaggio più sacrificato), passando per Donnie Yen (protagonista dello spettacolare Ip Man), il personaggio cui ci si affeziona di più per la sua incrollabile fede nella Forza che gli consente di combattere come uno Jedi pur essendo cieco e avendo a sua disposizione solo un bastone.
La nota forse più positiva del film è la regia di Gareth Edwards, che dimostra un amore per la materia e un'abilità tecnica di altissimo livello: dall'uso sapiente della prospettiva e delle dimensioni per rendere la grandezza di un oggetto alle scena d'apertura che ricorda quella di Inglorious Basterds per la capacità di costruire la tensione di un duello verbale, Edwards naviga i mari di Star Wars con mano da veterano. Il suo meglio lo dà nelle scene di battaglia, mai così spettacolari, e soprattutto in quella per le strade impolverate di Jedha, in cui si riconosce l'eco delle immagini delle odierne guerre in Medio Oriente, e in cui Edwards sembra connotare il film di un messaggio politico non banale. Da menzionare, infine, anche le ottime musiche di Giacchino, lui sì in grado di trovare un ottimo equilibrio tra citazionismo e originalità.
Rogue One è un ottimo nuovo capitolo della saga di Guerre Stellari, a parere di chi scrive inferiore solamente ai primi due film per capacità inventiva e forza espressiva. Rimane tuttavia un piccolo rammarico per un'occasione persa: il film avrebbe potuto serenamente essere il migliore di sempre se la produzione non avesse sacrificato la coesione narrativa, lo sviluppo dei personaggi e parte della capacità di emozionare sull'altare del fan service, dimenticando che ciò che ha reso grande Guerre Stellari sono proprio i personaggi. Un vero peccato, che rende solo "buono" un film che aveva tutto il potenziale per essere un piccolo capolavoro nel suo genere.
****
Pier
Jyn Erso è una ragazza che vive di espedienti da quando, quindici anni prima, l'Impero ha ucciso sua madre e rapito suo padre Galen, un ingegnere, per costruire un'arma di distruzione di massa. Quindici anni dopo, l'Alleanza Ribelle viene a sapere che l'arma, la Morte Nera, è pronta e sta per diventare operativa. L'ultima speranza risiede in un messaggio che Galen ha affidato a un pilota disertore dell'Impero, che si trova attualmente nelle mani di Saw Gerrera, carismatico leader di una fazione di ribelli indipendente dall'alleanza e vecchio amico di Galen.
La prima trilogia di Guerre Stellari è costruita, fin dal titolo del primo film, sul concetto di speranza. E' la speranza a sostenere le forze ribelli nella loro lotta apparentemente impari contro l'Impero; è la speranza a guidare Luke durante il suo addestramento Jedi e a permettergli di superare tutte le sconvolgenti scoperte sul suo passato. Quella speranza non era caduta dal cielo, ma era prima di tutto frutto del sacrificio e dell'abnegazione di uno sparuto gruppo di ribelli. Rogue One racconta la loro storia, e lo fa con grande efficacia narrativa, con una trama che non perde mai ritmo e ci trasporta in una galassia dove la speranza è quasi scomparsa, schiacciata dall'opprimente avanzata dell'esercito imperiale, in un viaggio tra mondi nuovi e famigliari che risulta forse il capitolo più riuscito a livello visivo dell'intera saga.
I nuovi personaggi sono ben caratterizzati e interessanti, una brancaleonesca accozzaglia di emarginati che si imbarca in una missione che sembra del tutto al di là delle loro possibilità. Il film, tuttavia, non ci fa spendere abbastanza tempo con loro per affezionarci per davvero, schiacciato com'è del desiderio/necessità di far comparire personaggi della saga storica: come già nell'Episodio VII, il passato finisce per soffocare il presente, impedendogli di respirare a fondo, e lasciando solo abbozzati degli spunti che avrebbero potuto rendere Rogue One il capitolo più riuscito dell'intera saga. Il film sembra quasi costretto a guardarsi indietro, con richiami continui allo storico film di cui narra gli antefatti: e se alcuni riferimenti sono interessanti e gettano luce su alcuni aspetti della storia originale, altri sono del tutto marginali, e avrebbero potuto avere meno spazio.
Il film resta comunque eccezionale, sorretto anche da prove attoriali di altissimo livello, da una Felicity Jones determinata e combattiva a un Forest Whitaker perfettamente a suo agio nei panni del vecchio leone all'ultima battaglia (il suo è forse il personaggio più sacrificato), passando per Donnie Yen (protagonista dello spettacolare Ip Man), il personaggio cui ci si affeziona di più per la sua incrollabile fede nella Forza che gli consente di combattere come uno Jedi pur essendo cieco e avendo a sua disposizione solo un bastone.
La nota forse più positiva del film è la regia di Gareth Edwards, che dimostra un amore per la materia e un'abilità tecnica di altissimo livello: dall'uso sapiente della prospettiva e delle dimensioni per rendere la grandezza di un oggetto alle scena d'apertura che ricorda quella di Inglorious Basterds per la capacità di costruire la tensione di un duello verbale, Edwards naviga i mari di Star Wars con mano da veterano. Il suo meglio lo dà nelle scene di battaglia, mai così spettacolari, e soprattutto in quella per le strade impolverate di Jedha, in cui si riconosce l'eco delle immagini delle odierne guerre in Medio Oriente, e in cui Edwards sembra connotare il film di un messaggio politico non banale. Da menzionare, infine, anche le ottime musiche di Giacchino, lui sì in grado di trovare un ottimo equilibrio tra citazionismo e originalità.
Rogue One è un ottimo nuovo capitolo della saga di Guerre Stellari, a parere di chi scrive inferiore solamente ai primi due film per capacità inventiva e forza espressiva. Rimane tuttavia un piccolo rammarico per un'occasione persa: il film avrebbe potuto serenamente essere il migliore di sempre se la produzione non avesse sacrificato la coesione narrativa, lo sviluppo dei personaggi e parte della capacità di emozionare sull'altare del fan service, dimenticando che ciò che ha reso grande Guerre Stellari sono proprio i personaggi. Un vero peccato, che rende solo "buono" un film che aveva tutto il potenziale per essere un piccolo capolavoro nel suo genere.
****
Pier
mercoledì 16 dicembre 2015
Star Wars: Episodio VII - Il Risveglio della Forza
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…
Sono passati molti anni dalla battaglia di Endor. L’Impero è stato sconfitto, ma alcuni lealisti, riunitisi sotto il nome di Primo Ordine, cercano ancora di riportare in auge la dittatura, conquistando alcuni sistemi esterni per poi puntare al cuore della Repubblica. Nonostante la presenza di una Resistenza, il Primo Ordine sembra sempre più vicino al successo.
Dopo anni d’attesa, e tre prequel generalmente considerati deludenti non tanto nel contenuto quanto nello spirito e nella realizzazione, Star Wars è finalmente tornato. Fin dalle prime sequenze (ai titoli in formato “classico”, lo confesso è scappata la lacrimuccia), J.J. Abrams mostra la ferma volontà di tornare ai toni e alle atmosfere della prima trilogia, tra inseguimenti spaziali e nemici misteriosi, giovani che sognano ad occhi aperti e droidi spaziali, nuovi volti e vecchie conoscenze. Il regista approccia Star Wars come una leggenda dei tempi antichi, costruendo una nuova epopea a partire da dove si era conclusa quella vecchia, creando un legame indissolubile che non diviene però legaccio né costrizione creativa. Il materiale originale viene rielaborato in modo rispettoso ma originale, creando collegamenti con la vecchia saga ma aprendo la strada a una nuova storia in grado di reggersi sulle proprie gambe.
I vecchi personaggi vengono usati in modo intelligente e realistico, senza fare finta che il tempo non sia passato ed evitando così di ibernarli in un eterno, statico presente. Il passare degli anni ha avuto degli effetti sui loro caratteri, modificandone alcuni tratti ma lasciandone immutati altri. Il nuovo episodio ci restituisce così dei personaggi più maturi, diversi eppure riconoscibili, come vecchi amici che si rincontrano dopo tanto tempo. I “grandi vecchi” vengono affiancati da giovani protagonisti carismatici e ben costruiti, con il loro carico di origini misteriose e traumi irrisolti, che si dimostrano all’altezza dei loro predecessori. Tra tutti spiccano la giovane protagonista, Rey, (una convincente Daisy Ridley) e l’antagonista, Kylo Ren, magistralmente interpretato da Adam Driver, che dimostra una volta di più quanto sarebbero stati migliori i film della nuova trilogia se a interpretare Anakin Skywalker ci fosse stato un attore migliore del termosifonesco Hayden Christensen.
Proprio nell'equilibrio tra personaggi nuovi e storici il film ha la sua pecca più grande, in quanto Abrams sembra sentirsi quasi obbligato a dare spazio ad Han, Leia e altre vecchie conoscenze, quando è evidente che il loro arco narrativo è ormai agli sgoccioli, e dunque assolutamente secondario e meno interessante rispetto a quello dei nuovi personaggi. I primi venti minuti, interamente dedicati alle "nuove reclute", sono quindi i migliori del film, in quanto la trama sembra guardare in avanti (l'inizio in medias res è da sempre un marchio di fabbrica di Guerre Stellari) anziché voltarsi faticosamente indietro come accade in altri punti.
Nonostante i rallentamenti di cui sopra, la storia in generale procede veloce, tra colpi di scena, inseguimenti mozzafiato e momenti intimi e toccanti, che non mancheranno di emozionare lo spettatore. La regia di Abrams è solida e sicura, senza quei fronzoli stilistici che avevano caratterizzato la sua versione di Star Trek, e con un impianto visivo che rispecchia quello dei film originali sia nella fotografia che nelle scene e nei costumi. Grazie alla scelta di ricostruirli dal vivo anziché in computer grafica, alieni e ambienti sono veri, realistici e coinvolgenti, lontani dalle fredde e artificiali atmosfere di alcuni episodi della seconda trilogia.
Star Wars: Il Risveglio della Forza è un ottimo primo capitolo per la nuova trilogia, in quanto riesce a soddisfare gli storici fan della saga senza estraniare potenziali nuovi spettatori, ma anzi accompagnandoli in modo elegante e rispettoso all’interno di una storia che è iniziata tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, e non accenna a voler finire.
*** ½
Pier
Sono passati molti anni dalla battaglia di Endor. L’Impero è stato sconfitto, ma alcuni lealisti, riunitisi sotto il nome di Primo Ordine, cercano ancora di riportare in auge la dittatura, conquistando alcuni sistemi esterni per poi puntare al cuore della Repubblica. Nonostante la presenza di una Resistenza, il Primo Ordine sembra sempre più vicino al successo.
Dopo anni d’attesa, e tre prequel generalmente considerati deludenti non tanto nel contenuto quanto nello spirito e nella realizzazione, Star Wars è finalmente tornato. Fin dalle prime sequenze (ai titoli in formato “classico”, lo confesso è scappata la lacrimuccia), J.J. Abrams mostra la ferma volontà di tornare ai toni e alle atmosfere della prima trilogia, tra inseguimenti spaziali e nemici misteriosi, giovani che sognano ad occhi aperti e droidi spaziali, nuovi volti e vecchie conoscenze. Il regista approccia Star Wars come una leggenda dei tempi antichi, costruendo una nuova epopea a partire da dove si era conclusa quella vecchia, creando un legame indissolubile che non diviene però legaccio né costrizione creativa. Il materiale originale viene rielaborato in modo rispettoso ma originale, creando collegamenti con la vecchia saga ma aprendo la strada a una nuova storia in grado di reggersi sulle proprie gambe.
I vecchi personaggi vengono usati in modo intelligente e realistico, senza fare finta che il tempo non sia passato ed evitando così di ibernarli in un eterno, statico presente. Il passare degli anni ha avuto degli effetti sui loro caratteri, modificandone alcuni tratti ma lasciandone immutati altri. Il nuovo episodio ci restituisce così dei personaggi più maturi, diversi eppure riconoscibili, come vecchi amici che si rincontrano dopo tanto tempo. I “grandi vecchi” vengono affiancati da giovani protagonisti carismatici e ben costruiti, con il loro carico di origini misteriose e traumi irrisolti, che si dimostrano all’altezza dei loro predecessori. Tra tutti spiccano la giovane protagonista, Rey, (una convincente Daisy Ridley) e l’antagonista, Kylo Ren, magistralmente interpretato da Adam Driver, che dimostra una volta di più quanto sarebbero stati migliori i film della nuova trilogia se a interpretare Anakin Skywalker ci fosse stato un attore migliore del termosifonesco Hayden Christensen.
Proprio nell'equilibrio tra personaggi nuovi e storici il film ha la sua pecca più grande, in quanto Abrams sembra sentirsi quasi obbligato a dare spazio ad Han, Leia e altre vecchie conoscenze, quando è evidente che il loro arco narrativo è ormai agli sgoccioli, e dunque assolutamente secondario e meno interessante rispetto a quello dei nuovi personaggi. I primi venti minuti, interamente dedicati alle "nuove reclute", sono quindi i migliori del film, in quanto la trama sembra guardare in avanti (l'inizio in medias res è da sempre un marchio di fabbrica di Guerre Stellari) anziché voltarsi faticosamente indietro come accade in altri punti.
Nonostante i rallentamenti di cui sopra, la storia in generale procede veloce, tra colpi di scena, inseguimenti mozzafiato e momenti intimi e toccanti, che non mancheranno di emozionare lo spettatore. La regia di Abrams è solida e sicura, senza quei fronzoli stilistici che avevano caratterizzato la sua versione di Star Trek, e con un impianto visivo che rispecchia quello dei film originali sia nella fotografia che nelle scene e nei costumi. Grazie alla scelta di ricostruirli dal vivo anziché in computer grafica, alieni e ambienti sono veri, realistici e coinvolgenti, lontani dalle fredde e artificiali atmosfere di alcuni episodi della seconda trilogia.
Star Wars: Il Risveglio della Forza è un ottimo primo capitolo per la nuova trilogia, in quanto riesce a soddisfare gli storici fan della saga senza estraniare potenziali nuovi spettatori, ma anzi accompagnandoli in modo elegante e rispettoso all’interno di una storia che è iniziata tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, e non accenna a voler finire.
*** ½
Pier
Iscriviti a:
Post (Atom)