mercoledì 8 maggio 2019

Stanlio e Ollio

Storia di un'amicizia


Regno Unito, 1953. Sono passati sedici anni dal momento d'oro della loro carriera hollywoodiana, e Stan Laurel e Oliver Hardy sono costretti a sbarcare il lunario imbarcandosi in una tournée teatrale in Inghilterra. Anche il teatro, tuttavia, è in crisi, e Stanlio e Ollio dovranno dare fondo a tutta la loro bravura per attirare il pubblico in teatri di second'ordine. La tournée si rivela ben presto per ciò che è realmente, un viaggio sulla strada della memoria, lastricata di rancori, gioie, risate e lacrime, e che li porterà a riconsiderare la loro relazione professionale e la loro amicizia.

Può un film riuscire a commuovere fino alla lacrime con una semplice scritta in sovrimpressione? Basterebbe questo aneddoto per raccontare la portata emotiva di Stanlio e Ollio, un film che non brilla per originalità della messa in scena, ma compensa più che egregiamente con una sceneggiatura ai limiti della perfezione e due attori in stato di grazia. Il film è la storia di un'amicizia e di una eccezionale partnership artistica, entrambe raccontate nel momento del crepuscolo: incontriamo Stan Laurel e Oliver Hardy quando sono ormai anziani, malati, dimenticati negli Stati Uniti e quindi costretti a un tour teatrale nel Regno Unito. Anche la loro amicizia non è più quella di una volta, e ne scopriremo le cause durante il film (vi diremo solo che c'entra un elefante).

Ciò che resta intatta, pura, impervia alle acredini e al passare del tempo, è la loro capacità di far ridere: il film riesce a trasmettere alla perfezione l'irresistibile, geniale comicità del duo sia riproducendo con fedeltà alcune delle loro gag più famose, sia costruendo la loro relazione e quella con le proprie mogli come un fantastico "double act" comico: le schermaglie (inter)coniugali sono tra i momenti migliori del film, degni di rivaleggiare con lo show che Stanlio e Ollio mettono in piedi sul palcoscenico.
La sceneggiatura affianca la comicità delle battute con una struggente nostalgia, che pervade ogni scena del film fino a diventarne co-protagonista. Vedere due giganti della risata ridotti a girare per teatri di second'ordine fa giocoforza pensare a quello che fu, in un esercizio del ricordo che è sia extradiegetico che diegetico. Stanlio e Ollio sono prigionieri del passato: vogliono superarlo, ma al tempo stesso lo rimpiangono. La loro amicizia è incrinata così come la loro arte, e nonostante ambedue ardano dal desiderio di ripararle, il passato torna sempre a galla, impedendo loro di chiudere quella porta per aprirne un'altra.


Lo sguardo malinconico al passato, e la consapevolezza silenziosa ma inconfessata che quei tempi non torneranno sono al centro del rapporto tra i due protagonisti: un rapporto fatto di non detto e di sguardi più che di battute, esattamente come la loro comicità, e rappresentato in maniera viva e struggente grazie anche alle prove superbe di John C. Reilly e Steve Coogan. La prova di Coogan è particolarmente efficace perché il suo personaggio deve essere più sottotono, dimesso, ed è quindi costruito sul non detto e sulle microespressioni del viso, laddove Reilly ha dalla sua l'imponente fisicità e una personalità più flamboyant su cui lavorare. La trasformazione di entrambi in Stanlio e Ollio è ugualmente impressionante non solo per la somiglianza fisica, ma anche per la complicità che riescono a creare e per il riuscito contrasto tra le loro maschere cinematografiche e la loro personalità nella vita reale: laddove in scena Stanlio era l'imbranato e Ollio il volitivo sicuro di sè, fuori scena le parti si invertivano, e Stanlio diventava la vera mente della coppia, con Ollio a rappresentarne il cuore. Un cuore malandato, purtroppo, la cui fragilità è la spada di Damocle che incombe per tutto il film, rendendo più amaro ogni sorriso. 

Il finale è esemplificativo in tal senso, ed è destinato a rimanere impresso a lungo nel cuore degli spettatori. È uno di quei rari casi in cui risate e lacrime si mischiano fino a diventare tutt'uno, in un turbine di emozioni che lascerà lo spettatore stravolto ma felice, in una catarsi cinematografica di rara efficacia.

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Pier

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