martedì 3 maggio 2011

Source Code

Tecnologia e (poca) etica



Colter Stevens, pilota di elicottero impegnato nella guerra in Iraq, si risveglia in un treno senza sapere come ci sia finito. In tasca trova i documenti di uno sconosciuto, l'insegnate Sean Fentress, con cui i suoi compagni di viaggio sembrano identificarlo. Mentre cerca di capire cosa sia successo espolode una bomba, che uccide lui e moltissimi alti passeggeri. Al suo risveglio si ritrova in una specie di capsula, dove una donna da uno schermo lo informa che non è morto e che tra poco sarà di nuovo trasferito sul treno: il suo compito è scoprire l'autore dell'attentato per evitare che colpisca ancora. La sua missione è top secret, e il nome in codice è : Source Code, lo stesso della tecnologia che permette al capitano di tornare sul treno 8 minuti prima dell'esplosione.

Dopo lo splendido esordio di Moon, Duncan Jones torna con un altro fantascientifico a basso costo (anche se il budget è certamente maggiore di quello della sua prima prova), ma gli conferisce un taglio decisamente diverso, pur mantenendo dei punti in comune. Se Moon era infatti una riflessione sulla solitudine e l'isolamento dell'uomo nello spazio, avendo come unica compagnia la tecnologia, Source Code vede la tecnologia come un mezzo per salvare persone e modificare la realtà e il corso degli avvenimenti.
La missione del capitano Stevens sfrutta una tecnologia sconosciuta, le cui potenzialità non sono del tutto chiare nemmeno ai suoi stessi creatori. Si può modificare il passato? Questo il dubbio che attanaglia il capitano, e con lui lo spettatore, fino alla risoluzione della vicenda.

Il film ha un ritmo eccellente, e strizza apertamente l'occhio a Matrix e Inception, studiando le potenzialità della mente umana e le opportunità inesplorate che essa ancora offre. Jones sceglie la forma del thriller, creando attesa e suspence senza dover ricorrere a scene di inseguimento mozzafiato, ma semplicemente sfruttando e modulando a suo piacere il tempo. Gli otto minuti offerti al colonnello Stevens sono un limite ma anche una possibilità, un universo inesplorato e malleabile che il colonnello può rivivere di volta in volta, correggendo gli errori come se si trovasse in un videogioco. La fotografia è molto ben curata e contribuisce a creare quell'atmosfera sempre sospesa tra sogno e realtà che è la caratteristica principale del film.

Jake Gyllenhaal offre il suo volto al capitano Stevens, e offre una prova di sostanza, non memorabile ma comunque efficace per quello che il ruolo richiede. Vera Farmiga è la sua interlocutrice su schermo, così come Gertie era quello di Sam Rockwell in Moon. La sua prova è volutamente sottotono ma di grande spessore, e contribuisce ad accrescere la suspence generata dal film.

Source Code affronta il tema dell'etica della tecnologia, interrogandosi sui limiti che questa non dovrebbe oltrepassare per non diventare disumana. In Moon, tuttavia, questo tema era affrontato con maggiore profondità e introspezione, mentre qui resta solo abbozzato e concentrato in una parte del film, senza pervaderlo per intero come accadeva nell'opera precedente.

Source Code è un thriller di buon livello, con un ritmo eccellente e una sceneggiatura non banale. Manca però di quella profondità che aveva reso Moon una delle rivelazioni della scorsa stagione cinematografica, e penetra solo superficialmente anche nel cuore dello spettatore.

***

Pier

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