martedì 10 settembre 2019

C'era una volta a... Hollywood

Il coraggio di sperimentare



Los Angeles, 1969. Le strade di tre personaggi molto diversi tra loro si incrociano in una Hollywood in preda alla rivoluzione hippie: Rick Dalton, star della televisione in declino, che si barcamena tra varie parti per mantenere il suo stile di vita; Cliff Booth, stuntman di Rick e suo tuttofare, che a Hollywood ci va solo per lavorare; e Sharon Tate, attrice sulla cresta dell'onda e moglie del regista più cool del momento, Roman Polanski. Le loro storie si incrociano, si sfiorano, si inseguono, mentre Hollywood, come la bella addormentata, sta per essere risvegliata dal suo sogno dorato.

Pochi registi negli ultimi decenni hanno saputo crearsi uno stile distintivo come Quentin Tarantino: i suoi film sono immediatamente riconoscibili grazie a un mix di azione scoppiettante, dialoghi fulminanti e personaggi tanto idiosincratici quanto indimenticabili. A livello estetico, Tarantino ha sempre privilegiato una fotografia iper curata e un montaggio ritmato quasi quanto i suoi dialoghi, con continui cambi di prospettiva, sguardo, focus di attenzione 1.

Con C'era una volta a... Hollywood, Tarantino spariglia le carte, dimostrando un coraggio non comune e sperimentando senza paura con nuovi linguaggi, tematiche e modalità espressive.
L'evoluzione del suo stile da Inglorious Basterds C'era una volta a... Hollywood ricorda quella di Sergio Leone tra la trilogia del dollaro e i due C'era una volta...: si passa da un ritmo forsennato a uno rallentato, contemplativo, quasi onirico, che ci immerge in una Hollywood in cui l'estate sembra infinita, le star sono divinità scese in terra, e anche i comprimari sembrano usciti da un sogno a occhi aperti. Questo si riflette sia nella struttura testuale che in quella visiva: i dialoghi sono più rarefatti e riflessivi, le scene più lunghe e insistite, inframmezzate da flashback (uno strumento narrativo solitamente poco utilizzato dal regista del Tennessee), digressioni, e momenti musicali. Le inquadrature sono più lunghe, ampie, fatte di carrellate infinite e panoramiche mozzafiato, e si concentrano più sul paesaggio e le atmosfere che sui personaggi; la musica è onnipresente, e non usata strategicamente come solitamente accade nei film di Tarantino, e diventa un tappeto sonoro che è parte integrante dell'ambientazione, della città, e dell'epoca.


All'interno di questa cornice contemplativa si inseriscono, come mine nascoste in un campo di grano, delle scene meravigliosamente tarantiniane, la cui energia esplode e riverbera con maggior vigore proprio in virtù della calma che le ha precedute: la scena con Bruce Lee è meravigliosa per ironia e dialoghi, e la visita di Cliff al ranch dove vive la Manson family è un piccolo capolavoro, in cui Tarantino dimostra la sua padronanza assoluta di diversi generi. È però nella prima parte dello splendido finale che Tarantino spara le sue cartucce migliori, realizzando una sequenza destinata a diventare di culto.

Tarantino integra queste due anime alla perfezione, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, di essere un affabulatore visivo senza eguali, un artista della mise en scene, capace come pochi altri di raccontare storie per immagini - immagini di una purezza cristallina, quasi accecante, in cui ogni dettaglio nasconde un mondo, un ricordo, un'emozione.

L'alternarsi di atmosfere e toni così diversi ricorda quelli della fiaba, in cui tutto segue una logica invisibile che è al servizio dell'insegnamento e della morale. C'era una volta a... Hollywood è una fiaba moderna intrisa di nostalgia e amore per un mondo che non c'è più, ma soprattutto per gli eroi silenziosi che quel mondo hanno contribuito a costruire, i cavalieri senza macchia e senza paura che rimangono sullo sfondo, mentre altri si prendono le luci della ribaltà. Non è un caso che il Cliff Booth di Brad Pitt brilli più del pur ottimo Rick Dalton di Leonardo Di Caprio: Cliff è l'anima del film, colui che ne tiene insieme i diversi fili narrativi e che li riannoderà, non del tutto consapevolmente, fino a farli incontrare. Pitt è semplicemente perfetto nella parte, e finisce per oscurare i pur ottimi Di Caprio e Margot Robbie, mai così affascinante, perfetta e luminosa incarnazione del sogno hollywoodiano. Ed è proprio questo sogno il vero protagonista del film: Tarantino ci presenta una Hollywood del 1969 più vera del vero, viva, vibrante, che sembra quasi strabordare dalle inquadrature, come se uno schermo non fosse sufficiente a trattenerne l'energia.

Con C'era una volta a... Hollywood, Tarantino dimostra il coraggio creativo dei grandi artisti, realizzando un film nuovo, diverso, imperfetto come solo il grande cinema sa essere; un film che sa rinunciare ai momenti che lo renderebbero più facile da apprezzare e "cool" per cercare la bellezza e il divertimento in luoghi nuovi e inesplorati; il film meno "tarantiano" del suo cinema e, al tempo stesso, quello che ne è la celebrazione e la perfetta sintesi. Non perdetelo.

**** 1/2

Pier

1: valga, come esempio, questa scena solo apparentemente statica di Inglorious Basterds, caratterizzata da continui stacchi di montaggio.

Nessun commento:

Posta un commento