lunedì 22 febbraio 2010

Il figlio più piccolo

Un dramma attuale: graffiante a metà


Christian De Sica è Luciano Baietti, un imprenditore che, immediatamente dopo le nozze con un'umile donna bolognese, parte con un amico contabile per cercar fortuna a Roma. Dopo 15 anni, Luciano si trova a capo di una grande impresa di costruzioni, invischiato in problemi fiscali e legali. Per sfuggire da un'accusa di evasione, Luciano si sposa con un'importante intrallazzatrice locale e scarica tutta la proprietà aziendale al suo figlio più piccolo, ingenuotto e sognatore. Il colpo non gli riesce perché viene comunque arrestato, e dopo il rilascio, in una specie di pentimento collettivo, ritorna dalla sua prima moglie coronando un'esagerato happy ending.

Gli argomenti sono attuali, e fino a metà film sono trattati con la serietà e la crudezza che meritano. E' potente il contrasto tra Luciano, un Christian De Sica in grande spolvero (davvero), pronto a tutto per salvare il suo gruppo costruito su società fasulle e riciclaggio di denaro (stile Fastweb) e il figlio più piccolo, di un'ingenuità disarmante, un John Belushi moderno con tanto cuore e poca arroganza. Il contrasto funziona anche grazie ai comprimari: Zingaretti da una parte, consigliere freddo gelido che dopo 15 anni dà ancora del lei a Luciano, e il personaggio di Laura Morante, sempre più la migliore attrice italiana, caratterizzata da una bontà genuina e emozionante.

Il punto critico di una società esasperata dal successo e dai soldi, de-moralizzata nei suoi intenti e abituata all'illegalità nel suo operare, si smorza nel finale quando la cattiveria lascia lo spazio al pentimento. Avati ha anticipato gli avvenimenti di queste ultime settimane, ma inserisce un buonismo alla vicenda che come abbiamo visto non trova assolutamente riscontro nella realtà.

Il giustificazionismo è quello a cui siamo stati abituati ed è probabilmente quello che avremmo voluto vedere a conclusione di un film che davvero poteva essere il ritratto dell'Italia moderna e sorniona.

Detto questo il film è forte e Avati si conferma il regista più camaleontico, capace passare da una commedia sulle vicende di un bar di città, al dramma di una difficile epoca storica. Tutto questo con l'energia di un ragazzino e l'esperienza dell'artista maturo.

***
Alessandro

1 commento:

  1. Troppo buono. A mio parere un film deludente da tutti i punti di vista

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