Un pesce fuor d'acqua
Un famoso proverbio recita che è meglio essere un grande pesce in un lago che un piccolo pesce in un oceano: una pillola di saggezza popolare che il nuovo Ant-Man sembra aver del tutto ignorato. Il successo dei precedenti film dell'Uomo Formica (qui e qui trovate le recension) stava proprio nella differenza di scala: laddove gli altri eroi si trovavano sempre ad affrontare minacce cosmiche e apocalittiche, le sue avventure erano più piccole, focalizzate sulla famiglia e su pericoli molto più concreti e immediati. Erano, insomma, le avventure di un amichevole Ant-Man di quartiere, che procedevano sui toni della commedia d'azione e avevano fatto sì che Ant-Man avesse una sua immagine distintiva all'interno del calderone supereroistico Marvel - uno dei pochi ad averla mantenuta, dopo un inizio in cui lo studio capitanato da Kevin Feige aveva invece spinto molto in questa direzione - e che questa immagine spiccasse anche nei film corali come gli ultimi due Avengers, e nell'ultimo in particolare.
Peyton Reed prova a mantenere il focus famigliare anche in questo film, mettendo al centro il passato sconosciuto di Janet van Dyne nel Regno Quantico e, soprattutto, il rapporto tra Scott e la figlia Kathryn, ormai adolescente. L'impresa, tuttavia, è improba e, nonostante il cuore emotivo del film riesca comunque a funzionare, nel complesso fallisce. La mancanza della consueta ambientazione urbana a favore del fantastico Regno Quantico alza in automatico le aspettative e la posta in gioco, oltre a spazzar via quella dimensione quotidiana che era invece il cuore dei film precedenti.
Ciò che fagocita l'anima del film, tuttavia, è la scelta di introdurre il Thanos della Fase Cinque, ovvero Kang il Conquistatore: impossibile raccontare una storia intima quando il tuo nemico è uno dei villains più potenti dell'Universo Marvel e la nemesi attorno a cui ruoteranno tutti i prossimi film. La posta in gioco, giocoforza, si alza, lo scontro assume dimensioni apocalittiche, e il piccolo Ant-Man finisce per affogare in un oceano di computer grafica in cui sembra costantemente fuori posto, sballottato da una parte all'altra in un territorio troppo diverso da quello cui ci aveva abituato.
La scelta è doppiamente fallimentare perché finisce per sminuire lo stesso Kang, che risulta molto meno minaccioso di quel che dovrebbe: la sua forza è nelle parole più che nelle azioni, e parte della scarsa credibilità sta proprio nel fatto che il suo avversario non è esattamente l'eroe più potente che ci sia. Senza fare spoiler, se proprio serviva un'avventura nel Regno Quantico, il personaggio di Bill Murray sarebbe stato un antagonista molto più adatto.
Il film dimostra grande creatività visiva nella creazione degli alieni e degli ambienti, superando quella del tanto decantato Avatar 2. Tuttavia, quello che vediamo ricorda più una serie di pianeti alieni (palesi alcune citazioni/omaggi a Star Wars) che un regno subatomico, e rende ancora più grande la perplessità nell'aver scelto di ambientare qui la nuova avventura di Ant-Man e di situare proprio qui il regno di Kang il Conquistatore: se si voleva un'ambientazione spaziale, forse i Guardiani della Galassia potevano essere una scelta più consona come primi avversari del nuovo supervillain.
Se, come dicevamo, il cuore emotivo del film si salva lo si deve soprattutto agli attori, con in testa il sempre ottimo Paul Rudd e Michelle Pfeiffer, protagonista inattesa (la Wasp del titolo de facto è lei, con Evangeline Lily che fa esclamare "Ah, ma c'era anche lei?" ogni volta che ricompare dopo minuti e minuti di tappezzeria) ma efficace. Jonathan Majors sembra recitare in un film a parte, ed è un peccato: il suo Kang è shakespeariano, magnetico, soave nella voce e tonitruante nei modi, anche grazie a una fisicità poderosa evidente nelle scene di combattimento. Cosa c'entri in un film di Ant-Man andrebbe chiesto a Feige & co.
Ant-Man and the Wasp - Quantumania intrattiene per tutta la sua durata, ma lascia fortemente perplessi per la distonia tra il protagonista e la sua storia da una parte e minaccia e ambientazione dall'altra. Il risultato è un film insoddisfacente, che non arriva al cuore e spreca tante belle idee che avrebbero meritato miglior fortuna. La notizia è che, se tanti indizi fanno una prova, il MCU sembra aver perso la bussola, con i vari pezzi che non si incastrano più in modo armonioso come durante le prime tre fasi: per tornare al proverbio citato in apertura, la sensazione è che il Multiverso si stia rivelando un oceano troppo grande anche per un pesce abituato al mare aperto come la creatura di Kevin Feige.
** 1/2
Pier
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