Il colpevole è il digitale
Hercule Poirot, l'infallibile investigatore, viene invitato dall'amico Bouc a unirsi alla crociera lungo il Nilo organizzata da due neosposi: la ricca ereditiera Linnet Ridgeway e il bel Simon Doyle. I due si sono conosciuti da poco, e Doyle era fidanzato con la migliore amica di Linnet, Jacqueline de Bellefort, che si unisce, non invitata, alla crociera. A bordo di una nave su cui si muovono vari personaggi legati a Linnet (cameriere, parenti, manager, cantanti), l'atmosfera si fa sempre più rovente, fino a quando non viene ritrovato un cadavere. Toccherà a Poirot, come sempre, scoprire il colpevole.
Assassinio sul Nilo, secondo capitolo dedicato da Kenneth Branagh al detective più famoso creato dalla penna di Agatha Christie *, è un film pieno di scelte bizzarre - poco efficaci, e difficilmente razionalizzabili. In primis, è un film d'avventura e in costume, che dovrebbe fare delle location il suo punto forte, ed è invece interamente girato all'interno degli studios , facendo largo uso del green screen. In secondo luogo, perché decide di dedicare gran parte del film al passato di Poirot - un passato che Agatha Christie ha invece sempre lasciato appena abbozzato, per larga parte avvolto nel mistero - una scelta che costituisce parte del fascino del personaggio. "Umanizzare" Poirot è una strategia molto in linea con il trend del momento (persino i cattivi Disney devono diventare personaggi a tutto tondo), ma che finisce, forse, per banalizzare un personaggio che fa dell'eccezionalità, della stranezza la sua cifra e il suo carattere distintivo. Branagh, peraltro, sceglie peculiarmente di inventare del tutto il passato di Poirot, anziché attingere dalle informazioni fornite dalla Christie.
Una terza bizzarria sta nella presentazione del caso e degli indizi. Branagh cambia dei dettagli, e fin qui nulla di male: anzi, è un'ottima scelta per dare una maggiore freschezza a chi ha già letto il libro o visto la versione del 1976. Tuttavia, uno degli elementi "inventati" da Branagh finisce per rivelare anche allo spettatore meno attento il possibile colpevole già nella prima metà del film: presentato in una scena altrimenti "inutile", attira immediatamente l'attenzione e porta a trasformare un semplice sospetto in una certezza quasi assoluta, poi puntualmente confermata dagli eventi. Una decisione abbastanza incomprensibile, e spiegabile solo con il desiderio di essere "capito" anche dai meno attenti, ma che finisce per eliminare quell'elemento di sorpresa che è l'anima del genere whodunnit.
Tutto male, dunque? Niente affatto. Il cast è azzeccato nei suoi componenti principali: Branagh è decisamente più a suo agio nei panni di Poirot, Gal Gadot è azzeccata nei panni della ricca ereditiera, Emma Mackey una bellissima sorpresa in quelli della sua rivale. La sceneggiatura, al netto dei difetti sopra elencati, ha ritmo, e la regia di Branagh è avvolgente, ricca di piani sequenza, panoramiche, movimenti circolari, a sottolineare visivamente l'assedio fisico e mentale cui l'assassino sottopone gli altri protagonisti. Persino le scenografie e i paesaggi, per quanto in gran parte digitali, riescono nel loro compito, risultando comunque abbastanza evocative.
Le bizzarrie di cui sopra, tuttavia, non sono ignorabili, e finiscono per rendere meno godibile una visione che, invece, aveva tutto il potenziale per intrattenere quanto e più del primo film. Un peccato, per una saga che prometteva bene: ma, visti gli incassi, forse Branagh avrà occasione di rimediare in un altro capitolo.
** 1/2
Pier
*: Curiosa la scelta che ha portato Branagh a seguire esattamente lo stesso ordine seguito a suo tempo per i film con Peter Ustinov: prima l'Orient Express, poi il Nilo. Curioso come anche la riuscita dei due film (molto buono il primo, più piatto il secondo) sia quasi identica - ma lì c'era la scusa del cambio di regista, da Lumet a Guillermin.
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