La creatività dell'orrore
Dopo gli eventi raccontati in No Way Home, Stephen Strange si trova nuovamente a dover fare i conti con il Multiverso quando una ragazzina, America Chavez, con il potere di viaggiare tra i vari universi fa capolino nel suo, inseguita da un nemico senza nome. Strange capisce che non potrà proteggere la ragazzina da solo, e chiede quindi aiuto a una strega potente quanto o più di lui: Wanda Maximoff.
Spesso negli ultimi anni abbiamo scritto che, dopo una partenza all'insegna della diversificazione, l'universo cinematografico Marvel si sia lentamente spostato verso una standardizzazione visiva e narrativa - una formula che, pur portando indubbi risultati commerciali, deprimeva o uccideva del tutto la creatività (per chi fosse interessato, qui trovate un'analisi più estesa). Persino i due recenti capitoli che provavano a rilanciare l'idea di "un'anima diversa per ogni film", Shang-Chi e The Eternals, finivano per ricadere nelle pastoie narrative imposte dalla Formula, ormai mostro mitologico in grado di divorare ogni forma di individualismo, un Impero spaziale destinato a soggiogare tutto e tutti.
Doctor Strange nel multiverso della follia è il sussulto dell'Alleanza Ribelle: un film creativo, con un'impronta autoriale inconfondibile e un approccio al genere supereroistico personale e, a tratti, addirittura radicale. E fa sorridere che questa boccata d'aria fresca arrivi per mano di colui che ha indirettamente dato inizio al tutto, quel Sam Raimi che diresse il primo Spider-Man ormai vent'anni or sono. Raimi riprende l'idea originale della Marvel di declinare ogni personaggio secondo un preciso genere cinematografico, ma la porta alle estreme conseguenze.
Il Multiverso della follia è un film horror con personaggi Marvel, non un film Marvel in salsa horror. Lo si vede dalla trama, di fatto un lungo slasher con le vittime che devono sfuggire al mostro/carnefice che sembra onnipotente e immortale; dalle citazioni, che accanto agli immancabili momenti di fan service (uno addirittura è un momento di meta fan-service, dove un personaggio molto amato è interpretato da un attore amatissimo... per tutt'altro, e un altro personaggio entra in scena con una musica associata al suo personaggio... su un altro medium) accumula citazioni ai classici del genere. Carrie è chiaramente l'ispirazione più forte, ma fanno capolino anche altri classici come L'Esorcista, La notte dei morti viventi e, ovviamente, L'armata delle tenebre. Fa pure capolino una citazione in salsa horror della celebre scena degli specchi de La signora di Shanghai.
A livello visivo, Raimi seppellisce la bibbia dell'uniformità fotografica del MCU e realizza un film lisergico, psichedelico e allucinato, riprendendo l'elemento più convincente del primo capitolo dedicato all'ex Stregone Supremo e moltiplicandolo per cento: inquadrature oblique, prospettive "dall'interno" del personaggio, zoom, tutto contribuisce a una corsa folle, paurosa e macabra, tra morti viventi, doppioni, omicidi efferati, e moltissimi momenti da salto sulla sedia. I multiversi sono di una creatività sorprendente, anche se di molti vediamo, purtroppo, solo rapide immagini, perché il treno di Raimi non si ferma (quasi) mai. La musica di Danny Elfman è senza dubbio alcuno lo score più originale e creativo sentito nel MCU da secoli a questa parte, ed è perfetto complemento delle immagini, divenendo persino elemento della trama in una delle scene più follemente audaci del film.
La sceneggiatura di Michael Waldron è complessa, articolata, non lineare: tutto il contrario delle strutture narrative dei capitoli precedenti, dove tutto era immediatamente chiaro e, nel dubbio, veniva rispiegato. Qui l'azione inizia in medias res, senza presentazioni, spiegazioni, nulla, e scarta continuamente di lato, sovvertendo aspettative, muovendosi tra luoghi e universi a velocità vorticosa, permettendosi scelte coraggiose in un film di intrattenimento di massa. Certo, alcuni snodi della trama non sono proprio credibili, alcune spiegazioni sono comunque non necessarie, e il film è particolarmente "per iniziati" al MCU rispetto agli standard (tradotto: se non avete visto WandaVision, leggete quantomeno un riassunto). Però è tale la freschezza, l'entusiasmo contagioso, il desiderio di stupire che traspare da ogni scena e snodo di trama (Waldron viene dalla scuola di Dan Harmon, tra Community e Rick e Morty, e si vede), che questi difetti si perdonano facilmente.
Gli attori si prestano all'ottovolante raimiano con grande entusiasmo e partecipazione: Cumberbatch sembra nato per interpretare l'ex Stregone Supremo, Rachel McAdams ha finalmente lo spazio che non aveva avuto nei film precedenti, Xochitl Gomez offre un'ottima prova d'esordio. A brillare più di tutti, tuttavia, è la Wanda/Scarlett Witch di Elizabeth Olsen, che offre una prova profonda, sfaccettata, un'esplosione di rabbia, follia e umano dolore che raramente si vede in un film di questo genere. La Olsen riesce a restituire l'enorme fragilità che si cela dietro la sua furia e la sua onnipotenza, e allo stesso tempo la fiera determinazione nel perseguire il suo obiettivo.
Doctor Strange nel multiverso della follia è un film sicuramente imperfetto, ma coraggioso, creativo, un anelito di vita e di diversità in un franchise che sembrava vivere di ripetizioni di successo. Proprio per questo, rischia di piacere meno al pubblico, ma è una gioia per gli occhi e la mente vedere Raimi che dà fondo al suo bagaglio dei trucchi del geniale prestigiatore dell'orrore, trascinando lo spettatore in un ottovolante da casa stregata che intrattiene e, soprattutto, stupisce.
**** 1/2
Pier