mercoledì 2 ottobre 2024

Joker: Folie à Deux

Danzare con il diavolo nel pallido plenilunio

 

Dopo gli eventi di Joker, Arthur Fleck è rinchiuso ad Arkham in attesa del processo. Un giorno conosce un’altra paziente/detenuta, Harleen “Lee” Quinzel, che gli rivela di essere una grande ammiratrice delle sue gesta e del suo “vero io”, Joker. Tra i due inizia una “follia a due”, una relazione sentimentale in equilibrio tra realtà e fantasia, fatta di numeri musicali intrisi di amore e violenza. 

Non si può certo dire che Todd Phillips manchi di coraggio. L’enorme successo di Joker era già una montagna altissima da scalare, roba da far tremare i polsi di registi più scafati e abituati al cinema d’autore. Phillips non solo non si scompone, ma rilancia, realizzando un musical psicoanalitico a tinte dark, uno splendido ibrido di generi che ci porta ancora una volta a esplorare la mente di Arthur Fleck, questa volta abitata non solo da depressione, inadeguatezza, e folle desiderio di rivalsa, ma anche dall’amore. Un amore vero, non come quello immaginario vissuto nel primo film – o almeno così sembrerebbe. Lee è innamorata di lui, lo bacia, lo loda, gli si concede, lo supporta nel suo processo, spingendolo ad abbandonare la tesi difensiva della malattia mentale per abbracciare finalmente la sua nuova identità: il volitivo, carismatico, violento Joker, anziché il timido, patetico, sottomesso Arthur. Ma è questo quello che vuole davvero Arthur? O sta solo, ancora una volta, cercando disperatamente qualcuno che lo ami?

Se il tema del primo film era raccontare le origini della follia e della violenza, ricercandone le radici nelle umiliazioni e nella sperequazione sociale, in questo film Phillips riparte dal finale di Joker: dalle rivolte che parevano fumettistiche, ma si sono rivelate tristemente reali; e dal fatto che molti hanno visto in Joker/Arthur non come un simbolo di ciò che non funziona nella società, ma un esempio da seguire. Folie à Deux racconta proprio questo, il momento in cui una persona diventa un simbolo, un’idea, che prende vita propria indipendentemente da ciò che pensa e fa chi le ha dato vita.


Laddove Joker racconta una follia individuale, il suo seguito ne racconta una collettiva e di coppia. Quello tra Arthur e Lee è un amore malato, che sconfina nell’idolatria, e rappresenta appieno il meccanismo perverso che fa sì che personaggi negativi diventino riferimenti, modelli da seguire. Arthur vorrebbe smettere di essere Joker, ma né Lee né la società glielo permettono: chi lo odia pensa che lui non possa cambiare, chi lo ama pensa che non debba vergognarsi di essere chi è. L’idea, ammonisce Phillips, sopravvive al suo portatore, e si gonfia, si deforma, diventa sempre più mostruosa. Magari scompare, per un periodo, ma poi torna, riemerge, più forte e spaventosa che mai. Folie à Deux parla del nostro quotidiano, in cui la celebre frase di Marx sembra essere stata sovvertita, con la storia che si ripete due volte, ma la seconda non è una farsa: è una tragedia ancora più cupa della prima.

Folie à Deux è un film cupo e privo di speranza, ma al tempo stesso guidato dalla speranza di essere amati, di trovare il proprio posto nel mondo. I numeri musicali riflettono questa natura ossimorica, ondeggiando tra la purezza dei sentimenti dei grandi musical hollywoodiani e l’oscurità che pervade la Gotham di Phillips. Le musiche sono solari, ma punteggiate di distorsioni; le luci sono brillanti, ma accompagnate da coreografie cupe e violente; la voce di Lee è perfetta, pulita, quella di Arthur sofferta, un sussurro di dolore che a volte si fa urlo. 

Lady Gaga offre la miglior prova attoriale della sua breve carriera nella recitazione (per onestà va anche detto che non aveva una grande montagna da scalare, per citare uno dei numeri musicali del film), mentre Phoenix è ancora una volta semplicemente strepitoso nel restituire la doppia natura di Arthur/Joker. Le sue doti canore e di ballerino sono una sorpresa, la sua capacità recitativa – a livello sia vocale che fisico – una garanzia. Il suo canto è straziante, una richiesta di aiuto che nessuno sente, il suo corpo lo specchio di una mente deformata, contorta, che vuole solo essere amata, anzi, non ambisce nemmeno a tanto: vuole solo essere vista, notata, considerata. C’è uno scambio con uno dei suoi ex colleghi clown, in tribunale, che racchiude in pochi minuti tutto il dramma di Arthur, tutto ciò che Phillips ha cercato di raccontare in questi due film, e in cui Phoenix offre uno dei tanti momenti emotivamente devastanti del film. 

Phillips osa anche nel finale, coraggioso, potente, inevitabile. Il regista non sceglie la strada facile, ma percorre fino in fondo la strada complessa, in salita, e arriva in cima alla montagna: all’orizzonte si vedono solo cenere e macerie, ma bisogna prima riconoscere il problema, a costo di passare per Cassandre, per poterlo risolvere. Folie à Deux ancora una volta usa il genere – anzi, i generi – per parlare dell’oggi, della realtà, e dei pericoli del futuro: vedremo se lo staremo a sentire, o se affonderemo, cantando e ballando mentre il mondo va in fiamme.

**** 1/2

Pier

Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.

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