martedì 23 marzo 2010

E' Complicato

E' complicato guardarlo


Jane e Jake sono una coppia divorziata da 10 anni. Jake si è risposato con una donna più giovane e con un figlio a carico. Jane è completamente sola. La passione si riaccende in un albergo di New York, in occasione del diploma del loro figlio più piccolo. Da quel momento, inizia una relazione extra-coniugale complicata proprio nel momento in cui Jane conosce Adam, un architetto neo divorziato che lavora all'ampliamento della sua casa.

La commedia fa parte di un ormai vastissimo filone di film americani che hanno distrutto un genere; E' complicato è un film insipido dove le rare battute, neanche troppo divertenti, hanno l'obiettivo di insabbiare una carenza di trama imbarazzante. Alec Baldwin, al suo completo sfascio fisico, sembra la caricatura di se stesso, la Streep, capace di far ridere, assume questo atteggiamento frustrato per tutto il film e che non abbandona mai, mentre Steve Martin in versione romantica sembra Hannibal Lecter in versione comica.

La cosa che più mi sorprende è il tentativo di trovare una morale a tutti i costi anche laddove è forse meglio lasciar perdere. Il buonismo americano non viene più utilizzato per giustificare un happy ending, come nelle commedie anni '50, ma per inculcare un finto perbenismo sentimentale che davvero non trova senso nell'immaginario comune. Ed ancora più inquietante il modo in cui i figli vengono integrati in questa storia assurda: sono dipinti come completi deficienti che non capiscono né cosa succede né come affrontare qualsiasi situazione.

Il film è assolutamente particolare e utile per capire dal punto di vista sociologico quanto demagogica e paradossale sia la società americana.

*
Alessandro

giovedì 18 marzo 2010

Io sono l'amore

Chi troppo vuole...



I Recchi, famiglia dell'aristocrazia milanese, sono scossi da numerose novità: il nonno ha deciso di lasciare l'azienda di famiglia, la figlia si è scoperta lesbica, e uno dei figli ha deciso di investire nel ristorante di un amico. Ma gli sconvolgimenti più grandi saranno portati da Emma, moglie e madre impeccabile di origini russe.

Scordatevi immediatamente le atmosfere viscontiane evocate dalla pubblicità e dalle cartelle stampa: Guadagnino celebra il trionfo della retorica, dimenticando il cinico realismo che aveva reso grandi le opere di Visconti dedicate alle aristocrazie in declino.
Il regista rappresenta un'alta società milanese che forse non esisteva più già negli anni Settanta, figuriamoci oggi. Tutti i personaggi sono stereotipati, monodimensionali, piatti. Si salva Tilda Swinton, ma solo per l'eccezionale bravura dell'attrice, vero e proprio fiore in mezzo a un mare di fango.

La fotografia è scolastica, la regia didascalica e scontata. Una citazione merita la scena clou dello scontatissimo tradimento, in cui l'amplesso dei due protagonisti viene alternato alle immagini di un'ape che impollina un fiore: roba che nemmeno nelle videocassette di educazione sessuale alle elementari.
Ai limiti del ridicolo poi la scena finale, in cui un uomo tradito e abbandonato, per far sentire il proprio disprezzo alla moglie traditrice, non trova di meglio da fare che toglierle di mano la giacca che le aveva prestato per coprirsi. Un vero e proprio atto di forza, da cui una donna difficilmente potrebbe riprendersi.

Guadagnino firma un film pretenzioso e freddo, che non trasmette alcuna emozione allo spettatore e finisce anzi per annoiarlo. Se queste sono le nuove voci del cinema italiano, forse siamo veramente alla frutta.

*1/2

Pier

venerdì 12 marzo 2010

Shutter Island

Geniale follia

 

Anni '50.Due agenti federali, Teddy Daniels e Chuck Aule, vengono inviati al manicomio criminale di Shutter Island per indagare sull'improvvisa scomparsa di una paziente. INonostante le dichiarazioni di direttore ed infermieri, che affermano che la fuggitiva sia scomparsa nel nulla, l'agente Daniels comincia a sospettare di tutti, direttore e medici compresi. 

Scorsese realizza un thriller psiconalatico duro, intenso, che non lascia un attimo di respiro: continui colpi di scena e momenti di grande tensione contribuiscono a far percepire allo spettatore l'atmosfera claustrofobica dell'istituto psichiatrico. La verità viene sovvertita, manipolata, aggirata, negata, fino a privarla della sua fattualità e a renderla solo un'opinione. Chi è il vero pazzo? Il medico o i pazienti? Scorsese fino all'ultimo non dà risposte, e lascia gli spettatori a tormentarsi nel dubbio, creando una trama complessa con molteplici piani di lettura. 

La regia è splendida per pulizia e rigore, ed è sorretta da un montaggio perfetto e da una fotografia di rara bellezza, che alterna sapientemente luci e ombre, colore e grigi, contribuendo alla creazione dell'atmosfera inquietante richiesta dal genere. Ottime anche le scene oniriche, che citano quelle create da Dalì per Io ti salverò di Hitchcock, vera e propria pietra miliare del thriller psicoanalitico.

Di Caprio è eccezionale, e alterna con maestria la durezza richiesta dalla sua professione e il dolore per quanto ha dovuto vedere durante la guerra. Ottimo anche Ben Kingsley nella parte del direttore del manicomio e Mark Ruffalo nei panni del collega di Di Caprio.

Scorsese firma un film forte, difficile da digerire, ma che fa capire come anche da un genere "pop" come il thriller si possano trarre momenti di grandissimo cinema.

****

Pier

domenica 7 marzo 2010

Alice in Wonderland

Le Meraviglie secondo Burton



L'Alice che tutti conosciamo è cresciuta, ha ormai diciotto anni ed è in procinto di sposarsi: proprio al momento di accettare la proposta del suo fidanzato, tuttavia, Alice fugge e cade nuovamente nel Paese delle Meraviglie. In sua assenza la Regina di Cuori è diventata la padrona assoluta del Paese, riducendolo in schiavitù. Solo Alice, secondo una profezia, potrà riportare la pace e la libertà nel Paese. Per farlo dovrà però affrontare numerose prove e rivedere vecchi amici e nemici.

Tim Burton reinventa l'universo creato da Lewis Carroll e lo trasforma dal sogno di una bambina nello specchio delle ansie e delle inquietudini di una diciottenne in procinto di fare un passo che, forse, è più grande di lei.
Le trovate di Burton sono come sempre visivamente eccezionali (Stregatto su tutti) e la trama è scorrevole ed accattivante: manca tuttavia lo spunto creativo che caratterizza molti altri suoi film, da Edward mani di forbice a Big Fish.

Come già accaduto ne La fabbrica di cioccolato, il fatto di confrontarsi con un romanzo celeberrimo limita la creatività del regista, che può dare libero sfogo alla sua fantasia solo nella realizzazione di ambienti e personaggi ma non nella loro caratterizzazione. L'unica eccezione è costituita dal Cappellaio Matto, magnificamente interpretato da Depp, che acquisisce uno spessore e un'importanza assai maggiori rispetto a quelli concessigli da libro e precedenti adattamenti cinematografici.

Il film è comunque piacevole, e ha la sua forza più nella qualità e nella bellezza delle immagini che nella trama, che non delude del tutto ma ha dei passaggi alquanto scontati, soprattutto nel finale.
Il fascino della storia di Carroll e la fantasia di Burton creano un mix affascinante e incantato, cui però mancano quella magia e quelle emozioni che le opere del regista solitamente dispensano a piene mani.

**1/2

Pier

Invictus

La speranza secondo Eastwood



Clint Eastwood dimostra ancora una volta un eclettismo unico nel realizzare film di genere e significato completamente differenti tra loro.
Dopo Gran Torino, film duro che lasciava pochissimo spazio alla speranza, ecco Invictus, un film che fa della speranza e della capacità di perdonare il suo tema principale.
La storia di Nelson Mandela parla infatti al cuore dello spettatore, così come quella della squadra di rugby che contro tutti i pronostici riesce ad arrivare fino in finale, a giocarsi la coppa del mondo.

Eastwood realizza un film "classico", un film fatto di certezze che chiude il suo periodo del dubbio e dell'incertezza, iniziato con Mystic River e chiuso da Gran Torino. Invictus manca dell'innovatività e dell'impatto dei film precedenti, ma resta comunque un buon film, scritto benissimo e recitato magnificamente.
Freeman sembra nato per interpretare Mandela, e Damon è perfetto nella parte del capitano degli Springboks.

La retoricità di alcuni passaggi è compensata dall'efficacia dei dialoghi in cui Mandela spiega la sua visione della situazione sudafricana, vere e proprie lezioni di politica e di leadership da cui tutti avrebbero qualcosa da imparare.
Un altro punto forte del film sono le scene di sport, molto realistiche, in cui Eastwood esalta pathos, sudore e fatica, facendo cogliere anche agli spettatori inesperti lo spirito del rugby.
Una nota merita anche la colonna sonora, bella ed emozionante, con Colorblind inspiegabilmente ignorata dall'Academy per le nomination.

Invictus non è certamente il miglior lavoro di Eastwood, ma risulta comunque emozionante e coinvolgente: la poesia letta da Mandela non ispira solo la squadra ma anche lo spettatore, che non può che provare ammirazione per un uomo che ha cambiato il suo paese con la forza del perdono.

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Pier