mercoledì 1 marzo 2017

Logan

Quindi questo è quello che si prova



2029: i mutanti sono scomparsi e divenuti materiali per i fumetti. Logan/Wolverine è uno degli ultimi rimasti. Accudisce il professor Xavier, affetto da demenza senile, in un complesso industriale abbandonato in Messico, al confine con gli USA, aiutato dall'antico nemico Caliban. Un giorno, una donna bussa alla sua porta: ha con sé Laura, una ragazzina mutante con poteri molto simili a quelli di Logan. L'uomo dovrà decidere se aiutare Laura, scelta che comporterebbe uscire dal suo isolamento e, forse, dover fare i conti con il proprio doloroso passato.

"Quindi questo è quello che si prova": questa frase, pronunciata in un punto importante di Logan, riassume in pieno il sentimento dello spettatore nel vedere finalmente davanti a sé tutto quello che i film di supereroi, e quelli di Wolverine in particolare, non erano mai riusciti a essere. Logan non è semplicemente un film di supereroi: è un film d'autore. Di genere, certo, ma comunque d'autore, che ha poco da invidiare a perle del cinema d'azione come Mad Max: Fury Road o Léon, per citare due film che per Logan sono indubbiamente stati fonte di ispirazione.

Mangold (autore eclettico, la cui filmografia spazia da Ragazze interrotte a Kate e Leopold, passando per Quando l'amore brucia l'anima) dirige un road movie spietato, a metà tra il western e il post apocalittico, in cui la legge non esiste più e ognuno fa parte per se stesso. Al centro di tutto c'è lui, Logan, finalmente spogliato della patinatura dei primi film e restituito alla sua natura primordiale e selvaggia, il cui unico scopo è sopravvivere e proteggere i suoi cari. I mutanti sono scomparsi, i suoi poteri stanno svanendo, ma Logan è determinato a salvaguardare quel poco che resta del suo mondo, quel Professor Xavier che gli ha insegnato tutto, e il Caliban che da nemico si è trasformato in alleato di questa silenziosa difesa della propria dignità. Il passato è al tempo stesso agognato e temuto, un tempo idealizzato cui non si può più tornare e un fardello insopportabile.

Il nemico non è un supercattivo, non è un'organizzazione spietata e criminale (anche se compaiono entrambi): il vero nemico, per Logan e Xavier, sono loro stessi, quello che sono stati e ciò che sono diventati. Mangold ha il coraggio di spingere questa metafora fino alle sue estreme conseguenze, realizzando scene di raro impatto emotivo, in cui i protagonisti si trovano costantemente a fare i conti con i propri errori, e cercano disperatamente di cogliere l'occasione, forse l'ultima, di rimediare.

Logan è uno di quei rari film in cui ogni elemento si incastra alla perfezione con gli altri: la fotografia di John Mathieson è sporca, ruvida, polverosa, con il sole che brucia gli occhi e la pelle; la musica è quasi assente, in una natura aspra e selvaggia dove non sembra esserci spazio per orpelli di alcun genere; le parole sono ridotte al minimo, in una lunga fuga in cui azioni e sguardi contano più di mille dialoghi; la sceneggiatura è vincente per ritmo e introspezione, e costruisce con grande delicatezza e tempismo lo strano rapporto tra Logan e Laura, due animali selvaggi che riconoscono nell'altro un simile da amare e da temere; infine, i combattimenti e gli inseguimenti sono veri, violenti, brutali, ripresi con perizia e attenzione ai dettagli, anziché con il montaggio concitato e confusionario che caratterizza molti cinecomic. Mangold guida il tutto con grande maestria, dimostrando non solo un'ottima abilità registica, ma anche una grande sensibilità emotiva, riuscendo a creare momenti di vera commozione.

La cilegina su questa ottima torta sono i personaggi, perfetti sia per caratterizzazione che per interpretazione. Hugh Jackman porta finalmente sullo schermo un Wolverine vero, trasandato, rozzo, sporco e con il vizio del bere, arricchendolo di un tocco emotivo che all'inizio si intravede sotto la superficie, per poi emergere con prepotenza  con il passare dei minuti. Patrick Stewart è commovente nel suo ritratto dell'invecchiato Xavier, la mente più potente del mondo affetta da una malattia neurodegenerativa che gli impedisce di controllare se stesso e i suoi poteri, una pallida ombra dell'uomo che è stato, eppure ancora disperatamente determinato a salvare quelli come lui; infine, Dafne Keen è una rivelazione, una macchina da guerra nel corpo di una bambina, letale e feroce ma allo stesso tempo capace di momenti di straordinaria dolcezza. La sua Laura è il cuore pulsante del film, ed è lei a regalarci la scena più emozionante.

Logan non solo sorpassa i precedenti film su Wolverine, ma porta la narrazione del cinecomic su un piano a oggi del tutto inesplorato. Mangold realizza quello che può essere senza dubbio considerato il film di supereroi migliore tra quelli tratti dai fumetti Marvel, in grado di chiudere degnamente la parabola del più amato degli X-Men con un tocco autoriale che riesce sia a intrattenere, sia a toccare più volte le corde emotive dello spettatore, trascendendo il genere del cinecomic per diventare qualcos'altro: un grandissimo film.

*****

Pier

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