giovedì 18 marzo 2010

Io sono l'amore

Chi troppo vuole...



I Recchi, famiglia dell'aristocrazia milanese, sono scossi da numerose novità: il nonno ha deciso di lasciare l'azienda di famiglia, la figlia si è scoperta lesbica, e uno dei figli ha deciso di investire nel ristorante di un amico. Ma gli sconvolgimenti più grandi saranno portati da Emma, moglie e madre impeccabile di origini russe.

Scordatevi immediatamente le atmosfere viscontiane evocate dalla pubblicità e dalle cartelle stampa: Guadagnino celebra il trionfo della retorica, dimenticando il cinico realismo che aveva reso grandi le opere di Visconti dedicate alle aristocrazie in declino.
Il regista rappresenta un'alta società milanese che forse non esisteva più già negli anni Settanta, figuriamoci oggi. Tutti i personaggi sono stereotipati, monodimensionali, piatti. Si salva Tilda Swinton, ma solo per l'eccezionale bravura dell'attrice, vero e proprio fiore in mezzo a un mare di fango.

La fotografia è scolastica, la regia didascalica e scontata. Una citazione merita la scena clou dello scontatissimo tradimento, in cui l'amplesso dei due protagonisti viene alternato alle immagini di un'ape che impollina un fiore: roba che nemmeno nelle videocassette di educazione sessuale alle elementari.
Ai limiti del ridicolo poi la scena finale, in cui un uomo tradito e abbandonato, per far sentire il proprio disprezzo alla moglie traditrice, non trova di meglio da fare che toglierle di mano la giacca che le aveva prestato per coprirsi. Un vero e proprio atto di forza, da cui una donna difficilmente potrebbe riprendersi.

Guadagnino firma un film pretenzioso e freddo, che non trasmette alcuna emozione allo spettatore e finisce anzi per annoiarlo. Se queste sono le nuove voci del cinema italiano, forse siamo veramente alla frutta.

*1/2

Pier

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