La routine dell'omicidio
Fare il killer è un lavoro come un altro: questo sembra essere l’assunto che guida il nuovo film di David Fincher, in cui il protagonista ha la verve e le strette routine di un impiegato, l’approccio metodico e controllato di un contabile, la divisione vita-lavoro di chi timbra il cartellino. Il killer interpretato da Fassbender è anonimo e vuole esserlo, ripete continuamente le sue regole come un mantra, e medita per mantenere sotto controllo le sue emozioni: incarna, in sintesi, la banalità del male, un male fatto di apatia e meccanica ripetizione.
Ma come reagisce un uomo del genere a un imprevisto che sconvolge, anzi, distrugge le sue routine e le sue abitudini? La rottura dei fragili equilibri che regolano le nostre esistenze è un leitmotiv della cinematografia fincheriana, e in particolare dei suoi film che si focalizzano su omicidi e killer come Se7en e Zodiac. Lì però il killer era l’elemento destabilizzante, il Male che si infiltrava nelle vite di persone comuni, sconvolgendole fino a farsi ossessione. Qui è il killer a subire, in un certo senso, la sua stessa medicina, e la sua reazione è il focus principale del film.
Sfruttando lo strumento della voce narrante, Fincher esplora la psiche del suo protagonista. I diversi approcci che usa per affrontare gli ostacoli di diversa natura che gli si parano davanti ci rivelano vari lati della sua personalità, che scopriamo essere più sfaccettata di quello che sembrava in prima istanza. Fassbender mette fisico e espressione glaciale al servizio di questo lavoro di introspezione, che risulta quindi ben riuscito.
Ciò che manca, tuttavia, è la scintilla che elevi il film al di sopra di un “semplice” lavoro ben riuscito: Fincher realizza un film solido ma apatico, un’aggiunta interessante ma minore alla sua cinematografia in generale, e a quella dedicata alle pulsioni più oscure dell’animo umano (tra cui spiccano i due film sopracitati) in particolare. Alcune sequenze sono decisamente ben fatte, ma per il resto The Killer scorre verso il suo finale senza sussulti, con un ritmo regolare e ben strutturato che manca però di guizzi, sorprese, originalità. Un peccato per un regista che ci aveva abituato a uno sguardo sempre nuovo anche su tematiche e generi ben collaudati.
***
Pier
Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.
Nessun commento:
Posta un commento