venerdì 29 novembre 2024

Wicked: Parte 1

Il ritorno del musical


Glinda, la buona strega del Nord, annuncia al regno di Oz la morte della malvagia strega dell'Ovest. Il reame è in festa, ma qualcosa sembra turbare Glinda. Scopriamo che, una volta, lei e Elphaba, la strega dell'Ovest, non solo non si odiavano, ma erano addirittura amiche. Tutto iniziò all'università di Shiz, dove Glinda stava per iniziare gli studi e Elphaba - senza amici e derisa da tutti per la sua pelle verde - aveva accompagnato la sorella più giovane, Nessa...

Wicked è uno di quei prodotti creativi celeberrimi nel mondo anglosassone ma quasi sconosciuti in Italia. Tratto dal romanzo di Gregory Maguire, il musical debutta a Broadway nel 2003 ed è subito un successo sia di pubblico che di critica. Diventa un fenomeno culturale, e consacra definitivamente Idina Menzel, interprete di Elphaba, come una delle regine del musical contemporaneo (Menzel che, insieme a Kristine Chenoweth, interprete originale di Glinda, fa una comparsata nel film).

Di tutto questo a noi arriva solo una pallida eco e non stupisce, dunque, che gran parte del pubblico (e anche anche alcuni paludati critici, evidentemente privi di amici che li tengano a contatto con la realtà) abbia pensato che questo Wicked: Parte 1 fosse l'ennesimo prequel o rivisitazione generata dall'algoritmo degli studios, in un'epoca in cui le idee vengono riciclate o letteralmente rianimate come cadaveri. 

Wicked è invece un'opera originale, la cui trasposizione al cinema ha dovuto attendere anni per garantire lo splendore visivo e il respiro narrativo necessario a un'opera complessa e stratificata, che parla alla società odierna in modo forse ancora più forte di quella in cui uscì originariamente: una società divisa, polarizzata, un insieme di solitudini che non si fa mai gruppo; una società capace di unirsi solo contro un nemico inventato, con un'elite chiusa in una bolla che (letteralmente) impedisce loro di sentire la voce di chi dovrebbe servire.

John M. Chu, già autore di Crazy Rich Asians, aveva insomma un'impresa molto difficile da portare a termine, e passa l'esame a pieni voti. Wicked: Parte 1 è un perfetto adattamento del materiale di partenza, e mantiene la follia e la stravaganza tipiche dei musical teatrali, ma che spesso viene persa negli adattamenti cinematografici a causa dell'illusione che, per risultare drammaticamente più credibili, debbano anche diventare più seri. Ma senza un pizzico di follia, di scenografie esagerate e colori ipersaturidi enfasi teatrale si perde completamente la magia del musical. L'effetto paradossale è che si finisce per rendere noiosi, anziché più credibili, dei personaggi che a un tratto si mettono a cantare e ballare. La formula "seriosa" può funzionare per musical sperimentali, che usano il genere per parlare di altro (due esempi qui e qui) o che usano generi musicali meno classici

Chu ha decisamente imparato la lezione dei maestri contemporanei del genere (Buz Luhrmann e Rob Marshall su tutti) e lascia la magia del musical a briglia sciolta. Da regista di commedie capisce che la forza di Wicked sta anche nella linea comica (tanto cara agli sceneggiatori di Boris), e la esalta attraverso una regia ipercinetica e una direzione degli attori da commedia splapstick. Le scelte del regista sono supportate da un cast di caratteristi scelto alla perfezione, e alle prestazioni eccellenti, soprattutto dal punto di vista fisico, da parte dei protagonisti. Ariana Grande nella parte di Glinda e Jonathan Bailey (conosciuto al pubblico per Bridgerton, ma che dovrebbe essere conosciuto per quel gioiello di Crashing) nella parte di Fiyero sono perfetti nella loro incarnazione dei belli apparentemente vacui ma dal cuore d'oro, e sono il cuore comico della trama. Jeff Goldblum è un po' sottoutilizzato nella parte del Mago, anche se il suo momento di gloria dovrebbe arrivare nella seconda parte prevista per il 2025. A brillare su tutti è l'Elphaba di Cynthia Erivo che, pur non avendo la potenza vocale di Menzel, compensa con un'espressività e un'intensità attoriale da Oscar che le permettono di non perdere una virgola della potenza emotiva delle sue canzoni.

Chu dirige con maestria ed efficienza, senza particolari guizzi fino al finale, che invece merita un discorso a parte: la coreografia di Defying Gravity forse spezza un po' troppo il cantato, ma è perfetta per come restituisce il dolore e il desiderio di libertà di Elphaba, il tormento e l'affetto di due amiche che sanno che si stanno separando, forse per sempre, il Bene che si ribella al Male, al costo di perdere tutto e venire etichettato come il nemico. Un momento di grande potenza cinematografica, che soddisferà i fan del musical originale ma anche chi non lo conosce.

L'unico difetto di questo Wicked: Parte 1 sta nella durata. Se la divisione in due parti era inevitabile (i musical da sempre durano molto di più al cinema che a teatro, a meno di voler operare dolorosi tagli), la durata di questa prima parte rischia di stordire chi il musical non lo conosce. Alcune scene risultano ripetitive e potevano serenamente essere tagliate senza nulla togliere all'efficacia narrativa ed emotiva dell'opera.

Wicked: Parte 1 è un musical magico e divertente, che bilancia sapientemente i momenti in cui non si prende sul serio e quelli in cui far risuonare con grande forza il suo messaggio di unità e tolleranza - un messaggio universale, ma che risuona ancora più forte nei tempi che stiamo vivendo.

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Pier

martedì 26 novembre 2024

Giurato Numero 2

Cosa significa "giusto"?


Justin Kemp sta per diventare padre, ma viene convocato come giurato in un caso di omicidio. L'imputato è accusato di aver ucciso la fidanzata, Kendall Carter, dopo una lite in un locale, e di aver poi gettato il cadavere sul letto di un torrente. Mentre il procuratore, Faith Killebrew, espone i fatti, Justin, giurato numero due, si rende conto che potrebbe non essere estraneo a quando accaduto a Kendall Carter, e comincia ad arrovellarsi: deve parlare, rischiando di incriminarsi, o tacere, rischiando la condanna di un potenziale innocente?

La parola ai giurati (12 angry men in originale) è un film del 1957, il primo girato da Sidney Lumet. È un capolavoro in generale, e in particolare del cinema giudiziario/processuale, di cui è di fatto il capostipite (se non lo avete mai visto, potete trovarlo qui in italiano). I dodici protagonisti non hanno nomi: solo il loro numero da giurato li qualifica. Devono decidere se mandare sulla sedia elettrica un ragazzo accusato di aver ucciso il padre. Tutti sono convinti della sua colpevolezza, ma uno dei giurati, il numero 8 (interpretato da Henry Fonda) vota per l'innocenza: non è certo che il ragazzo sia colpevole (o innocente), ma proprio per questo vuole parlarne, per stabilire se esista un ragionevole dubbio: la vita di un ragazzo vale pure una conversazione, giusto? 
Senza fare spoiler del finale, vi basti sapere che su Internet esistono vari dibattiti sia sull'effettiva innocenza o colpevolezza del ragazzo, sia su cosa abbia spinto il giurato numero 8 a fare ciò che ha fatto. Una delle teorie più strampalate, ma anche più intriganti, è che lo abbia fatto perché il vero colpevole è lui. 

Dubito che Clint Eastwood abbia letto questa teoria, ma il dubbio viene, dato che il suo Giurato numero 2 è chiaramente debitore di La parola ai giurati (che viene esplicitamente citato, con alcune battute riprese parola per parola) ma soprattutto porta in scena proprio questo scenario così improbabile eppure così intrigante: come si comporterebbe un giurato se scoprisse, per caso, che il vero colpevole del crimine su cui si trova a giudicare potrebbe essere lui? 

Per affrontare questa domanda servono una sceneggiatura a prova di bomba, ma soprattutto una grande maestria nell'affrontare i dilemmi etici e morali che solleva senza scivolare in una noiosa discettazione filosofica. Per fortuna, etica e morale sono il pane quotidiano della cinematografia di Eastwood da sempre: da Lo straniero senza nome passando per Gli spietati, Mystic river, e Million dollar baby, Eastwood ha sempre esplorato i confini tra bene e male, giusto e sbagliato. Non sorprende, dunque, che Giurato numero 2 sia un thriller teso come una corda di violino, in cui la verità è inconoscibile ma intuibile, e in cui la bussola morale schizza in ogni direzione in base, ponendoci di fronte all'interrogativo: quanto siamo disposti a sacrificare sull'altare della Giustizia?

Eastwood, come detto, riprende alcuni stilemi de La parola ai giurati, ma ne abbandona le atmosfere claustrofobiche per portarci nella vita dei personaggi e farci rivivere i momenti chiave del delitto attraverso continui cambi di prospettiva, che aiutano l'empatia e confondono la percezione, costringendo lo spettatore a mettere continuamente in discussione ciò che crede di sapere. Il concetto di ragionevole dubbio diviene non solo strumento (sacrosanto) di difesa, ma anche arma di offesa per chi vuole nascondere la verità, ribaltando il copione del film processuale e trasformando il giudice in giudicato.

Al centro di tutto c'è un cast perfetto, da un Nicholas Hoult che sembra la personificazione del concetto di "ambiguità" a una Toni Collette divisa tra il desiderio di trovare la Verità con la v maiuscola e quello di salvaguardare la sua promettente carriera. Intorno a loro un cast di supporto di volti poco noti (con l'eccezione di J.K. Simmons e Kiefer Sutherland) ma terribilmente efficaci nell'interpretare tipi umani presi dal modello di Lumet (alcuni calchi sono evidenti) ma adattati alle sensibilità e ai problemi odierni. 

Giurato numero due è l'ennesimo colpo mandato a segno da Eastwood, che alla veneranda età di 94 anni gira con l'energia e la forza inquisitiva della gioventù, non avendo paura di fare domande scomode, dare risposte scomode, e lasciare dubbi e interrogativi cui ogni spettatore può rispondere in maniera differente. Un film socratico, dunque, nella sua capacità di far riflettere e offrire vari punti di vista sullo stesso argomento, e poi voltarsi di colpo verso le spettatore per chiedergli a bruciapelo: e tu, cosa ne pensi? 

**** 1/2

Pier