martedì 29 settembre 2009

District 9

La fantascienza come specchio della realtà



Gli alieni sono sbarcati sulla terra, ma incredibilmente non hanno scelto New York, nè sono arrivati con intenzioni ostili tra suoni e luci accecanti: sono atterrati a Johannesburg per un guasto alla loro navicella, dopo una lunga deriva nello spazio. Sono profughi, insomma. E il trattamento riservato dagli umani ai "gamberoni" extraplanetari non sarà dissimile da quello finora riservato agli immigrati della loro stessa specie.

Girato con un budget ridotto e prodotto da Peter Jackson, District 9 è un film fantascientifico di denuncia: impossibile non vedere dietro i poveri gamberoni, stipati in un'immensa baraccopoli e angheriati dagli umani, l'immagine degli immigrati nei centri di accoglienza.
Il film è guidato da un forte pessimismo di fondo: la scelta stessa di ambientarlo in un paese africano (solitamente luogo di emigrazione più che di immigrazione) vuole dirci che l'intolleranza non ha colore, nè razza, nè religione. E' semplicemente connaturata all'animo umano, e solo un forte shock può portarci a vedere al di là delle apparenze e dei luoghi comuni.

Il messaggio è forte e ben veicolato: District 9 infatti sfrutta appieno l'ottima regia e lo stile del mockumentary su cui è costruito, creando un forte vincolo emotivo tra spettatore e alieni, che per una volta non sono portatori di conoscenze superiori ma di un'umanissima sofferenza.
Non mancano gli elementi base del genere fantascientifico, dall'astronave-madre alle armi con enorme potenziale distruttivo: la novità sta nel realismo con cui questi sono realizzati e rappresentati, calati come sono nella realtà di tutti i giorni e nel contesto socio-culturale africano.

Il regista ha ben recepito il messaggio "politico" degli zombie di Romero e lo ha applicato alla fantascienza: il risultato è un film eccellente, in cui la tensione narrativa si mescola alla denuncia sociale, facendoci capire che spesso, in fondo, i veri alieni siamo noi.

***

Pier

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