Mina e Jude sono due giovani che si incontrano per caso a New York. Lei italiana, lui statunitense, cominciano a frequentarsi, si innamorano, si sposano, hanno un figlio. Proprio con la nascita del bambino iniziano i problemi: Mina è ossessionata dal mantenere il figlio "puro", e per questo non lo fa uscire di casa e non lo nutre in maniera appropriata. Quando Jude si rende conto che il figlio è a serio rischio di malnutrizione inizia a dargli da mangiare di nascosto e a portarlo da un medico. Mina lo scopre, e lo scontro tra i coniugi esplode, divenendo sempre più aspro.
Non fatevi ingannare dalla doppia Coppa Volpi: Hungry Hearts è un film che ha il suo punto debole nella sceneggiatura e nella recitazione della protagonista, mentre - come sempre nei film di Costanzo - convince per la buona realizzazione a livello visivo, con una fotografia ispirata e a tratti hitchcockiana e un montaggio molto interessante.
Peccato per il resto: la sceneggiatura è scadente, soprattutto nella costruzione del personaggio femminile, che passa dall'essere più o meno normale a comportarsi come una pazza lunatica nel giro di due scene. La trama è debole e mal costruita, soprattutto nella prima metà, quando il film vorrebbe raccontare la parte serena del matrimonio di Mina e Jude. La pellicola si apre con una scena a tema scatologico che starebbe bene in un cinepanettone, e prosegue con una love story da operetta che, fino alla nascita del figlio, è meno appassionante di un film delle vacanze.
Nella seconda parte la tensione cresce e il film acquista in ritmo, ma cominciano i problemi di recitazione. La parte della madre è affidata a (Sci)Alba Rohrwacher, come tutti i ruoli di donne disturbate negli ultimi cinque anni di cinema italiano, che offre una prova monocorde, con un viso sempre in bilico tra pianto e disprezzo, anche quando il copione non lo richiede. Voi vi chiederete: "E perché allora le hanno dato la Coppa Volpi a Venezia?" La risposta è semplice: i giurati non l'hanno mai vista, e hanno pensato che questa prova non fosse l'esatta replica di (quasi) tutte quelle precedenti; inoltre quest'anno a Venezia c'erano solo tre film in concorso con protagoniste femminili, e la competizione non era quindi esattamente agguerrita. La recitazione della Rohrwcher affossa anche il messaggio del film sull' "amore eccessivo": il personaggio di Mina è troppo estremo, troppo sopra le righe perché si possa empatizzare con lei, perché si possa capire che la sua follia deriva da un forte amore per il figlio. La sua follia risulta solo follia, il delirio di una psicotica senza motivazioni reali né umanità. Un peccato, questo, perché l'obiettivo del film era ben altro.
La pellicola si regge quindi sulle spalle di Adam Driver, per cui passare dal set di Scorsese o del nuovo Star Wars a lavorare con la Rohrwacher deve essere stato un trauma non da poco. Driver è intenso senza essere eccessivo, naturale senza essere banale, e regala una prova commovente e vera, che fa sì che lo spettatore parteggi ancora di più per il suo personaggio.
Hungry Hearts è un film scialbo come la sua protagonista, che non emoziona e non coinvolge, se non nei momenti in cui Jude si ribella e manda a quel paese la moglie. L'unico pregio è quello di far vedere la follia cui può portare il fanatismo legato al cibo. Un film da far vedere ai vostri amici e conoscenti vegani quando vi guardano con aria critica mentre addentate una bistecca, ma purtroppo non la riflessione sull'amore genitoriale e sulla nutrizione che voleva essere.
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Pier
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