sabato 30 agosto 2014

Telegrammi da Venezia 2014 - #2


Secondo telegramma da Venezia, con i film visti negli ultimi due giorni. Prima di iniziare, un'informazione: nche quest'anno collaboro con Nonsolocinema, e metterò qui i link alle recensioni estese che faccio per loro.


99 Homes (Concorso), voto 7.5. Il film racconta il dramma collettivo della crisi dei mutui negli USA attraverso la storia di una vittima che si trasforma in carnefice, passando dall'essere sfrattato a lavorare per un esecutore di sfratti. Morale e praticità non coincidono, il conflitto, interiore e famigliare, è inevitabile. Michael Shannon incarna alla perfezione il diavolo tentatore e Andrew Garfield lo spaesato e distrutto padre di famiglia che finisce per lavorare per lui. Intenso, solido, un film che fa riflettere sulla miseria umana e sulle illusioni costruite sul denaro e la ricchezza facile.

The Look of Silence (Concorso), voto 8.5. Oppenheimer torna sul luogo del delitto e, dopo aver raccontato la strage dei "comunisti" indonesiani dal punto di vista degli assassini con il documentario The Act of Killing, decide di raccontare quella tragedia dal punto di vista dei parenti delle vittime. Per farlo sceglie la via più difficile e coraggiosa: metterle a confronto con gli aguzzini dei loro cari, che ancora oggi detengono il potere nel paese. Crudo, forte, un pugno allo stomaco che ci ricorda ancora una volta la banalità del male, raccontandoci un crimine che tutti hanno perpetrato ma di cui nessuno sembra sentirsi responsabile.

Anime Nere (Concorso), voto 8. Francesco Munzi parla di ndrangheta in modo coraggioso e originale, mostrandoci sia il profondo radicamento nazionale e internazionale del fenomeno, sia le sue radici affondate saldamente nella terra e nei monti calabresi. Pastorizia e edilizia, omicidi e affari: nulla viene tralasciato, tutto finisce sotto la cupa lente di Munzi, supportato da un cast intenso e vero e da una fotografia crepuscolare che rende il film uno dei migliori degli ultimi anni nel panorama italiano. I fan della serie Gomorra non possono perderselo.

Heaven Knows What (Orizzonti), voto 7. Essere homeless a Manhattan, oggi, senza retorica né insegnamenti morali, seguendo due ragazzi tossicodipendenti attraverso il loro eterno peregrinare per la Grande Mela. A tratti confuso, il film convince per il realismo delle vicende narrate e l'ottima prova corale del cast, nonché per la regia dei fratelli Safdie che con una camera a mano ritrovano lo spirito di scoperta e ricerca del quotidiano tipico della Nouvelle Vague.

Manglehorn (Concorso), voto 8. Un uomo comune, con un brutto carattere e l'incapacità di relazionarsi con altre persone senza urtarne i sentimenti; la sua vita, tra appuntamenti fissi e fallimentari tentativi di renderla normale; i suoi sogni, infranti in un passato pieno di errori e perduti in un'amore che non riesce a dimenticare. David Gordon Green dirige un film emozionante, con una sceneggiatura sviluppata in modo innovativo, in cui un Al Pacino sottotono mostra a tutti cosa significhi essere un attore sublime, capace di uno spettro di emozioni immenso anche senza dover ricorrere a urla e scenate.

La rançon de la gloire (Concorso), voto 6.5. Leggero e simpatico omaggio a Chaplin, che però risulta fuori posto in concorso. Qui la recensione completa: http://nonsolocinema.com/La-rancon-de-la-gloire-di-Xavier_30370.html

giovedì 28 agosto 2014

Telegrammi da Venezia 2014 - #1


Come ogni anno, Filmora è a Venezia, e vi racconterà i film visti in Laguna.


Ecco quelli visti finora:

Reality (Orizzonti), voto 7.5. Quentin Depieux, regista del cult Rubber, realizza un film in cui la ricerca del miglior urlo della storia del cinema diventa un allucinato percorso interiore, in cui cinema e realtà si interesecano fino a confondersi. Un Inland Empire girato con maggiore autorironia e divertimento, in cui il regista riflette con delirante intelligenza sul cinema in generale e sul proprio modo di intenderlo in particolare.

Qin'ai de (Dearest) (Fuori Concorso), voto 7. Film di denuncia che racconta un aspetto poco conosciuto della realtà cinese, il rapimento di bambini da parte di gruppi criminali, attraverso gli occhi dei genitori di uno di loro. Rigoroso e senza particolari acuti, il film colpisce per la sua solidità e per l'abilità con cui riesce a raccontare il dolore di una perdita da molteplici punti di vista, compreso quello di una complice dei rapitori.

Birdman (Concorso), voto 8.5. Iñárritu realizza un film bello, intelligente senza essere cerebrale, educativo senza essere didascalico, in cui racconta il tentativo di riscatto personale e professionale di un attore divenuto famoso per avere interpretato Birdman, supereroe protagonista di una serie di film di successo negli anni '90. Michael Keaton offre una prova sontuosa, in cui il confine tra attore e personaggio scompare e viene messa la "depressione dorata" di chi vive sotto i riflettori. Iñárritu dirige con eccezionale abilità e perizia tecnica un cast strepitoso (oltre a Keaton, spiccano Norton e Galifianakis) e realizza un film di grande ricchezza tematica, che dimostra come sia possibile fare cinema impegnato intrattenendo lo spettatore.


sabato 23 agosto 2014

Luciano Vincenzoni - I dimenticati: puntata 12



Il grande pubblico ricorda solitamente gli attori e, qualche volta, i registi. Ecco la ragione principale per cui Luciano Vincenzoni, di professione sceneggiatore, è oggi un "dimenticato", pur avendo firmato alcuni tra i più celebri film del cinema italiano del dopoguerra.

Nato a Treviso nel 1928, fin da ragazzino trascorreva giornate intere nell'unica sala cinematografica della sua città, grazie alla generosità del proprietario che, al prezzo di un unico biglietto, gli consentiva di entrare al primo spettacolo per uscire soltanto al termine dell'ultimo. All'inizio degli anni Quaranta sapeva già tutto del cinema italiano e di quello americano. Pur avendo compiuti studi in legge, era quindi destinato a far parte di quell'ambiente, anche per le sue doti di inventore di storie.

Vi entrò però solo per un colpo di fortuna. Durante la guerra volle offrire da bere a un concittadino di nome Tony Roma, ufficiale di Marina in libera uscita; questi, già alticcio, involontariamente approfittò troppo della generosità del ragazzo che però, mostrando già il carattere orgoglioso che l'avrebbe contraddistinto in seguito, non si tirò indietro. Qualche anno dopo, finita la guerra, in un periodo in cui la famiglia Vincenzoni se la passava male, Tony Roma, che nel frattempo aveva fatto fortuna e voleva investire nel cinema, tornò all'improvviso a bordo di un macchinone americano per sdebitarsi. Donò a Luciano cinque milioni, e lo portò con sè a Roma come produttore esecutivo di quello che rimarrà l'unico film da lui finanziato: Incantesimo tragico - Oliva (1951), di Mario Sequi. Fu un fiasco, ma Vincenzoni ormai aveva realizzato la sua aspirazione e non voleva più lasciare Roma, e decise di restare in attesa di un'altra occasione.

Questa arrivò grazie a una storia che aveva scritto anni prima ispirandosi a un fatto di cronaca: raccontava di un tranviere che viene ingiustamente sospeso dal lavoro e allora, nottetempo, ruba un tram dal deposito e raccoglie i nottambuli improvvisando una grande festa a base di danze e cibo, comparso per magia. Alla fine il tranviere viene processato, assolto e reintegrato sul posto di lavoro. Era una storia molto esile, che però descriveva bene lo spirito di un paese che usciva dalla guerra e aveva voglia di buoni sentimenti. Vincenzoni vedeva in Aldo Fabrizi l'interprete ideale del protagonista, perciò fece in modo d'incontrarlo. A Fabrizi la storia piacque, comprò il soggetto e incaricò Vincenzoni di scriverne anche la sceneggiatura, affiancandogli Ruggero Maccari. Il regista era Mario Bonnard, che però si ammalò presto e fu sostituito dall'aiuto, un giovane Sergio Leone, che fece così il suo esordio, pur non accreditato, dietro la macchina da presa. Il film, uscito nel 1954 col titolo Hanno rubato un tram e oggi purtroppo dimenticato, era un gioiellino e Vincenzoni ne trasse soddisfazione professionale ed economica.


I soldi però, com'era suo costume, li sperperò subito e anche il successo lo abbandonò presto. Un aiuto gli venne da Ennio Flaiano che lo aveva preso in simpatia. Un giorno lo accompagnò dal regista Hugo Fregonese, che stava iniziando le riprese di un film su una compagnia itinerante di attori, I girovaghi, con Carla Del Poggio e Peter Ustinov. Mancava il protagonista, perché Mastroianni aveva rifiutato, e il regista offrì la parte a Vincenzoni, che era di bell'aspetto. Questi, pur non avendo alcuna intenzione di fare l'attore, accettò solo per la paga di centomila lire al giorno. Poco prima di terminare le riprese, però, Vincenzoni litigò con il regista e abbandonò il set. Nelle ultime scene fu quindi sostituito da una controfigura, la quale risulterà poi accreditata come protagonista dell'intero film.

Poco dopo Vincenzoni conobbe un giovane cineasta squattrinato come lui, Pietro Germi. Insieme, nel 1955, realizzarono Il ferroviere. Il film, che aveva per protagonista lo stesso Germi, costò ottanta milioni e incassò un miliardo e duecento milioni. Pareva l'inizio di un grande sodalizio tra Germi e Vincenzoni. Tuttavia, entrambi avevano un pessimo carattere, e quindi il loro rapporto passava spesso dalla proficua collaborazione a furibonde litigate, che li portavano a interrompere anche per molti anni i loro rapporti. Il primo litigio avvenne proprio dopo il successo de Il ferroviere, lasciando Vincenzoni ancora una volta senza lavoro e senza soldi.

La sua situazione era disperata: tutto quel che possedeva, a parte i debiti, erano sette soggetti già pronti da realizzare e mille lire. Consapevole del valore del suo materiale e sapendo che Dino De Laurentiis aveva fama di produttore scontroso ma illuminato, utilizzò le mille lire per prendere un taxi che lo portasse nei suoi uffici, dall'altra parte di Roma. Vincenzoni non conosceva De Laurentiis e non aveva appuntamento con lui; era insomma una follia, tipica di chi non ha più niente da perdere. A metà corsa il tassametro segnava già 1500 lire. Arrivato, Vincenzoni disse al tassista di aspettarlo, meditando di fuggire per i campi attigui se le cose fossero andate male.



Fece irruzione nell'ufficio di De Laurentiis e mancò poco che questi chiamasse la polizia. Per fortuna, in quel momento c'era in ufficio Carlo Lizzani, che conosceva Vincenzoni e garantì per lui. Dino gli concesse allora un quarto d'ora, ma le storie di Vincenzoni lo interessarono a tal punto che, dopo due ore, gli disse che gli avrebbe comprato tutti i sette soggetti, tre dei quali - La grande guerra (1959, regia di Mario Monicelli), Il gobbo (1960, regia di Carlo Lizzani) e I due nemici (1961, regia di Guy Hamilton) - sarebbero stati immediatamente realizzati.Vincenzoni, che contava di guadagnare duecentomila lire, uscì con un milione per ciascun soggetto, un contratto di collaborazione per tre anni a un milione al mese e due milioni in contanti per le "piccole spese", tra cui il taxi.
Era ormai ricco, e presto sarebbe diventato anche famoso: i film da lui scritti per De Laurentiis ebbero infatti un buon successo di pubblico e critica. In particolare, La grande guerra, interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman, si aggiudicò il Leone d'Oro a Venezia nel 1959



Dopo diciannove film, però, anche la collaborazione con De Laurentiis finì in modo brusco: Vincenzoni si persuase che un collaboratore di Dino, geloso di lui, lo stesse boicottando e si dimise. Nel frattempo aveva riallacciato i rapporti con Germi, con il quale crearono la società di produzione RPA e realizzarono Sedotta e abbandonata (1964), che vinse il Nastro d'Argento per la miglior sceneggiatura. Si recarono poi a Parigi per discutere di un progetto di co-produzione internazionale per un film a episodi, poi non realizzato. I due intesero il soggiorno con diverso spirito: Germi era interessato alla visita di chiese e musei, mentre Vincenzoni preferiva dedicarsi ai divertimenti notturni. Pur di svicolare da Germi s'inventò addirittura come scusa una cena di lavoro con Zanuch, presidente della Fox. Germi, però, sospettoso, gli disse: "Se scopro che mi racconti bugie hai finito di lavorare con me". Questa frase preoccupò Vincenzoni, al punto da indurlo a recarsi veramente all'Elisée Matignon, ristorante e locale notturno parigino frequentato da tutto il mondo del cinema, a cercare Zanuch e avvicinarlo inventandosi qualcosa. Scoprì con angoscia che era partito il giorno prima. Vi era però Ilya Lopert, capo della United Artists. Vincenzoni si presentò a lui come sceneggiatore de La grande guerra, distribuito l'anno precedente in America proprio dalla United Artists (con enorme successo), ma non riuscì ad interessarlo finché non gli fece il nome di Germi - che l'anno precedente aveva vinto l'Oscar con Divorzio all'Italiana - inventandosi anche con lui che stavano trattando con la Fox per un contratto da ducentocinquantamila dollari. Al che Lopert gli disse: "Vi offro il doppio. Venite domani nel mio ufficio a firmare il contratto".

Per la United Artists i due realizzarono nel 1965 Signore e signori, nel quale Vincenzoni raccontò la sua Treviso, con la quale non fu tenero: il film era infatti costituito da tre episodi nei quali vengono messi alla berlina i vizi della provincia italiana e l'indole ipocrita e pettegola dei suoi abitanti. Il film incontrò il successo del pubblico e della critica, al punto da vincere la Palma d'oro a Cannes (ex aequo con Un uomo e una donna di Lelouch), oltre al David per la miglior regia e il Nastro d'Argento per la miglior sceneggiatura, scritta, oltre che da Vincenzoni, anche da Age e Scarpelli e Flaiano.



Difficile pensare che a questo punto Vincenzoni potesse tornare in miseria, ma così andò, e i rapporti con Germi si guastarono di nuovo, questa volta definitivamente. Lo salvò la visita del vecchio amico Sergio Leone, conosciuto sul set di Hanno rubato un tram. Leone era reduce dal trionfo ottenuto con Per un pugno di dollari, ma gli avevano chiesto un seguito e temeva di fallire. Perciò chiese aiuto a Vincenzoni, pur non aspettandosi che un autore importante come lui avrebbe accettato di dedicarsi a uno "spaghetti western". Non poteva immaginare però che non avesse più una lira. Vincenzoni non poté che accettare, e scrisse insieme a Leone Per qualche dollaro in più (1965), che in Italia spopolò. Allora Vincenzoni chiamò Lopert, ormai grande amico, e gli consigliò di comprare i diritti per l'America. Lopert non solo lo fece, ma chiese se avevano in mente un seguito; Vincenzoni improvvisò una storia su tre banditi che durante la guerra di secessione cercano un tesoro e Lopert lo finanziò sulla fiducia con un milione di dollari. Divenne Il buono, il brutto e il cattivo (1966), l'ultimo della cosiddetta "trilogia del dollaro". Successivamente, per Leone Vincenzoni scrisse poi anche Giù la testa (1971).



Grazie ai film di Leone, Vincenzoni era diventato famoso anche in America: un giorno ricevette una telefonata di Billy Wilder - che considerava, insieme a Germi, il suo regista di riferimento - il quale gli offrì di lavorare insieme alla sceneggiatura di Che cosa è successo tra mio padre e tuo madre? (1972), ambientato a Ischia. Fu l'inizio di un soggiorno a Hollywood, durato diversi anni, nei quali Vincenzoni si conquistò la stima e l'amicizia dei più grandi divi americani. Sempre negli Stati Uniti, per conto di De Laurentiis (col quale era tornato in ottimi rapporti) realizzò L'orca assassina (1977), anche in veste di coproduttore.
Tornato in Italia lavorò ancora molto, scrivendo film meno riusciti, fra i quali vale la pena ricordare soprattutto i due con Steno, Piedone lo sbirro (1973) e La poliziotta (1974), e quello con Nuti, il poetico e surreale Casablanca Casablanca (1985). Il suo ultimo lavoro fu Malena di Tornatore, nel 2000.

Morto pochi mesi fa, Vincenzoni ha lasciato un'eredità senza lasciare eredi. La sua natura solitaria da un lato lo ha isolato dal contesto creativo e produttivo del cinema italiano, dove tutti formavano dei clan di amici dentro e fuori dal set, ma dall'altro gli ha permesso diventare il più internazionale dei nostri sceneggiatori, capace come nessun altro di negoziare con i produttori stranieri e di costruire con loro relazioni fondate unicamente sulla considerazione che per lui avevano i più importanti registi e attori del mondo, e che sono state assai proficue per il nostro cinema. Lo ha fatto senza secondi fini, con lo spirito dell'artista di talento che privilegia la voglia di divertirsi e non si comporta secondo l'interesse. A gratificarlo è stata la possibilità di svolgere il mestiere che amava, l'unico per cui si sentiva portato, che gli ha permesso di lavorare con quei personaggi che, dalla piccola sala di Treviso, gli apparivano come degli eroi lontani.

Giovanni M.