La morte dell'umanità
In Matrix, uscito nel 1999, l’agente Smith definiva gli esseri umani dei parassiti, una specie capace solo di sfruttare il proprio ospite fino a portarlo alla morte. Se questo punto di vista sembrava allora eccessivamente cinico, oggi ci ritroviamo di fronte alla sua inconfutabile verità. Consumiamo più risorse di quante la Terra possa produrne, specie animali si estinguono a causa nostra, e guerre pretestuose mirano ad annichilire interi popoli. Il pianeta è in fiamme, e i piromani siamo noi.
Su questa premessa si fonda anche Bugonia, il nuovo film di Yorgos Lanthimos, remake di un film coreano del 2003, Save the Green Planet!. Bugonia è un film cinico, in cui anche le corse in bici di spielberghiana memoria perdono ogni fascino e divengono lame taglienti e disperate. Un film che unisce il Lanthimos degli esordi a quello “hollywoodiano”, trovando una sintesi cupa e disperata ma anche deliziosamente grottesca, che riesce a fondere sperimentazione e linearità narrativa. Lanthimos sviscera la stupidità umana in tutte le sue forme: dall’incapacità di non cedere ai propri impulsi primari alla totale mancanza di spirito critico; dalla bellicosità alla totale noncuranza per le altre creature che abitano il pianeta con noi, passando per il progressivo asservimento alla logica del profitto a tutti i costi.
La genialità di Lanthimos sta nel fatto che, a differenza di altre film con tematiche simili, non c’è un paladino del bene che si batte contro un’umanità cieca e corrotta. Tutti i protagonisti sono portatori sia di idee positive, sia di deliri autodistruttivi che spaziano da quello di onnipotenza a una credulità e irresponsabilità bambinesca. Tutti i protagonisti, tuttavia, credono di essere i paladini del bene. La totale incapacità di accettare le proprie colpe, la certezza incrollabile di essere nel giusto anche di fronte all’evidenza del contrario, la necessità di dover trovare un nemico, un colpevole per le proprie sofferenze guidano sia Teddy che Michelle, per quanto siano animati da motivazioni diametralmente opposte.
In Bugonia non c’è nemmeno la catarsi tipica della tragedia greca (una delle grandi ispirazioni del cinema di Lanthimos), quantomeno per i suoi protagonisti: la cecità li porta all’autodistruzione senza nemmeno rendersene conto, e solo un deus ex machina può evitare che questa distruzione si estenda anche al pianeta. Non c’è pentimento, non c’è redenzione: solo una spirale di follia. Il reale e il fantastico si inseguono per tutto il film, in un gioco di disvelazioni che, alla fine, non ha vincitori, e che mette in dubbio il concetto stesso di reale.
Questo aspetto si riflette anche nell’aspetto visivo, dove Lanthimos sceglie una fotografia realistica costellata di momenti surreali e alieni, creando un senso di straniamento che rispecchia e rinforza la tensione narrativa. Ad aiutarlo contribuiscono anche le prove eccezionali di Jesse Plemons, concentrato di fragilità, effetto Dunning-Kruger, e sadismo, e Emma Stone, affascinante e respingente al tempo stesso, e manipolatrice come solo un’aliena o un’amministratice delegata di Big Pharma potrebbero essere.
Bugonia è un film ipnotico, che si nutre di opposti: una tragedia in cui si ride, un film senza speranza che mira a risvegliare le coscienze, una storia in cui il villain non è nessuno e, al tempo stesso, siamo tutti noi, con un finale che pietrifica e, al tempo stesso, lascia con un senso di giustizia compiuta. Lanthimos realizza un’opera che entra dentro il cuore e l’anima e li diliania lentamente, lasciando dietro di sé solo silenzio – un silenzio che, forse, rappresenta un nuovo inizio.
**** 1/2
Pier
Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.
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