Un film scimmiante
Ci sono film che funzionano anche se non dovrebbero. Film i cui ingredienti, se declinati individualmente, sembrano un pastrocchio senza senso o un'assurdità totale, ma che una volta amalgamati regalano invece una pietanza gustosa. L'esempio più famoso è Alien, concepito e presentato ai produttori come "Lo squalo, ma nello spazio": un'assurdità, che però ci ha regalato uno dei film più iconici della storia del cinema.
Better Man è uno di questi film. Sfido chiunque a sentire "musical biografico su Robbie Williams dove però il protagonista è una scimmia e si parla moltissimo del suo rapporto con il padre" e pensare che questo sarebbe stato un film divertente, commovente, creativo, indimenticabile. Parafrasando la famosa (e falsa) frase sul volo del bombo "La struttura narrativa di Better Man non è adatta a essere un bel film, ma lui non lo sa e funziona lo stesso". Una frase che potrebbe applicarsi anche al protagonista: Robbie Williams non ha particolare talento, o quantomeno nessuno sembra riconoscerglielo. Né la sua famiglia, né il creatore dei Take That, né i suoi compagni della boy band che si fece fenomeno planetario: eppure Williams diventa uno dei cantanti di maggior successo della sua generazione, capace di fare concerti da 125mila persone, innumerevoli dischi di platino e hit al numero uno in diversi paesi. Un successo inframmezzato da numerose cadute, con dipendenze sviluppate in tenerissima età da alcol e droghe, depressione, e altri disturbi.
Fin qui, tutto ci porterebbe nella direzione di tanti classici biopic musicali, da Bohemian Rhapsody a Quando l'amore brucia l'anima. Qui però entra in gioco Michael Gracey, già regista di The Greatest Showman, che ha tre intuizioni - due ottime, e una follemente geniale - che elevano il film oltre la media del genere e lo rendono unico. La prima intuizione è quella di seguire la strada di Rocketman, trasformando il biopic in un vero e proprio musical. Gracey osa ancora di più del suo predecessore, mettendo in scena coreografie ardite (il ballo sfrenato con finto ma efficacissimo piano sequenza su Rock DJ nel bel mezzo di Regent Street - qui una breve preview), visionarie (il combattimento in stile fantasy sulle note di Let me entertain you durante il concerto a Knebworth) e commoventi (la scena sulle note di Feel, in cui sfido anche il cuore più freddo a rimanere insensibile, e la coreografia in perfetto stile Rogers-Astaire su She's the one).
La seconda intuizione è quella di abbandonare i toni da agiografia che solitamente caratterizzano queste operazioni. Certo, la struttura rimane quella classica di successo-crollo-ritorno dagli inferi - forse l'unico elemento poco originale del film, ma d'altronde la storia di Williams è quella. Tuttavia, il film mette in scena in modo forte, straziante e senza sconti tutti i momenti peggiori di Williams, non indugiando solo su quelli più pruriginosi (droghe, alcol) ma anche sui lati più oscuri della depressione, con l'autosabotaggio e l'allontanamento sistematico di tutte le persone care, che vengono ferite gratuitamente o dimenticate. In questo è fondamentale anche la collaborazione di Williams, che storicamente ha sempre discusso in pubblico in modo molto aperto i suoi problemi, e qui si presta non solo a mettersi a nudo, ma anche a essere la voce narrante.
La terza intuizione - la più folle, la più geniale, la più importante - è quella di far interpretare Robbie Williams, sex symbol planetario all'apice del suo successo, da uno scimpanzé in computer grafica. La scelta è paradossalmente ciò che permette al film di essere più autentico e "grezzo", eliminando dall'equazione il classico gioco delle somiglianze tra interprete ed interpretato e permettendo allo spettatore di concentrarsi sulla vicenda narrata e sull'ottovolante emotivo della vita di Williams e del suo rapporto con il padre. L'espressività dello scimpanzé (dietro cui c'è l'attore Jonno Davies) è impressionante, e vi ritroverete a commuovervi per degli occhi sempre solcati dalla tristezza, e a ridere sguiatamente per le sue espressioni ammiccanti e cialtrone, ricalcate alla perfezione su quelle di Williams.
Better Man è un film "scimmiante", che sprigiona energia, vibrazioni, emozioni di ogni tipo: si ride, si piange, ci si carica come se si fosse presenti ai concerti, al punto di essere più volti tentati dal cantare a squarciagola le canzoni, anche quando non si sanno le parole. È un film anarchico e geniale, che si muove sempre sull'orlo del precipizio del "ma cosa diamine sto guardando" ma ne esce sempre trionfatore, con un occhiolino soddisfatto rivolto allo spettatore che non può far altro che lasciarsi travolgere e trasportare. Una bella sorpresa.
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Pier
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