Appunti per un film superficiale
L’ultimo giorno di vita di Pier Paolo Pasolini, raccontato attraverso immagini della sua quotidianità e del suo film mai realizzato, "Porno-Teo-Kolossal". Tra incontri con amici, familiari e colleghi, il film ci accompagna fino al suo tragico epilogo, l’omicidio dell’intellettuale nella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975.
Difficile raccontare con efficacia una figura così complessa come quella di Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più innovativi e poliedrici del Novecento italiano. Difficile anche parlare della sua morte, ancora al centro di controversie, senza scadere nel complottismo. Abel Ferrara inizia in modo originale, scegliendo di alternare il quotidiano con la fantasia, la realtà con la finzione filmica e letteraria. I lati positivi del film, tuttavia, finiscono qui, a causa di una serie di errori e superficialità che sarebbero imperdonabili persino per un regista alle prime armi. La continua alternanza tra italiano e inglese, operata senza una logica precisa, risulta innaturale e spesso fastidiosa, costringendo attori italiani a parlare un inglese innaturale e non eccelso, e Willem Dafoe a esprimersi in un italiano stentato da Stanlio e Ollio, che mal si adatta alla figura che interpreta. Per una volta, il doppiaggio arriva a salvare il film, eliminando questa bruttura almeno dalla versione italiana.
Anche senza considerare questa discutibile scelta espressiva, tuttavia, il film non riesce a raggiungere il suo scopo, ovvero quello di offrire un ritratto intimo di Pasolini, in cui il personaggio pubblico lascia posto a quello privato. Ferrara è infatti del tutto disinteressato a fornire un profilo intellettuale di Pasolini, o a spiegare la sua importanza all’interno del panorama culturale italiano e mondiale. Persino le sue idee politiche rimangono sullo sfondo, accessorie rispetto al racconto dell’uomo.
La missione di Ferrara è un mezzo fallimento: Pasolini pecca di superficialità, sorvolando su numerosi aspetti della complessa personalità e poetica dell'intellettuale italiano e scivolando spesso nella banalità. Ferrara non riesce né a umanizzare il personaggio, nonostante l’inserimento di scene di vita quotidiana, né a trasmetterne la profonda vitalità intellettuale.
Il film dà quindi la sensazione di essere incompiuto, un’accozzaglia di appunti e immagini girate per raccogliere le informazioni necessarie a realizzare il film vero e proprio. Non valgono a salvare Pasolini i numerosi elementi di interesse a livello visivo, con alcune immagini di grande bellezza e verità, soprattutto nel finale: qui il contrasto tra la luminosa leggerezza delle note del Barbiere di Siviglia e le cupe immagini del ritrovamento del cadavere e del lutto creano un momento di forte intensità emotiva. Dafoe incarna alla perfezione il protagonista a livello fisico, sopperendo almeno in parte alla scarsa veridicità che l’uso dell’inglese (o, peggio ancora, di un italiano abborracciato) conferisce alle sue battute. Intorno a lui si muove un cast italiano di alto livello cui vengono concesse scene da comparse. L'unico che riesce a distinguersi è Ninetto Davoli nella parte di Epifanio/Eduardo de Filippo, unico a non essere forzato all’uso dell’inglese e dunque a non rimanere azzoppato nella sua naturalezza espressiva (per quanto un De Filippo che parla in romano non sia esattamente l'ideale...).
Il film di Ferrara risulta piatto, poco convincente e superficiale perché rimane a metà del guado, indeciso tra l’uso di una lingua o dell’altra, tra raccontare un grande intellettuale per quello che era o cercare di esaltarne l’umanità, tra l’essere un film artistico o un biopic da sceneggiato televisivo.
*1/2
Pier
PS: questa recensione è stata rielaborata a partire da quella già pubblicata su Nonsolocinema durante la Mostra. La trovate qui.
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