Visualizzazione post con etichetta Carlo Verdone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Carlo Verdone. Mostra tutti i post

lunedì 27 maggio 2013

La grande bellezza

L'estetica della nostalgia




Jep Gambardalla è il re dei mondani di Roma. Dopo aver scritto in giovinezza un romanzo apprezzato dalla critica, Jep si è dedicato al giornalismo, un po' per pigrizia, un po' per noia. Lo vediamo muoversi tra feste, discussioni in terrazza, matrimoni e palazzi nobiliari, sempre alla ricerca di quella "grande bellezza" che lo aveva abbagliato da giovane e che non è più riuscito a ritrovare.

Nonostante l'ambientazione romana e la presenza di Roma come co-protagonista facciano inevitabilmente pensare a La dolce vita, le similitudini de La grande bellezza con il film di Fellini si fermano qui, o quasi. Lo spirito che anima il film di Sorrentino è infatti profondamente diverso, e lo si può riscontrare mettendo a confronto i due protagonisti. Il Marcello di Mastroianni si muove nella Roma degli anni cinquanta-sessanta con leggerezza solo apparente, ma finisce per diventare emotivamente partecipe di ciò che accade ai suoi "compagni" d'avventura. Lo sguardo di Marcello è ironico ma non distaccato, e prova pietà e tenerezza per lo squallore e la desolazione in cui precipitano coloro che lo circondano. Il Jep di Servillo si muove invece al di sopra delle feste, come un arbiter elegantiarum moderno, pronto a dare il suo giudizio su tutto, ma senza farsi coinvolgere. Il suo sguardo è freddo e cinico, persino con se stesso, e non riesce a connettersi emotivamente con le umane sofferenze del suo entourage. Più che a Mastroianni somiglia a Totò, una maschera ghignante che riesce a ridere della miseria della nobiltà pur facendone parte in prima persona. L'evoluzione dei due personaggi è diametralmente opposta, e sfocia in due finali emotivamente contrapposti: da un lato la malinconia e la desolazione della Dolce Vita, con Marcello che non riesce a sentire le parole di Paola, dall'altro la rinnovata speranza di Jep.

Sorrentino realizza un film barocco, stilisticamente ridondante, che in alcuni tratti sembra un puro esercizio di stile registico. Le sequenze si susseguono senza una logica precisa, episodi sconnessi come la vita di Jep, che scorre senza una direzione precisa. Il regista però riesce a regalare al film un'anima, una dolente e proustiana nostalgia per il passato e per le proprie radici (emblematica in questo senso la scena dei fenicotteri) che si estrinseca nella storia di Jep, ma anche in quella dei suoi amici e conoscenti, da Verdone alla contessa Colonna, effimera protagonista di uno dei momenti più toccanti del film. La nostalgia tocca anche la città di Roma, decadente ombra di glorie passate, e i suoi abitanti. I personaggi incrociati da Jep nelle sue odissee notturne sono profondamente soli, terrorizzati da un horror vacui che cercano inutilmente di esorcizzare con feste sfrenate e dialoghi vuoti. Chi vive a Roma da tanto tempo è incapace di farsi catturare dalla "grande bellezza" della città eterna, che invece colpisce con forza i turisti di passaggio, colti da un'emozione che può persino divenire fatale.

La forza del film non è dunque tanto nella regia, stilisticamente di alto livello ma eccessivamente ridondante e ricercata, quanto nella sceneggiatura, nei dialoghi, negli stralci di verità che spuntano per un attimo dalla coltre della finzione che attanaglia i personaggi. Servillo è magistrale nel ruolo di Jep, tanto naturale nei suoi dialoghi e nelle sue espressioni quanto è finto e eccessivamente teatrale nei monologhi in voice over, eccezion fatta per quello finale. Intorno a lui si muove un cast allestito alla perfezione, in cui spiccano Verdone, perfetto nella sua malinconia come solo i grandi comici sanno essere, ed Herlitzka, esilarante cardinale esperto di cucina e del tutto inetto nelle questioni spirituali. I personaggi si muovono in atmosfere chiaramente felliniane, con giraffe che spariscono, fenicotteri in migrazione e sante in vita che si nutrono solo di radici.

La grande bellezza è un film fortemente imperfetto, con un gusto per l'immagine eccessivo ed autocompiaciuto e una storia ellittica e con poco ritmo. Tuttavia, il film arriva dritto al cuore con il suo messaggio, forte di dialoghi a volte esilaranti (su tutte, quella su Proust e Ammaniti) a volte commoventi, e di una grande prova del cast. Sorrentino realizza un film intimo, che dietro l'apparente freddezza e cinismo cela un cocente rimpianto per il passato, una difesa della nostalgia come unica arma per combattere un presente desolante e un futuro privo di prospettive.

****

Pier

sabato 9 gennaio 2010

Io, loro e Lara

Un Verdone sottotono



Carlo, missionario in crisi di fede, torna a Roma per passare un po' di tempo tra i suoi cari. Troverà l'ambiente familiare ancora più caotico di quello africano che ha appena lasciato.

Il nuovo film di Verdone delude, inutile negarlo. E lo fa non tanto perchè non sia divertente, quanto per la sensazione che avrebbe potuto essere migliore.
E' infatti apprezzabile il tentativo del regista-attore di fare un film diverso dai suoi standard, puntando su una storia di affetti familiari e su una commedia più malinconica di quelle cui ci aveva abituato.

I personaggi sono ben costruiti, dalla sorella nevrotica al fratello cocainomane, passando per le nipoti schiave delle mode, che regalano i momenti più divertenti del film.
La trama manca però di linearità: le scene si susseguono a blocchi, spesso prive di un filo narrativo, e alcune soluzioni appaiono decisamente forzate.
Anche i dialoghi sono spesso artefatti ed eccessivi, soprattutto quando non coinvolgono lo stesso Verdone.

Gli attori sono bravi, il protagonista su tutti, ad eccezione di Laura Chiatti sulla cui prova va steso un velo pietoso: una espressione una, ammiccamenti inutili, voce monocorde. Va bene che ci sono attori che sull'assenza di mimica facciale ci hanno costruito una carriera, ma qui siamo veramente ai livelli del termosifone di ghisa evocato da Stefano Disegni tempo fa per un film di 007.

La sensazione è quella di un'occasione persa per mancanza di incisività e per il desiderio di arricchire la trama con troppi elementi, finendo per farla divenire confusionaria.
Dispiace, perchè Verdone è bravo e il tentativo è come dicevo apprezzabile: la prossima volta cambi sceneggiatore e attrice protagonista.

**

Pier

lunedì 2 novembre 2009

Oggi Sposi

Quattro matrimoni per i personaggi e un funerale per lo spettatore




La nuova commedia italiana di Luca Lucini riprende per l'ennesima volta l'argomento "matrimonio" come collante di quattro storie e coppie di personaggi diversi. Non fa niente se Verdone, con viaggi di nozze, avesse già raggiunto tutto quello che si poteva chiedere ad un film di questo genere, o che Hugh Grant, con quattro matrimoni e un funerale, avesse tirato fuori tutta l'ironia e la comicità banale da situazioni tragi-comiche che ruotano intorno agli avvenimenti nuziali.
Oggi Sposi racconta i preparativi di nozze di 4 coppie: i precari, il finanziere e la soubrette, il cafone e la figlia dell'ambasciatore, il vecchio e la ragazza di vent'anni che punta solo ai soldi. La storia è molto semplice e l'intenzione dello sceneggiatore è chiaramente quella di strappare il sorriso allo spettatore distrendolo dal teatrino della banalità messo in piedi: i luoghi comuni abbondano e sono portati all'eccesso, come il personaggio del PM, incapace con le donne e focalizzato solo sul lavoro, il cafonazzo pugliese che si scontra con la famiglia "perfettina" dell'ambasciatore indiano, i soliti precari, che in un film italiano moderno non mancano mai (non so quanti di loro nella realtà riderebbero delle peripezie di questa coppia), o la soubrette stupidissima e vacua che, insieme ad un finanziere, si preoccupa solo di organizzare il matrimonio dell'anno per pubblicità e notorietà.
Sembra davvero una barzelletta solo che al posto del francese, dell'inglese e del tedesco ci sono le moderne classi sociali italiane che hanno trovato improvvisa notorietà sui, mica tanto, rotocalchi italiani. La barzelletta però, smette improvvisamente di far ridere quando si realizza di aver pagato 7 euro per averla ascoltata. Il solito filmaccio italiano.

Alessandro

*1/2

mercoledì 1 aprile 2009

I mostri oggi

Un puro esercizio di cattiveria


Giunto al terzo episodio, l'ultimo film del ciclo "I mostri" si trova ad affrontare nuove categorie di immorali che popolano la società nel nuovo millennio. La pellicola è spezzettata in otto episodi che durano in media 10 minuti ciascuno.

La cosa che più mi ha colpito di questo film è la totale incapicità di far sorridere in situazione tragicomiche. Il riso amaro è da decenni tipico della commedia all'italiana, il punto nevralgico delle produzioni teatrali di De Filippo, dei film di registi come Zampa, Risi, Monicelli, De Sica, di attori come Tognazzi, Gassman, Sordi, Totò, e obiettivo primario dei film moderni di Verdone, unico grande erede di un patrimonio culturale e artistico tipico del Bel Paese. "I mostri oggi" fallisce completamente in ciò per cui era nato e aveva affrontato nei suoi precedenti capitoli, non strappa una risata in tutta la sala, e diventa un semplice esercizio di cattiveria.

Le storie raccontate sono amare, politicamente scorrette, ma irreali e distaccate; questi mini racconti non appassionano nè compassionano perchè mal costruiti sia logicamente che narrativamente. E' vero che per i corti di valore è necessario la mano di un maestro, ma le storie sono assurde, esagerate e sopratutto distaccate da una società che è si malata e priva di morale, ma raccontata troppo superficialmente nel film.

C'è poco da aggiungere, il film è brutto, non salvo nessuna storia e nessun attore. Vivamente sconsigliato.

*

Alessandro