venerdì 6 aprile 2018

Ready Player One

Sulle spalle dei giganti


In un futuro grigio e distopico, la maggior parte dell'umanità è ridotta in miseria, senza alcuna prospettiva di miglioramento. La popolazione mondiale si rifugia quindi in Oasis, una realtà virtuale videoludica in cui tutti possono essere ciò che desiderano. Quando James Halliday, geniale creatore del gioco, muore, in un videomessaggio rivela di aver nascosto in Oasis un easter egg: per trovarlo, sarà necessario superare tre prove. Il primo a farlo diventerà il suo erede e otterrà il controllo di Oasis.

È ancora possibile creare qualcosa di originale? Questa domanda aleggia ormai da anni nell'industria cinematografica, stretta tra orde (spesso barbare) di remake, sequel, prequel, e altri prodotti derivati e derivativi. È interessante, e quasi paradossale, che una delle risposte più interessanti a questa domanda arrivi da un film come Ready Player One, che a prima vista sembra essere un immenso, infinito omaggio al cinema (soprattutto degli anni Ottanta) e ai videogiochi.
E, a prima vista, la risposta sembra essere un "no", quella più scontata: il film racconta infatti una corsa infinita e nostalgica in un mondo modellato sul passato, sorprendente e appassionante, che si contrappone a un presente grigio e pieno di noia. L'escapismo, nella sua accezione più negativa (la "diserzione del soldato" tolkieniana), sembra elevato a ragione di vita, e la conoscenza del passato "pop" e della cultura nerd sembra l'unica ad avere valore. Tuttavia, Spielberg, come Halliday, nasconde il significato del suo film in profondità, eppure in bella vista: nel passato si possono trovare le risposte, secondo il principio della "storia maestra di vita", ma è nel presente che si deve agire, facendo in modo che il pensiero diventi atto, e la conoscenza sia messa al servizio del bene comune.

Ready Player One non vuole proporre un ideale di società, ma ritrarre (e criticare) la società in cui viviamo: una società dell'apparenza virtuale, in cui la discrezione sembra impossibile e il valore e l'identità di una persona sono sempre più determinate dal suo successo e dalla sua immagine social. Nel farlo, tuttavia, non si lascia andare a facili moralismi o pindariche elucubrazioni, ma nel modo più semplice eppure più complesso: attraverso la storia e l'evoluzione dei suoi protagonisti. Questa mancanza di afflato filosofico-esistenziale ha tratto in inganno molti critromboni (critici tromboni, una specie in via d'estinzione ma ancora pericolosamente influente nelle sue concioni), incapaci di concepire che possa esistere riflessione in un'opera che è anche in grado di intrattenere e divertire, e che si sono quindi fermati a un'interpretazione letterale (e limitata ai primi 60 minuti) del film.

Ready Player One ha infatti tutte le caratteristiche dei film più amati di Spielberg: due protagonisti (contando anche Halliday), Wade e Samantha, ben delineati, un cast di contorno tipizzato ma funzionale, e soprattutto una storia che procede spedita verso il finale, con una progressione che, pur ricalcando giocoforza quella dei livelli di un videogioco, riesce a permearla con la ricchezza del linguaggio cinematografico. La computer grafica è di livello altissimo, e quasi sempre ci si dimentica di stare guardando degli avatar e noi dei personaggi reali. Tra divertissement e scene altamente spettacolari, Spielberg si e ci regala anche un portentoso omaggio a uno dei suoi maestri e a un capolavoro della cinematografia moderna; una scena, questa, destinata a rimanere negli annali, e che rappresenta appieno la filosofia cinematografica di Spielberg: costruire sul passato per creare qualcosa di nuovo, riconoscendo di essere "nani sulle spalle dei giganti" ma al tempo stesso avendo l'ambizione di diventare i "giganti" delle future generazioni. Guardare al passato con nostalgia non è un peccato, purché questa nostalgia non diventi ossessiva ripetizione o, nel peggiore dei casi, onanistico omaggio. Allo stesso modo, l'escapismo non è necessariamente negativo e, anzi, può anche arricchire, purché non diventi fuga dalla realtà o addirittura non si sostituisca ad essa.

Ed è questo, in fondo, il messaggio di Ready Player One, un messaggio che dovrebbe essere chiaro fin dalla scelta di fondere passato e realtà virtuale in un unicum, con Oasis che rappresenta sia la fuga dalla realtà che la fuga dal presente. Sia passato che realtà virtuale sono affascinanti ed esercitano un richiamo irresistibile, ma rischiano di diventare una trappola, un labirinto senza uscita in cui morire lentamente mentre culliamo un'illusione di immortalità. Il passato e il mondo digitale possono arricchire la nostra vita (e il nostro cinema), ma solo a patto che li si utilizzi per creare qualcosa di nuovo, divertente e appassionante; qualcosa che non necessariamente deve essere un capolavoro, ma che abbia la capacità di intrattenere e divertire le nuove generazioni, esattamente come Indiana Jones o Hook hanno intrattenuto e divertito quelle del passato; qualcosa come Ready Player One.

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Pier

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