La malia del drago
Dopo essere scampati agli Orchi, il viaggio dei Nani e dell'Hobbit Bilbo alla volta della Montagna Solitaria continua. Tra orsi mutaforma, regni elfici da superare, ragni giganti e viaggi in barile, la compagnia arriverà ai piedi della Montagna dove si cela il tesoro che sono venuti a cercare: l'Archepietra. Quando Bilbo si avventura nei meandri della Montagna per recuperarla, tuttavia, scoprirà che Smaug, il drago delle leggende è reale, e ben poco disposto a cedere il suo tesoro.
Dopo aver realizzato un primo capitolo estremamente fedele all'opera di Tolkien nel suo complesso, anche se non allo stile del romanzo da cui prende il nome, Peter Jackson cambia decisamente rotta nel prosieguo dell'avventura di Bilbo e dei suoi compagni. Se ne Un viaggio inaspettato aveva prestato un'attenzione quasi ossessiva alla fedeltà di dialoghi e situazioni, ne La desolazione di Smaug Jackson preferisce concentrarsi sulle scene d'azione, enfatizzando e spettacolarizzando quelle già presenti nell'opera originale e aggiungendone di nuove.
Questa operazione di integrazione funziona fintanto che le scene sono coerenti con l'universo tolkieniano, sia perchè tratte da altri scritti dell'autore britannico (come la visita di Gandalf a Dol Guldur, forse il momento migliore del film), sia perchè fedeli allo spirito della sua opera (come la fuga da Smaug). I problemi sorgono quando Jackson decide di dare al film un tono totalmente estraneo a quello epico della Terra di Mezzo, focalizzandosi su sentimentalismi di scarso interesse, oltre che inventati di sana pianta. All'occhio del lettore affezionato, dunque, la scelta di introdurre il personaggio dell'elfa guerriera Tauriel risulta del tutto errata. Le sue scene sono del tutto pleonastiche e, se da un lato aumentano il dinamismo della trama, dall'altro tradiscono lo spirito dell'opera tolkeniana, mortificandola con una storia d'amore improbabile e del tutto inutile che finisce solo per allungare i tempi di una storia già densa.
I difetti della trama, tuttavia, vengono più che compensati da fotografia, scenografia e costumi, i veri punti di forza delle trasposizioni cinematografiche di Jackson. Il regista neozelandese si dimostra ancora una volta un narratore eccellente, capace di ammaliare lo spettatore e trasportarlo nella Terra di Mezzo attraverso ricostruzioni accurate, personaggi ben costruiti (il Re degli Elfi Thranduil su tutti) e un uso sapiente della computer grafica, che raggiunge l'eccellenza nella realizzazione del drago. Smaug ruba la scena alle sue controparti fisiche in ogni momento, sia grazie al suo aspetto, orribile e imponente, sia grazie alla voce, suadente e terribile, prestata alla perfezione da Benedict Cumberbatch che, ahimè, non avremo modo di ascoltare nell'edizione italiana.
Jackson corregge molti dei difetti riscontrati nella prima opera in termini di ritmo e struttura della trama, aiutato anche dalla varietà di personaggi e ambientazioni forniti dalla porzione di libro da cui il film è tratto. Quello che risulta deludente, tuttavia, è la scelta di integrare il materiale con scene del tutto estranee alle opere di Tolkien, che finiscono per spezzare quella magia e quel senso di stupore che colgono lo spettatore in ogni altro momento del film: una scelta a mio avviso sbagliata, che da un lato farà storcere il naso ai puristi, ma dall'altro contribuisce ad alzare il ritmo della trama, rendendo il film più appetibile e interessante per i non puristi.
** 1/2
Pier
devo ancora vederlo
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