mercoledì 3 settembre 2025

Telegrammi da Venezia 2025 - #5

Quinto telegramma da Venezia, tra adattamenti sontuosi ma forse evitabili, thriller politici e apocalittici, manoscritti di valore inestimabile, dive annacquate, e la voce di un genocidio.


Lo Straniero (Concorso), voto 6. Ozon realizza un adattamento del romanzo di Camus visivamente sontuoso, con un bianco e nero a contrasti forti che evidenzia lo straniamento del protagonista, la sua mancanza di interessi, di valori, di morale. Ciò che manca, tuttavia, è la capacità di adattamento: il romanzo viene trasposto quasi letteralmente, ma ciò che su carta è efficace e poetico risulta artificioso e retorico su pellicola. Già Luchino Visconti si era cimentato con Lo straniero nel 1967, un adattamento considerato poco riuscito: Morando Morandini accusò il film di aver rincorso "inutilmente una fedeltà illustrativa alla lettera di Camus, impotente a ricrearne lo spirito." Questo commento è ancora più vero per il film di Ozon, che dura quindici minuti in più di quello di Visconti (e si sentono tutti), due ore di durata per un libro di poco più di cento pagine (nell'edizione italiana). Il regista francese si perde in un letteralismo ancora più esasperato, e si salva, come detto, solo grazie al comparto visivo e agli attori, tutti ottimi. 
Non è abitudine di questo blog mettere in discussione la decisione di un regista di trattare un determinato argomento: solitamente ne prendiamo atto e ci limitiamo a valutare se l'obiettivo che il regista si prefiggeva sia stato o meno raggiunto. Viene però da chiedersi se il capolavoro di Camus sia adattabile al cinema, visto il doppio fallimento di due maestri, o se la sua forza risieda in una poesia e filosofia che al cinema sono difficili da trasporre.

A House of Dynamite (Concorso), voto 7. L'inizio del thriller politico di Kathryn Bigelow è fulminante: scene che si interconnettono, funzionari governativi, politici, e militari che realizzano che un missile nucleare di origine sconosciuta sta per colpire gli Stati Uniti, e cercano disperatamente di impedirlo. Esistono protocolli, procedure, ma non sono attrezzati per la realtà, non tengono conto delle reazioni umane, troppo umane, di chi dovrebbe implementarli. Bigelow si muove tra i vari uffici con un ritmo e un piglio degno di The West Wing, e la tensione è altissima, così come la sensazione di ineluttabilità. Poi, però, tutto si resetta, e non per una, ma per ben due volte: i punti di vista si moltiplicano, ma raccontano sempre gli stessi minuti, gli stessi identici eventi, semplicemente da punti di vista diversi. Con la ripetizione, la tensione, inevitabilmente, cala, soprattutto nel secondo atto, quello forse più facilmente eliminabile. Risale un po' nel terzo, anche grazie al focus sul presidente (un ottimo Idris Elba), ma è troppo tardi. Un vero peccato per un thriller apocalittico che sembra avere la forza di una profezia, sperando che Bigelow sia falsa profeta e non Cassandra. Finale sospeso e coraggiosissimo, ma in parte depotenziato da una scelta fatta nel primo atto.

In The Hand of Dante (Fuori Concorso), voto 4. L'unico aggettivo che si può utilizzare per questo film è "inspiegabile": inspiegabile che un maestro come Julian Schnabel abbia deciso di realizzare un lavoro così arzigogolato, con due piani narrativi connessi solo alla lontana e una tensione praticamente assente; ancora più inspiegabile che lo abbia realizzato in modo così retorico e verboso, con scene che sfociano direttamente nel ridicolo involontario, soprattutto nel finale. Peccato perché qualche spunto interessante, soprattutto nella storia ambientata nel presente (i gangster che danno la caccia alla copia autografa della Divina Commedia), c'era: ma il resto è una catabasi che non esce mai a riveder le stelle.

Duse (Concorso), voto 5. Un film su Eleonora Duse, la Divina del teatro italiano, un'attrice carismatica, dal carattere dirompente, nasce e muore con la sua interprete. Se si vuole raccontare la Duse, una donna in anticipo sui tempi, in grado di tenere testa e rubare il cuore a Gabriele D'Annunzio, che non ebbe paura di sfidare e distruggere le convenzioni, non ci si può permettersi di sbagliare il casting dell'attrice principale. Purtroppo questo è ciò che succede nel film del solitamente bravo Pietro Marcello: Valeria Bruni Tedeschi, non sappiamo se per scarsa attitudine, indicazioni registiche, o ambedue, dà vita a una Duse anonima, una vecchietta svampita tutta sorrisi e moine che scompare in scena quando dovrebbe dominarla (emblematiche in tal senso le scene con D'Annunzio e Sarah Bernhardt, epigona francese della Duse, talmente dominate dalle due controparti che ci si dimentica della presenza dell'attrice italiana), e che non restituisce alcunché della grandezza teatrale della Duse, che rivoluzionò il modo di stare sul palco e preparare un personaggio. Anche la sceneggiatura non ingrana, azzoppata da una retorica eccessiva che funziona quando viene messa in bocca a D'Annunzio e ai teatranti, ma risulta stucchevole e fuori posto quando viene ripetuta anche per personaggi "quotidiani" come la figlia e l'assistente della Duse. Fotografia e regia sono ottime, e anche il tentativo di parlare dell'orrore della guerra e della medicina sperata (l'arte, il teatro) da Duse e D'Annunzio, rispetto a quella realmente arrivata (l'olio di ricino del fascismo) è interessante: ma il film è come un'automobile senza ruote.

The Voice of Hind Rajab (Concorso), voto 9. La storia vera di Hind Rajab, bambina palestinese sopravvissuta a un attacco israeliano, e del tentativo di salvarla da parte della Mezzaluna Rossa, viene raccontata con una commisione di audio reali e scene ricostruite. Un film devastante per impatto emotivo, che deve la sua forza alla vicenda narrata ma anche alla sapienza della confezione filmica. Il film è, ovviamente, molto attuale, ma è al tempo stesso universale: perché in ogni guerra, in ogni persecuzione fatta solo per etnia e nazionalità, c'è sempre una bambina che rimane sola e cerca disperatamente aiuto, e c'è sempre chi cercherà di portarglielo nonostante tutte le difficoltà. Qui trovate la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Pier

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