Volare troppo in alto
C'è una categoria di film cui Anora appartiene a pieno titolo: quello del film indipendente "di sceneggiatura", con bei dialoghi e ottimi attori, che solitamente esce dal Sundance Film Festival per poi strappare una candidatura all'Oscar per la miglior sceneggiatura, a volte anche vincendolo.
Come questo tipo di film possa trionfare a Cannes, tuttavia, è domanda aperta e senza risposta, spiegabile solo in parte con il declino della kermesse francese. Al gusto dei giurati non si comanda, ma c'è più cinema nell'inquadratura più pasticciata di Megalopolis che in questo pur bel film di Sean Baker.
In comune con il film di Coppola Anora ha il fatto di essere un prodotto quasi metacinematografico. Megalopolis racconta dell'ambizione folgorante ma autodistruttiva di un architetto, ed è il frutto dell'ambizione folgorante e autodistruttiva di Coppola. Anora racconta la delusione che si prova quando si ritorna alla realtà dopo essersi illusi di aver realizzato i propri sogni (o il finale alternativo mai girato di Pretty Woman, film esplicitamente citato in vari punti) e il suo sogno realizzato (vincere la Palma d'Oro) finisce per alzare eccessivamente le aspettative e deludere chi lo guarda - una delusione immeritata, perché il film è comunque molto valido, ma inevitabile, perché le aspettative giocano comunque un ruolo importante nella visione.
Anora è infatti, come detto, un buon film di sceneggiatura che, pur soffrendo di un enorme buco di trama, trascina comunque grazie a dialoghi al fulmicotone, una regia cinetica che ricorda il primissimo Scorsese con punte aggiuntive di lirismo e, soprattutto, un giovane cast in stato di grazia. Mikey Madison è magnetica nel ruolo della protagonista, una stripper alla ricerca della felicità; Mark Eydelshteyn è una star in rampa di lancio, irresistibile nella sua cialtroneria e da schiaffi nel suo essere irrimediabilmente viziato; e Yura Borisov, già ammirato in due piccoli capolavori come Scompartimento 6 e Captain Volkogonov escaped, è semplicemente un attore eccezionale, che speriamo riesca a proseguire la sua carriera negli USA.
Leggerete che il film ha un messaggio femminista, o quantomeno antipatriarcale: onestamente si fa fatica a trovarlo, perché è la stessa protagonista a rinunciare alla propria voce anche quando potrebbe usarla e perché il personaggio più negativo del film è un'altra donna. Se questa era davvero l'intenzione (e a tratti sembrerebbe esserlo), Baker pasticcia un po' con gli ingredienti, creando un film diseguale: le parti comiche, esilaranti, sono nettamente meglio di quelle drammatiche o "impegnate", con l'eccezione della breve ma potentissima scena finale, che avrebbe meritato una migliore costruzione per poter ribaltare davvero la prospettiva e dare al film quel valore aggiunto che lo avrebbe reso un capolavoro.
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Pier