sabato 2 ottobre 2010

La solitudine dei numeri primi

Autoreferenzialità al potere



Alice e Mattia sono due coetanei di Torino. Entrambi vivono da bambini un trauma che li condizionerà per tutta la vita. Da adolescenti si conoscono, si apprezzano, ma sono costretti a separarsi. Il destino, però, potrebbe farli reincontrare.

Saverio Costanzo traspone in film il bestseller di Paolo Giordano, una trama complessa, intricata ma dotata di una sua attrattiva per via dell'evoluzione dei personaggi. Questa buona base di partenza viene però rovinata da una pretenziosità fuori dal comune, con inquadrature forzate, effetti visivi insensati e in generale un approccio alla regia rigido, impostato, pensato per far risaltare la bravura dell'autore piuttosto che la storia raccontata. L'apoteosi si raggiunge quando, in una scena secondaria, la macchina da presa si sofferma a lungo su un comodino sul quale fa bella mostra di sè il libro da cui il film è tratto.

L'approfondimento psicologico dei personaggi viene ridotto al minimo, trasformando la vicenda adolescenziale in una sorta di teen-movie di basso livello, nonostante i due giovani attori che interpretano Alice e Mattia al liceo siano di gran lunga i migliori del cast. L'altro difetto del film è infatti l'assoluta e totale insopportabilità di Alba Rochwacher, attrice strombazzata in lungo e in largo per motivi che continuano a sfuggirmi, data la sua quasi totale assenza di mimica facciale (si passa da "smorfia" a "smorfia più smorfiosa" e via dicendo) e una voce in grado di irritare tutti i santi del paradiso. Una miglior figura fa invece Luca Marinelli, l'interprete di Mattia, che riesce quantomeno a dare al personaggio una parvenza di credibilità che la sua controparte non raggiunge mai nel corso del film.

La solitudine dei numeri primi è il trionfo del narcisismo, con un regista e un'attrice che non smettono per un minuto di compiacersi della loro presunta bravura, facendo passare un'inquadratura sballata per una scelta artistica e un dimagrimento per una prova d'attore.
La crisi del cinema italiano passa anche da qui, dall'incapacità di fare il proprio mestiere senza autocompiacersi, senza cercare di passare per artisti quando tutt'al più si è degli onesti mestieranti.

*1/2

Pier

Nessun commento:

Posta un commento