sabato 6 settembre 2025

Venezia 2025 - Il Totoleone

Siamo giunti al termine di un'altra Mostra del Cinema, segnata da clima capriccioso, biciclette, spritz, cene rapidissime, e critici buongustai in panama bianco. L'edizione numero 82 della Mostra è stata di altissimo livello, come testimoniato dai giudizi medi dei critici, solitamente avari di lodi, ma che qui hanno bocciato appena cinque dei film in Concorso, e solo uno severamente. Le vette sono state almeno quattro, e i picchi negativi, come detto, si contano sulle dita di una mano, e forse nemmeno quella. Anche quest'anno Alberto Barbera ha confezionato un'ottima selezione, e c'è chi spera che il suo mandato, in scadenza il prossimo anno, possa venire rinnovato ancora (anche per alternative che non invitano all'entusiasmo).

È stata una Mostra di attualità, tra film che parlano del rapporto uomo-natura (Bugonia, Silent Friend), film sul capitalismo e come sta distruggendo il mondo del lavoro (sempre BugoniaÀ Pied d'œuvre - At Work, No Other Choice), film di attualità politica (Il Mago del Cremlino, A House of Dynamite), film su guerre e genocidio (The Voice of Hind Rajab). Ci sono stati anche film che, attraverso vicende personali, han provato a raccontare il passato (Orphan, Duse, The Testament of Ann Lee) e film che raccontano i demoni interiori dell'essere umano (Elisa, Frankenstein, e The Smashing Machine).

Qui trovate un elenco, con voti, dei film visti. Di seguito, invece, trovate i pronostici, come sempre sbagliati, per il Leone d'Oro e gli altri premi, corredati dalle mie preferenze personali.


Premio Mastroianni per il miglior attore emergente
Come lo scorso anno, i candidati per questo premio non sono tantissimi. Puntiamo su Bojtorján Barábas, dato favorito da molti per la sua intensa interpretazione in Orphan. Non avendo, purtroppo, visto il film, la mia scelta personale ricade sui protagonisti del terzo episodio di Father Mother Sister Brother, Indya Moore e Luka Sabbat.
PronosticoBojtorján Barábas, Orphan
Scelta personaleIndya Moore e Luka Sabbat, Father Mother Sister Brother

Coppa Volpi maschile
Sfida molto accesa, con tantissimi pretendenti: dall'ottimo Dwayne Johnson di The Smashing Machine, Paul Dano per Il Mago del Cremlino, Jesse Plemons per Bugonia, Lee Byung-hun per No Other Choice, e, perché no, anche Toni Servillo per La Grazia. Il pronostico, però, ricade su George Clooney, senza la cui prova dolente e malinconica Jay Kelly non avrebbe ragione di esistere. Su di lui ricade il mio pronostico, mentre la mia scelta personale va a Lee Byung-hun, poliedrico padre di famiglia.
PronosticoGeorge Clooney, Jay Kelly
Scelta personaleLee Byung-hun, No Other Choice

Coppa Volpi femminile 
Sfida molto meno accesa di quella per la Coppa maschile, con sole tre attrici davvero in lizza - vuoi per mancanza di alternative, vuoi per alternative (come Emma Stone in Bugonia) non così chiaramente protagoniste. Sarà quindi una lotta a tre tra Barbara Ronchi per Elisa, Valeria Bruni Tedeschi, incredibilmente apprezzata nelle paludi antiche della critica italiana in Duse, e Amanda Seyfried ne Il Testamento di Ann Lee. Non avendo visto quest'ultimo, concentro su Barbara Ronchi e la sua espressione ipnotica pronostico, scelta personale, e speranze di non far rigirare nella tomba la Divina Eleonora Duse.
Pronostico: Barbara Ronchi, Elisa
Scelta personale: Barbara Ronchi, Elisa

Leone d'Argento (Miglior Regia) 
Scelta molto difficile visto l'altissimo livello dei film in concorso. Sembra difficile, considerando anche l'ottima accoglienza avuta dalla critica statunitense, mandare a casa Paolo Sorrentino a mani vuote: il suo film fatto di politica "alta" (talmente alta che alcuni l'hanno definito un fantasy, perché politici del genere non esistono) potrebbe fare breccia anche nei cuori dei giurati d'oltreoceano, e aggiudicarsi uno dei premi più ambiti. La mia scelta personale ricade invece su Park Chan-wook, che dipinge cinema nella sua commedia nera a sfondo lavorativo. Anche Lanthimos meriterebbe con Bugonia, ma ha già vinto il Leone e può accontentarsi di partecipare.
Pronostico: Paolo Sorrentino, La Grazia
Scelta personale: Park Chan-wook, No Other Choice

Gran Premio della Giuria 
Il favorito per il secondo premio più importante sembrerebbe essere Silent Friend: un film poetico ma divertente, introspettivo ma anche univerale, che parla di natura ma anche relazioni umane. Se vincesse ne sarei felice: ci sono (pochi) film migliori, ma questo è uno dei tre film che mi ha toccato il cuore in questa Mostra. Tuttavia, penso che un altro film del cuore, Father Mother Sister Brother, possa aver fatto breccia anche in Alexander Payne, presidente di giuria che da sempre racconta personaggi "rotti" che cercano disperatamente di uscire dalla propria solitudine, spesso senza riuscirci. All'elegia di Jarmush va il mio pronostico, mentre la mia scelta personale va al terzo film del cuore, un film che il cuore me lo ha rotto: The Voice of Hind Rajab.
PronosticoFather Mother Sister Brother
Scelta personaleThe Voice of Hind Rajab

Leone d'Oro 
Se il concorso è di alto livello, la sfida per il Leone si fa incerta e combattutissima. Uno qualunque dei film già citati come "papabili" per i due premi precedenti potrebbe vincere il Leone d'Oro, e non ci sarebbe nulla da dire. Penso però che il Leone se lo aggiudicherà la storia a più alto impatto emotivo della Mostra, sia per il tema, sia per una regia senza fronzoli ma perfetta per il tipo di racconto che aveva in mente: The Voice of Hind Rajab. La mia scelta personale ricade invece sul gioiellino di Jim Jarmush: un film solo apparentemente piccolo, ma grande nella sua capacità di parlare di Vita.
Pronostico: The Voice of Hind Rajab
Scelta personale: Father Mother Sister Brother

È tutto anche per quest'anno. Correte in SNAI a scommettere sull'opposto dei miei pronostici, e noi ci risentiamo per l'edizione 2026.

Pier

Telegrammi da Venezia 2025 - #8: Il Riassunto

Ultimo telegramma da Venezia 2025, con l'elenco di tutti i film visti del concorso e i relativi voti.


Quando il voto era pari, ho messo davanti il film che ho preferito. Cliccando il titolo potete leggere la recensione breve pubblicata nei Telegrammi precedenti.

  1. No Other Choice, voto 9.
  2. The Voice of Hind Rajab, voto 9.
  3. Bugoniavoto 9
  4. Father Mother Sister Brother, voto 8.5
  5. Silent Friend, voto 8.5
  6. Il Mago del Cremlino, voto 8
  7. Frankenstein, voto 7.5
  8. The Smashing Machine, voto 7.5
  9. La Grazia, voto 7.5
  10. A House of Dynamite, voto 7
  11. Elisa, voto 7
  12. Un film fatto per Bene (Bravo Bene!), voto 7.
  13. À pied d'œuvre - At Work, voto 6.5
  14. Sotto le Nuvole, voto 6.5
  15. Jay Kelly, voto 6.5
  16. Lo Straniero, voto 6
  17. Nühai - Girl, voto 6.
  18. Duse, voto 5
Non visti: OrphanThe Testament of Ann Lee, The Sun Rises on Us All.

Per i telegrammi è tutto, a più tardi per i pronostici.

Pier

Telegrammi da Venezia 2025 - #7

Settimo telegramma da Venezia, tra tuffi nella testa di un'assassina, alberi che osservano le nostre vite, film su film che non si sono fatti, festival di grande musica e coesione sociale, favole distopiche, e un Minority Report in salsa francese.


Elisa (Concorso), voto 7. Di Costanzo realizza un film carcerario che è per gran parte efficacissimo, una fredda e impietosa discesa nella mente di un'assassina, sorretto da una fotografia algida e distante e da un cast eccezionale capitanato da Barbara Ronchi. Tuttavia il film perde forza e potenza (e guadagna inutilmente in durata) per inseguire delle pulsioni da televisione nazionalpopolare in cui tutto deve essere spiegato e tutti i personaggi devono piacere al pubblico. Peccato, ma il talento resta. Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Silent Friend (Concorso), voto 8.5. Un albero di ginkgo biloba domina il cortile di un'università medioevale tedesca, e osserva silenzioso tre storie che si dipanano su più di un secolo: quella della prima donna ammessa all'università, quella di due ragazzi che cercano di comunicare con un geranio, e quella di un neuroscienziato (Tony Leung) che cerca di tracciare paralleli tra il nostro cervello e il pensiero della pianta. Ildiko Enyedi realizza un film lirico ma anche divertente, una splendida meditazione sul nostro rapporto con la natura, ma soprattutto su cosa significhi comunicare con "l'altro" - l'albero, ma anche le persone - e sul nostro insopprimibile desiderio di farlo. L'albero è quasi un alieno (si pensa spesso a un film diversissimo eppure simile come Arrival, durante la visione) che osserva le nostre vite effimere e i nostri tentativi di creare una connessione - tra noi, e con lui, attraverso i secoli. Alla regista ungherese riesce l'impresa di trovare il delicato equilibrio tra riflessione filosofica e narrazione, e nel farlo ci regala un film evocativo e misterioso, che lascia lo spettatore con una sensazione di pace e compiutezza, ma anche di leopardiana inadeguatezza di fronte all'infinito.

Un film fatto per Bene (Bravo Bene!) (Concorso), voto 7. Maresco realizza una riflessione metacinematografica su arte, cinema e depressione eclettica e folle, in cui reale e finzione si mescolano al punto che diventa impossibile distinguerli. Il film su Carmelo Bene diventa un delirio, una meditazione, un non-film che avrebbe fatto contento il grande artista cui è dedicato. Moresco mette se stesso (o una versione cinematografica di se stesso?) davanti alla telecamere e regala un racconto volutamente sconclusionato ma divertente e ispirato, l'ennesima riflessione sulla Sicilia, sull'Italia, e sull'eredità (tradita o raccolta) di un grande artista come Bene, che ne avrebbe apprezzato il taglio nichilista, misterioso e senza risposte.

Newport and the Great Folk Dream (Fuori Concorso), voto 8.5. Un magnifico documentario fatto di sole immagini d'archivio che racconta gli anni di gloria del festival di musica folk di Newport, che lanciò tra gli altri Bob Dylan e Joan Baez. Il film racconta alla perfezione le radici democratiche e sociali del festival, che pagava tutti alla stessa maniera e dava spazio a tutte le tradizioni musicali degli USA, permettendo un incontro tra generazioni ed etnie diversissime. Si creava così non solo un terreno fertile per la contaminazione artistica e la creatività, ma un punto di incontro dove si superavano tutte le divisioni civili e sociali che allora come oggi laceravano gli Stati Uniti. Un'utopia durata solo pochi anni, prima che il commercio prendesse il sopravvento, che ha però permesso lo sviluppo di idee di pace e solidarietà. Qui la recensione completa scritta da Nonsolocinema.

100 Nights of Hero (Settimana della Critica), voto 7.5 Bizzarro incrocio tra Le mille e una notte The Handmaid's Tale, ma girato con il piglio di Emerald Fennell: Julia Jackman, all'esordio alla regia, crea un'intera mitologia per un mondo che è diverso dal nostro eppure simile, in cui gli dei influenzano la vita degli essere umani e creano la religione come strumento di oppressione femminile. Il risultato è una divertente fiaba distopica sul potere delle storie e della conoscenza come fonte di libertà ed emancipazione, femminile ma non solo, con un bellissimo finale.

Chien 51 (Fuori Concorso), voto 6. In un futuro prossimo, Parigi è divisa in zone, e l'intelligenza artificiale Alma aiuta la polizia a risolvere e prevenire i crimini. L'omicidio del creatore di Alma e la successiva indagine, tuttavia, rivelano che qualcosa è fuori posto. Un noir distopico molto classico realizzato molto bene a livello tecnico, anche se avrebbe beneficiato da una maggiore attenzione alla sceneggiatura, a tratti molto prevedibile. La tematica, tuttavia, è rilevante, e purtroppo non troppo distante dalla realtà.

Pier

giovedì 4 settembre 2025

Telegrammi da Venezia 2025 - #6

Sesto telegramma da Venezia, tra bambine lasciate a se stesse, malavitosi con ambizioni letterarie, regine del cotone, donne che lottano con i debiti, e guerriglie urbane.


Nühai - Girl (Concorso), voto 6. Il racconto dell'infanzia tormentata di una bambina taiwanese, ignorata dai genitori, che trova se stessa nell'amicizia con una coetanea, anche se il dolore dell'abbandono, una volta subito, non scompare, ma scava dentro. L'attrice cinese Shu Qi firma un buon esordio alla regia, che non brilla per originalità ma tocca le corde emotive giuste, con alcuni momenti nella natura molto lirici.

Ammazzare Stanca (Spotlight), voto 6. Una storia di mafia poco convenzionale, ambientata al Nord, con un figlio di boss pentito che vuole cambiare vita diventando uno scrittore. Daniele Vicari racconta la storia con un buon mix di divertimento e tensione. Ottima prova corale del cast.

Cotton Queen (Settimana della Critica), voto 9. Un'adolescente si trova a lottare contro i tentativi stranieri di strappare al suo villaggio il controllo del commercio del cotone. Un film che parla di politica senza essere politico, affrontando la tensione tra tradizione e desiderio di modernità in Sudan attraverso una moltiplicazione delle prospettive che nasconde, fino all'ultimo, quale sia la verità.

Vainilla (Giornate degli Autori), voto 6.5. Racconto corale di una famiglia messicana tutta al femminile che lotta per non soccombere ai debiti, visto dagli occhi della bambina di casa, la cui interpretazione dà luce e vita al film.

Notte a Caracas (Spotlight), voto 7. Caracas, 2017. Una donna si trova intrappolata in casa mentre in strada impazza la guerriglia, il cui suono domina la scena. Un racconto storico efficace e teso, che attraverso una storia personale fa comprendere quale fosse la situazione sociopolitica in Venezuela in quegli anni.

Simone

mercoledì 3 settembre 2025

Telegrammi da Venezia 2025 - #5

Quinto telegramma da Venezia, tra adattamenti sontuosi ma forse evitabili, thriller politici e apocalittici, manoscritti di valore inestimabile, dive annacquate, e la voce di un genocidio.


Lo Straniero (Concorso), voto 6. Ozon realizza un adattamento del romanzo di Camus visivamente sontuoso, con un bianco e nero a contrasti forti che evidenzia lo straniamento del protagonista, la sua mancanza di interessi, di valori, di morale. Ciò che manca, tuttavia, è la capacità di adattamento: il romanzo viene trasposto quasi letteralmente, ma ciò che su carta è efficace e poetico risulta artificioso e retorico su pellicola. Già Luchino Visconti si era cimentato con Lo straniero nel 1967, un adattamento considerato poco riuscito: Morando Morandini accusò il film di aver rincorso "inutilmente una fedeltà illustrativa alla lettera di Camus, impotente a ricrearne lo spirito." Questo commento è ancora più vero per il film di Ozon, che dura quindici minuti in più di quello di Visconti (e si sentono tutti), due ore di durata per un libro di poco più di cento pagine (nell'edizione italiana). Il regista francese si perde in un letteralismo ancora più esasperato, e si salva, come detto, solo grazie al comparto visivo e agli attori, tutti ottimi. 
Non è abitudine di questo blog mettere in discussione la decisione di un regista di trattare un determinato argomento: solitamente ne prendiamo atto e ci limitiamo a valutare se l'obiettivo che il regista si prefiggeva sia stato o meno raggiunto. Viene però da chiedersi se il capolavoro di Camus sia adattabile al cinema, visto il doppio fallimento di due maestri, o se la sua forza risieda in una poesia e filosofia che al cinema sono difficili da trasporre.

A House of Dynamite (Concorso), voto 7. L'inizio del thriller politico di Kathryn Bigelow è fulminante: scene che si interconnettono, funzionari governativi, politici, e militari che realizzano che un missile nucleare di origine sconosciuta sta per colpire gli Stati Uniti, e cercano disperatamente di impedirlo. Esistono protocolli, procedure, ma non sono attrezzati per la realtà, non tengono conto delle reazioni umane, troppo umane, di chi dovrebbe implementarli. Bigelow si muove tra i vari uffici con un ritmo e un piglio degno di The West Wing, e la tensione è altissima, così come la sensazione di ineluttabilità. Poi, però, tutto si resetta, e non per una, ma per ben due volte: i punti di vista si moltiplicano, ma raccontano sempre gli stessi minuti, gli stessi identici eventi, semplicemente da punti di vista diversi. Con la ripetizione, la tensione, inevitabilmente, cala, soprattutto nel secondo atto, quello forse più facilmente eliminabile. Risale un po' nel terzo, anche grazie al focus sul presidente (un ottimo Idris Elba), ma è troppo tardi. Un vero peccato per un thriller apocalittico che sembra avere la forza di una profezia, sperando che Bigelow sia falsa profeta e non Cassandra. Finale sospeso e coraggiosissimo, ma in parte depotenziato da una scelta fatta nel primo atto.

In The Hand of Dante (Fuori Concorso), voto 4. L'unico aggettivo che si può utilizzare per questo film è "inspiegabile": inspiegabile che un maestro come Julian Schnabel abbia deciso di realizzare un lavoro così arzigogolato, con due piani narrativi connessi solo alla lontana e una tensione praticamente assente; ancora più inspiegabile che lo abbia realizzato in modo così retorico e verboso, con scene che sfociano direttamente nel ridicolo involontario, soprattutto nel finale. Peccato perché qualche spunto interessante, soprattutto nella storia ambientata nel presente (i gangster che danno la caccia alla copia autografa della Divina Commedia), c'era: ma il resto è una catabasi che non esce mai a riveder le stelle.

Duse (Concorso), voto 5. Un film su Eleonora Duse, la Divina del teatro italiano, un'attrice carismatica, dal carattere dirompente, nasce e muore con la sua interprete. Se si vuole raccontare la Duse, una donna in anticipo sui tempi, in grado di tenere testa e rubare il cuore a Gabriele D'Annunzio, che non ebbe paura di sfidare e distruggere le convenzioni, non ci si può permettersi di sbagliare il casting dell'attrice principale. Purtroppo questo è ciò che succede nel film del solitamente bravo Pietro Marcello: Valeria Bruni Tedeschi, non sappiamo se per scarsa attitudine, indicazioni registiche, o ambedue, dà vita a una Duse anonima, una vecchietta svampita tutta sorrisi e moine che scompare in scena quando dovrebbe dominarla (emblematiche in tal senso le scene con D'Annunzio e Sarah Bernhardt, epigona francese della Duse, talmente dominate dalle due controparti che ci si dimentica della presenza dell'attrice italiana), e che non restituisce alcunché della grandezza teatrale della Duse, che rivoluzionò il modo di stare sul palco e preparare un personaggio. Anche la sceneggiatura non ingrana, azzoppata da una retorica eccessiva che funziona quando viene messa in bocca a D'Annunzio e ai teatranti, ma risulta stucchevole e fuori posto quando viene ripetuta anche per personaggi "quotidiani" come la figlia e l'assistente della Duse. Fotografia e regia sono ottime, e anche il tentativo di parlare dell'orrore della guerra e della medicina sperata (l'arte, il teatro) da Duse e D'Annunzio, rispetto a quella realmente arrivata (l'olio di ricino del fascismo) è interessante: ma il film è come un'automobile senza ruote.

The Voice of Hind Rajab (Concorso), voto 9. La storia vera di Hind Rajab, bambina palestinese sopravvissuta a un attacco israeliano, e del tentativo di salvarla da parte della Mezzaluna Rossa, viene raccontata con una commisione di audio reali e scene ricostruite. Un film devastante per impatto emotivo, che deve la sua forza alla vicenda narrata ma anche alla sapienza della confezione filmica. Il film è, ovviamente, molto attuale, ma è al tempo stesso universale: perché in ogni guerra, in ogni persecuzione fatta solo per etnia e nazionalità, c'è sempre una bambina che rimane sola e cerca disperatamente aiuto, e c'è sempre chi cercherà di portarglielo nonostante tutte le difficoltà. Qui trovate la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Pier

martedì 2 settembre 2025

Telegrammi da Venezia 2025 - #4

Quarto telegramma da Venezia, tra eminenze grigie con la passione per il teatro, lottatori in crisi, sequestratori con cui empatizzare, ed esperimenti che meritavano miglior sorte.


Il Mago del Cremlino (Concorso), voto 8. Come si distrugge la verità? La ricetta non è la magia, anche se il titolo sembra suggerirlo, ma una profonda conoscenza della psiche umana e dei trucchi con cui si può ingannarla. A partire dall'omonimo romanzo di Giuliano da Empoli, Assayas confeziona un thriller politico che racconta la caduta del Muro e l'ascesa di Vladimir Putin attraverso un dialogo/confessione tra un giornalista e Vadim Baranov, ispirato a Vladislav Surkov, eminenza grigia di Putin. Baranov ha un passato da teatrante, e sa leggere, comprendere, e manipolare le emozioni: non basta altro. Sceneggiatura stellare (con la collaborazione, e si vede, di Emmanuel Carrère), e cast perfetto, da Jude Law/Putin a Jeffrey Wright nei panni del giornalista, passando per Alicia Vikander. A brillare più di tutti è però Paul Dano, che dopo Il Petroliere torna a essere il volto innocente e seducente del Male, un sorriso disarmante che repelle e conquista allo stesso tempo.

The Smashing Machine (Concorso), voto 7.5. Benny Safdie racconta la storia vera di Mark Kerr, lottatore di arti marziali miste, cui Dwayne Johnson presta volto e corpo, raccontandone la forza fisica e la fragilità emotiva. Un solido film sportivo, fotografato con taglio semi-documentaristico, che ha il pregio di non raccontare una classica parabola di caduta-redenzione-rinascita, pur tratteggiandola di sottofondo (con la centralità data alle vicende di Mark Coleman, amico e collega di Kerr) come elemento di contrasto all'evoluzione meno convenzionale della vita di Kerr. Il risultato è un film che non brilla per originalità, ma funziona a livello narrativo ed emotivo, con una morale non scontata.

Dead Man's Wire (Fuori Concorso), voto 8. Gus Van Sant torna alla regia dopo sette anni e lo fa con una commedia-thriller tratta da una storia vera, in un'operazione che ricorda quella operata da Richard Linklater (regista tematicamente simile a Van Sant, e come lui solitamente lontano da questo genere) con Hitman, presentato due anni fa proprio a Venezia. Il film racconta l'assurda storia vera del sequestro del banchiere Richard Hall da parte di Tony Kiritsis. Raccontato con la giusta dose di humor nero, Dead Man's Wire è un'attenta esplorazione della psiche umana e di quanto poco basti per far "impazzire" un uomo probo e onesto. Van Sant esibisce una chiara e sacrosanta favorevolezza alle posizioni di Kiritsis (un ottimo Bill Skarsgard), perfetto esempio del "piccolo uomo" truffato dalle grandi banche e dal sistema capitalistico in generale, realizzando un film che diverte ma porta anche avanti una forte posizione politica, soprattutto di questi tempi.

Orfeo (Fuori Concorso), voto 5. Un voto di stima, perché questo pastiche di live action e animazione realizzato da Virgilio Villoresi con sguardo e fotografia espressionista ha intuizioni visive notevoli e stimolanti. Tuttavia, la trama è un guazzabuglio senza capo né coda, frutto di un adattamento pedissequo dell'opera omonima di Buzzati, che avrebbe richiesto maggior riflessione per essere resa in modo efficace su un altro medium. Non brilla nemmeno il cast (con l'eccezione di Vinicio Marchioni), che sembra essere stato scelto da un cinofilo, anziché da un cinefilo.

Pier