venerdì 1 luglio 2016
Alla ricerca di Dory
La forza della memoria
Un anno dopo gli eventi di Alla ricerca di Nemo, Dory vive con Nemo e Marlin sulla barriera corallina. A causa di un piccolo incidente, comincia a ricordare qualcosa del suo passato, e in particolare i suoi genitori. Decide allora di andarli a cercare, imbarcandosi in un’altra avventura in giro per l’oceano, alla ricerca della sua memoria e di se stessa.
Sono passati 13 anni da Alla ricerca di Nemo: chi era bambino allora è ormai diventato adulto, e l’animazione in computer grafica ha fatto passi da gigante, facendo “invecchiare” alcune soluzioni che al tempo sembrarono rivoluzionarie. Ci sarebbero quindi tutti gli elementi per dire che questo sequel arriva fuori tempo massimo, e che sembra più guidato da considerazioni commerciali (al netto di inflazione e sovrapprezzo 3D, Alla ricerca di Nemo è il film che ha incassato di più nella storia della Pixar) che artistiche, con tutti i rischi che questo comporta. Queste impressioni, tuttavia, vengono subito fugate fin dall’inizio del film: Andrew Stanton è tornato a occuparsi dei suoi personaggi perché aveva qualcosa di nuovo da dire, sia a livello narrativo che a livello visivo. Così, se Alla ricerca di Nemo raccontava il complesso rapporto tra padre e figlio e la necessità per i genitori di “lasciar andare” i propri figli, Alla ricerca di Dory si occupa di un tema ben più complesso: quello della memoria. Qui sta il primo colpo di genio di Stanton e compagni: prendere una caratteristica (la perdita di memoria a breve termine) che nel primo film faceva di Dory la spalla comica perfetta e farla diventare il motore dell’azione drammatica, in grado di conferire al personaggio quella gravitas e motivazione necessarie a farne la protagonista. Dory acquisisce così uno spessore drammatico sconosciuto ad altre spalle comiche divenute protagoniste (basti pensare ai Minions, o al Gatto con gli Stivali), senza per questo rinunciare alla sua irresistibile comicità dell’assurdo, tra dialoghi in balenese e geniale ingenuità. Il film racconta dunque il commovente viaggio della protagonista alla riconquista della memoria e di se stessa, ricostruendo il suo passato così come Pollicino ritrovava la strada di casa, sfruttando le poche briciole rimaste nel suo cervello e in giro per l’oceano.
La seconda innovazione narrativa del film rispetto all’originale sta nell’evoluzione della protagonista. Laddove in molti film Pixar e Disney l’eroe deve affrontare un percorso che lo porterà a cambiare la sua visione del mondo, qui accade esattamente l’opposto: è la visione del mondo di Dory, incapace per natura di concepire piani e di pensare razionalmente, che le permette di cavarsela nelle difficoltà e riconquistare la sua memoria senza per questo cambiare se stessa. Sono quelli intorno a loro a cambiare, toccati dall’eccezionalità di Dory, in un’evoluzione del racconto che ricorda più quello di film come Forrest Gump che di altri film d’animazione. “Che cosa farebbe Dory?” diventa la bussola di riferimento di tutti i personaggi del film, che si trovano a dover affrontare rocamboleschi inseguimenti in oceani, acquari, e persino in autostrada, sfidando se stessi e la propria visione del mondo.
Se dal punto di vista narrativo il film riesce a distaccarsi dal predecessore, a livello visivo alcune sensazioni di già visto sono inevitabili, e derivano più dalle caratteristiche del medium animazione che dal film stesso: l’aspetto dell’oceano non può essere diverso da quello del primo film, così come il design dei personaggi già visti. Tuttavia, Stanton non rinuncia alla sperimentazione, sia usando tecniche di ripresa per lui nuove (la ripresa in soggettiva e in piano sequenza, già usata da Bird in Ratatouille), sia lavorando su luci e atmosfere più cupe, soprattutto nelle scene in cui Dory si ritrova da sola e “persa”, sia lavorando su nuovi fondali e prospettive (le alghe del porto, le vasche dell’acquario). I nuovi personaggi funzionano abbastanza bene, con il polipo misantropo Hank che spicca per caratterizzazione sia visiva che narrativa, e i leoni marini che offrono i migliori momenti comici del film (a questo proposito, non perdetevi la scena dopo i titoli di coda).
Alla ricerca di Dory è un film ben narrato e animato splendidamente, in quanto riesce a trattare un complesso come il rapporto tra identità e memoria senza perdere di vista la comicità e l’azione, risultando così una felice rivisitazione di un universo già conosciuto, piuttosto che una frusta ripetizione delle stesse situazioni e delle stesse gag, come ormai capita sempre più spesso nei sequel d’animazione.
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Pier
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Recensione impeccabile e ricca di riflessioni sul difficiletema della memoria perduta.
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