mercoledì 19 giugno 2024

Inside Out 2

La complessità del Sé


La vita di Riley scorre tranquilla, fino a quando, un giorno, non diventa ufficialmente una teenager. Nuove emozioni affollano la sala di controllo, e il passaggio al liceo e un camp estivo di hockey mettono in crisi il concetto di Sé di Riley e, con essa, anche Gioia e la sua visione del mondo, travolta dalla forza dirompente di Ansia, decisa a far sì che Riley si integri nel suo nuovo ambiente - a qualunque costo.

Chi siamo? La domanda delle domande, che cominciamo a porci davvero durante l'adolescenza e cui, man mano che si cresce, diviene sempre più complesso rispondere. Dall'immagine chiara, bidimensionale, ben definita dell'infanzia passiamo gradualmente a un poligono a più facce, una miscela in continua evoluzione che può essere tutto e il contrario di tutto: l'essere umano, in fondo, è fatto di contraddizione.

Intorno a questa domanda e a questo passaggio ruota il seguito di Inside Out: se il primo capitolo si concentrava sull'importanza di accettare la complessità emotiva (anche la tristezza è importante per crescere e essere persone complete), il secondo punta sull'importanza di accettare la complessità del Sé, in tutte le sue sfaccettature. Riley cresce, e con la crescita arrivano le prime pressioni sociali, i primi traumi, e le prime ansie: ansia di essere inadeguata, ansia di deludere le persone care, ansia di rimanere sola. 

Non è un caso che Ansia sia la nuova emozione che domina la scena e che prende il controllo della "console" che guida le azioni e reazioni di Riley, strappandola a Gioia. Accanto a lei ci sono Imbarazzo, Invidia, ed Ennui/Noia: emozioni più complesse, adulte, e "sociali" rispetto a quelle basilari che caratterizzavano il primo film. Inside Out 2 è anche un film sulla socialità adolescenziale, e su come possa mettere in crisi ragazzi e ragazze ancora fragili e insicure: nessuna delle potenziali compagne di hockey di Riley ha atteggiamenti da bullo, eppure Riley va comunque in crisi, stretta com'è tra il desiderio di essere accettata e la paura paralizzante di non essere all'altezza. 

Kelsey Mann (che sostituisce Pete Docter alla regia), Meg LeFauve (già sceneggiatrice del primo capitolo) e Dave Holstein non tremano di fronte alla titanica impresa di dare un seguito a uno dei capolavori della Casa della Lampadina, anzi: danno sfogo a tutta la loro creatività per restituire a livello narrativo e visivo concetti complessi come l'attacco di panico, il sarcasmo (battuta eccezionale che si perde nella traduzione italiana), il concetto di sè, l'inconscio, la soppressione di emozioni e ricordi, dando vita a un caleidoscopio inventivo che non ha nulla da invidiare a quanto fatto nel primo film, cui però ovviamente resta debitore. 


La trama scorre che è un piacere, e il percorso di (ri)costruzione e accettazione del Sè di Riley tocca tutte le corde emotive giuste, commuovendo e facendo riflettere lo spettatore, culminando in una scena finale semplice ma tremendamente efficace. Il film ha anche un altissimo valore pedagogico, sia per i ragazzi che per i genitori, in quanto racconta efficacemente le pressioni sociali e l'ansia che attanagliano la nostra epoca, e i giovani (e ormai non più giovani, come direbbe Zerocalcare) in particolare, e insegnano l'importanza di accettare chi si è in modo completo, senza cercare forzatamente di nascondere i nostri lati meno nobili: un messaggio universale che, nell'era dell'apparire e del mito della performance esibita ed esaltata, risuona ancora più forte.

Le nuove emozioni si inseriscono alla perfezione senza sacrificare quelle che già conosciamo. Se Ansia fa la parte del leone e ha probabilmente la scena più potente e di impatto del film, Imbarazzo conquista per la sua dolcezza e spirito di iniziativa, ed Ennui è la perfetta rappresentazione del tedio adolescenziale, persino nel modo in cui interagisce con la console. Tra le vecchie conoscenze, a brillare questa volta è Gioia, finalmente liberata da quell'aspetto da "prima della classe" e costretta ad affrontare le sue insicurezze e a mettere in discussione la sua visione del mondo.

Il comparto tecnico supera ancora una volta se stesso: la fluidità di movimenti e inseguimenti è perfetta, e la resa delle emozioni come un insieme di particelle brillanti ed evanescenti, in continuo movimento, stupisce per pulizia e realismo della texture. Tuttavia, Inside Out 2 non si limita alla ormai abituale eccellenza visiva e cromatica nell'uso della computer grafica. Come nel primo film, ci sono scene realizzate con tecniche di animazioni differenti, dall'animazione tradizionale alla stop motion con la tecnica del paper cut, che si inseriscono perfettamente nella narrazione e restituiscono una diversità creativa che eleva valore artistico del film. 

Inside Out 2 conquista la palma di miglior secondo capitolo Pixar dai tempi di Toy Story 2, e lo fa grazie a una storia che segue naturalmente e fluidamente quella del primo capitolo, arricchendolo di complessità senza tradirne lo spirito. Non può, ovviamente, raggiungere la dirompente originalità dell'originale, ma non ci va lontano, e racconta una storia che intratterrà i più piccoli e lascerà i più grandi con gli occhi aperti e gonfi di emozioni: gioia, tristezza, ansia, e stupore e, perché no, nostalgia.

**** 1/2

Pier

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