Ground Control to Major Buzz
Buzz è uno Space Ranger. Durante l'esplorazione di un pianeta sconosciuto, condotta insieme al suo capo Alicia Hawthorne, si trova costretto a fuggire. Una manovra azzardata, però, li blocca sul pianeta. Per tornare a casa serve un nuovo mezzo di propulsione, ma deve essere testato: Buzz si offre volontario. Durante ogni volo, però, per Buzz passano pochi minuti, ma per il resto del pianeta trascorrono quattro anni.
Buzz Lightyear, il giocattolo che abbiamo imparato ad amare in Toy Story, è ispirato al personaggio di un film. Da questa semplice premessa, enunciata ancora prima dei titoli di testa, prende le mosse il film forse più "di genere" della storia della Pixar - un fantascientifico viaggio nello spazio degno di The Martian o Interstellar, in cui l'esplorazione del cosmo è la missione e la sopravvivenza l'obiettivo primario. Verso l'infinito e oltre, quindi, ma non solo: Lightyear, come Interstellar, gioca con la distorsione del tempo per raccontarci un uomo devoto alla propria missione al punto di finirne intrappolato, preda di un senso di colpa che si trasforma in ossessione e lo porta a sacrificare la sua intera vita sull'altare di una serie infinita di missioni fallimentari.
Sotto l'apparente patina leggera da film d'avventura, Lightyear nasconde una riflessione esistenzialista degna di Isaac Asimov o Arthur C. Clarke, su cosa significhi "tornare a casa" quando la realtà si estende all'infinito nel tempo e nello spazio. Buzz si troverà a dover fare i conti con se stesso, mettendo in discussione lo scopo di una vita e realizzando che, forse, quel che pensava di fare per gli altri era importante solo per lui e per il suo ego.
Non mancano tematiche storiche dei film Pixar, come l'importanza dell'amicizia e degli affetti, la creazione della fiducia in un gruppo di sconosciuti, e la capacità di autoaccettazione: tutti declinati all'interno di una storia che guarda con amore agli originali, omaggiandoli con maestria senza scadere nel fan service, e trovando il suo personale cuore emotivo. Il film non brilla forse per originalità, ma compensa con una vitalità e un'energia contagiose, che permeano sia il protagonista che i personaggi secondari.
Le sequenze spaziale sono perfette, inquadrate in una fotografia realistica che ci fa sentire, quasi toccare la consistenza materica dei mezzi, la consunzione e la fattura quasi artigianale delle navicelle, in grado di avvicinarsi alla velocità della luce ma sempre fragili come quelle dei primi allunaggi. L'avventura non manca, ma è inquadrata in un approccio alla fantascienza "duro", con poche concessioni al fantastico e tante alla tecnologia e alla scienza "pura."
La sceneggiatura ha un ritmo serrato, con pochissime pause che servono a tirare il fiato e a mostrare il "lato umano" della vicenda, riuscendo come sempre a strappare lacrime allo spettatore quando meno se lo aspetta. I personaggi secondari sono tutti azzeccatissimi, a partire dal gattino robotico Sox, passando per i vari Space Ranger, giovani e meno giovani, con cui Buzz si troverà a dover collaborare.
Lightyear non vola forse alto come i film che ne hanno permesso la nascita (o che si sono ispirati alla sua storia, se vogliamo credere al meta-film creato dalla Pixar), ma conquista per cuore e slancio emotivo, trasmettendo la passione di Buzz agli spettatori e trasportandoli con lui a esplorare un universo pieno di avventure, emozioni, e misteri.
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Pier
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